Razzismo
Elon Musk accusa il New York Times di supportare gli appelli al genocidio

Il CEO di Twitter, Tesla e SpaceX Elon Musk ha attaccato venerdì il New York Times accusando la grande testata di sostenere il genocidio dei bianchi in Sud Africa.
A scatenare le ire di Musk – che è originario del Sud Africa– un pezzo del quotidiano di Nuova York in cui si negava che il canto «Kill The Boers» («uccidi i boeri», cioè i bianchi) intonato dal leader del partito EFF Julius Malema con migliaia di persone ad una manifestazione allo stadio fosse da prendere letteralmente. Si trattava, secondo l’articolista del NYT, non di un discorso di odio e di un appello al genocidio su base razziale, ma di una mera metafora.
«Il New York Times ha davvero il coraggio di sostenere gli appelli al genocidio!» ha twittato il Musk, che è cresciuto in Sudafrica. «Se mai c’è stato un momento per cancellare quella pubblicazione, è adesso» ha scritto, accludendo un link a un sito in che permette di leggere gratuitamente gli articoli delle testate sottoposte a paywall.
The New York Times actually has the nerve to support calls for genocide! If ever there was a time to cancel that publication, it is now.
You can read their articles for free anyway using https://t.co/2NjvMTsWmj. pic.twitter.com/ow11wxw7Ny
— Elon Musk (@elonmusk) August 4, 2023
La prestigiosa testata neoeboracena aveva insistito sul fatto che solo «alcuni americani all’estrema destra» credevano che la canzone – il cui ritornello Malema ha pronunciato come un botta e risposta, alternando le grida di «uccidi il boero, uccidi il contadino» con migliaia di sostenitori – siano un vero appello alla violenza.
Il giornale scrive che alcuni «storici» nonché lo stesso Malema «dicono che non dovrebbe essere preso alla lettera». Viene quindi citata la testimonianza del tribunale di Malema dell’anno scorso che era invece una critica «diretta verso l’incapacità del governo di affrontare una disparità nella proprietà della terra tra sudafricani neri e bianchi».
Absolutely insane. South African EFF leader Julius Malema, who promotes white genocide, tells a journalist that "we have not called for the killing of white people… at least for now." pic.twitter.com/QDjBAfnrrS
— Ian Miles Cheong (@stillgray) August 4, 2023
Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato il tribunale ha assolto Malema dichiarando legale la canzone genocida: la Corte per l’uguaglianza di Johannesburg ha ribaltato una sentenza che aveva dichiarato la canzone incitamento all’odio e proibito a Malema di cantarla. Il gruppo di difesa afrikaner (cioè di boeri, sudafricano bianco) chiamato AfriForum aveva inizialmente citato in giudizio Malema per aver eseguito la canzone, tuttavia «non è riuscito a dimostrare che il testo della canzone potesse ragionevolmente essere interpretato per dimostrare una chiara intenzione di danneggiare o incitare a danneggiare e propagare l’odio», è stata la pronuncia del giudice Edwin Molahlehi che ha archiviato il caso.
Non convinto che si tratti di un semplice coretto, Musk è tornato più volte ad attaccare il New York Times: «fanno schifo perfino nell’essere ipocriti» ha scritto Musk.
"kill white people"- nothing, stop taking everything so literally
???? – far right dogwhistle pic.twitter.com/YaIEQ3wSkv
— shoe (@shoe0nhead) August 4, 2023
«In realtà stanno uccidendo agricoltori bianchi ogni giorno. Non è solo una minaccia» ha continuato Musk.
They are actually killing white farmers every day. It’s not just a threat.
— Elon Musk (@elonmusk) August 5, 2023
Il Times ha inoltre coperto il deputato del partito marxista-leninista-panafricanista antibianco insistendo sui retweet del video da parte di Musk, e sugli appelli di Malema a «sparare per uccidere» i contadini bianchi. Tali inoltri da parte di Musk potrebbero aver convinto quegli americani di destra che i sudafricani bianchi potrebbero essere in pericolo, dice il Times.
«Stanno apertamente spingendo per il genocidio dei bianchi» in Sud Africa, ha twittato Musk in risposta al video di Malema che canta, twittato dal commentatore americano di YouTube Benny Johnson, chiedendo al presidente Cyril Ramaphosa: «Perché non dici niente?»
Il Times non è stato il solo a concentrarsi sui commenti di Musk invece che sugli incitamenti alla violenza di massa proferiti dal Malema. La testata Mother Jones ha scritto un intero articolo su quanto presumibilmente fossero entusiasti i nazionalisti bianchi che Musk avesse «assunto la loro causa», liquidando il «genocidio bianco» come una mera teoria del complotto.
Malema ha eseguito la canzone alla celebrazione del decimo anniversario del suo partito di sinistra Economic Freedom Fighters, un partito che è stato fondato in parte perché è stato espulso dall’African National Congress (ANC) – il partito di Nelson Mandela – dopo aver per aver cantato «Kill the Boer» in 2012.
Ramaphosa ha tentato di disinnescare le tensioni razziali con statistiche che mostrano che gli agricoltori bianchi vengono uccisi in proporzione alla loro proprietà terriera, e ha insistito sul fatto che non esiste un complotto per cacciarli dalla loro terra.
Più tardi è arrivata anche la reazione dell’interessato, il razzista Julius Malema, alle parole di Musk.
«Perché devo istruire Elon Musk, sembra un analfabeta. L’unica cosa che lo protegge è la sua pelle bianca», ha detto Malema in una conferenza stampa a Johannesburg, dando ulteriore prova del suo profondo razzismo.
Il più grande imprenditore al mondo per Malema è un bianco analfabeta: questo dovrebbe raccontare in chiarezza il mondo di fantasia in cui vivono leader africani razzisti come questo ragazzo marxista-leninista che ama le BMW.
Come riportato da Renovatio 21, i massacri dei contadini boeri sono una realtà che dura da decenni, e sulla quale il mondo ha voluto oscenamente chiudere ambo gli occhi.
Immagine screenshot da YouTube
Razzismo
Trump umilia il presidente sudafricano mostrandogli filmati del genocidio dei bianchi

Il presidente statunitense Donald J. Trump ha mostrato dei filmati comprovanti il genocidio dei boeri al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa durante una visita di quest’ultimo allo Studio Ovale della Casa Bianca, in presenza della stampa internazionale.
Quando nella conversazione tra i due politici è emerso il tema del genocidio dei bianchi sudafricani, il Ramaphosa si è affrettato a smentire quella che è sminuita come una «teoria del complotto», tuttavia Trump ha prontamente detto ai suoi collaboratori di «far partire il nastro» e di mostrare video di leader neri in Sudafrica che inneggiano all’assassinio degli afrikaner, insieme a video di luoghi di sepoltura di bianchi uccisi in Sudafrica.
Mentre lo slogan «Kill the Boer» («Uccidete i Boeri») risuonava clamorosamente nello Studio Ovale, il disagio del Ramaphosa diveniva sempre più evidente. Il vertice dello Stato sudafricano ha tentato di rispondere con calma e ponderazione, affermando che «questa non è la politica del governo», aggiungendo che «la nostra democrazia consente la libertà di espressione» e ribadendo che «il nostro governo è completamente contrario» a quanto descritto dal presidente Trump.
“This is a very serious situation. If we had a real press, it would be exposed. When it gets exposed, it’ll get fixed. But people don’t talk about it. And I’ll tell you who is talking about it, thousands of people that are fleeing South Africa right now.” –President Trump 🇺🇸 pic.twitter.com/Cu3Or9Mar0
— The White House (@WhiteHouse) May 21, 2025
President Trump always brings the receipts. 🧾🧾🧾 pic.twitter.com/lokUUwqglP
— The White House (@WhiteHouse) May 21, 2025
🚨 JUST SHOWN IN THE OVAL OFFICE: Proof of Persecution in South Africa. pic.twitter.com/rER1l8sqAU
— The White House (@WhiteHouse) May 21, 2025
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A questo punto il biondo presidente americano ha risposto: «ci sono centinaia, migliaia di persone che cercano di entrare nel nostro Paese perché temono che verranno uccise e che la loro terra verrà confiscata, e ci sono leggi approvate che danno il diritto di confiscare la terra».
Non pago, Trump ne ha avuto anche per i media americani che hanno insabbiato il genocidio razzista in corso in Sudafrica. Quando il filmato (dei luoghi di sepoltura e di 100.000 persone che gridavano la morte dei bianchi) è terminato e Trump si è rivolto al gruppo di giornalisti, il reporter della NBC News Peter Alexander ha urlato una domanda sull’aereo del Qatar offerto al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Trump è, a questo punto, esploso: «di cosa stai parlando? Sai, dovresti andartene… cosa c’entra l’areo del Qatar? Stiamo parlando di altre cose. È la NBC che cerca di distanziarsi dall’argomento che avete appena visto», cioè il genocidio dei bianchi sudafricani.
Il Ramaphosa ha diplomaticamente suggerito a Trump di tenere la discussione in privato, lontano dai media. Trump, tuttavia, aveva già ottenuto quel che voleva: mostrare a tutto il mondo il problema del massacro boero, e significare il suo coinvolgimento riguardo la sua soluzione.
All’incontro era presente anche il sudafricano di nascita Elone Musk, fermo critico del Ramaphosa. Aveva accusato settimane fa di non poter operare con la sua azienda internet satellitare Starlink in Sudafrica in quanto non-negro. Secondo Bloomberg, ora il governo sudafricano intende offrire a Musk una soluzione alternativa alle leggi locali sulla proprietà da parte dei neri per consentire al suo servizio internet Starlink di operare nel Paese, con l’obiettivo di allentare le tensioni sia con il miliardario che con Trump.
Come riportato da Renovatio 21, ancora due anni fa Elon Musk, originario di Pretoria che non ha problemi a parlare di un vero e proprio «genocidio bianco in Sudafrica, aveva accusato il New York Times di supportare gli appelli al massacro razziale in corso.
La tempistica della visita di Ramaphosa avviene pochi giorni dopo che Trump aveva accolto decine di rifugiati afrikaner
Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta. I boeri hanno cercato, e trovato, anche l’aiuto della Russia di Vladimiro Putin.
Trump aveva offerto un reinsediamento in America ai sudafricani bianchi ancora mesi fa.
Come riportato da Renovatio 21, la Corte Suprema del Sudafrica due mesi fa ha respinto la richiesta di considerare la canzone Kill the Boer («uccidi il boero») un incitamento all’odio.
Nel 2022 la divisione per l’uguaglianza della Corte Suprema del Sudafrica ha stabilito che la canzone «Kill the Boers» non costituisce un caso di «incitamento all’odio». Chiedere il massacro di un’intera classe sociale, se non di un’intera razza non è hate speech, se a farlo cantare alle masse è Julius Malema, leader marxista-leninista del partito Economic Freedom Fighers (EFF), panafricanista, anticapitalista, antimperialista, con una certa passione, si dice, per le BMW che guiderebbe anche con un po’ troppa velocità.
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La Corte Suprema sudafricana ha respinto l’accusa per cui quel canto è genocida poche settimane fa.
Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».
La scena di scontro nello Studio Ovale ha ricordato ad alcuni osservatori quella del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj all’inizio di quest’anno, quando quest’ultimo fu cacciato dalla Casa Bianca. Lo Studio Ovale sta divenendo de facto un luogo della verità detta fuori dai denti, dove le maschere diplomatiche cadono, e i leader internazionali possono venire castigati per la loro inadeguatezza o i loro crimini veri e propri.
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Razzismo
Gli Stati Uniti accolgono i richiedenti asilo sudafricani bianchi

Today @DeputySecState welcomed the first group of Afrikaner refugees fleeing persecution from their native South Africa. We stand with these refugees, many of them farmers and former business owners, as they build a better future for themselves and their children here in the… pic.twitter.com/W16RJSU3tB
— Department of State (@StateDept) May 12, 2025
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Razzismo
Trovate origini creole a Leone XIV. L’America woke esulta

Papa Leone XIV avrebbe origini creole, o addirittura nere, comunque non bianchissime, per cui l’America woke si eccita ed esulta felice. Oramai, il nuovo razzismo ci ha ridotto a riconoscere il lato pavloviano di simili notizie.
Il New York Times ha indagato sulle origini del nuovo papa, indagando in ispecie sul lato materno. Fino ad allora ci era stato detto che la famiglia Prevost aveva origini francesi e italiane da parte di padre e spagnole – non latino-americane, ma anche qui europee – da parte di madre. Ora invece emergerebbe una derivazione «creola» del nuovo pontefice.
«I creoli, noti anche come “creoli di colore”, hanno una storia antica quasi quanto la Louisiana» spiega il giornale. «Sebbene il termine “creolo” possa riferirsi a persone di discendenza europea nate nelle Americhe, descrive comunemente persone di colore di razza mista Molti creoli della Louisiana erano conosciuti nel XVIII e XIX secolo come “gens de couleur libres”, ovvero persone libere di colore. Molti erano istruiti, francofoni e cattolici». Quindi, la portaereo del wokismo americano e mondiale annuncia con gaudio magno: habemus papam mixtum sanguinis. (il lettore conceda a Renovatio 21 di improvvisare col latinorum)
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Impossibilitati a prendere il DNA del papa – i test di genomica di consumo sono un must dei neorazzisti che si crogiuolano nel narcisismo delle proprie origini miste – osservatori e giornalisti sono corsi alla ricerca della genealogia del nostro, apprendendo che la famiglia della madre veniva da quel grande crocevia di razze e culture che è la città di New Orleans.
«I nonni materni del papa, entrambi descritti come neri o mulatti in vari documenti storici, vivevano nel settimo quartiere della città, un’area tradizionalmente cattolica e un crogiolo di persone con radici africane, caraibiche ed europee» scrive il giornale neoeboraceno. «I nonni, Joseph Martinez e Louise Baquié, si trasferirono a Chicago all’inizio del XX secolo ed ebbero una figlia: Mildred Martinez, la madre del papa».
«La serie di prove che collega Leo a New Orleans include il certificato di matrimonio dei nonni, risalente al loro matrimonio nel Settimo Distretto nel 1887, una foto della lapide della famiglia Martinez a Chicago e un certificato di nascita elettronico di Mildred Martinez che dimostra che è nata a Chicago nel 1912» prosegue il NYT.
«L’atto di nascita indica Joseph Martinez e “Louis Baquiex” come genitori di Mildred. Il luogo di nascita del padre è indicato come Repubblica Dominicana; quello della madre come New Orleans». Sarebbero inoltri stati trovati «documenti del censimento del 1900 che indicano il signor Martinez come “nero”, il suo luogo di nascita come “Hayti” [sic] e la sua professione come “produttore di sigari”».
«Sia Joseph Norval Martinez che Louise Baquié erano persone di colore, non c’è dubbio», ha affermato un’esperta di genealogia sentita dal maggior quotidiano mondiale.
«La scoperta significa che Leone XIV, come sarà chiamato il papa, non solo rappresenta una svolta come primo pontefice nato negli Stati Uniti, ma proviene anche da una famiglia che riflette i numerosi fili che compongono il complesso e ricco tessuto della storia americana» continua il NYT, che avrebbe potuto sintetizzare pubblicando a nove colonne il titolo «IL PAPA NON È BIANCO», ma non ce l’ha fatta, un po’ perché non è vero, un po’ perché non ci ha il coraggio.
«Non è chiaro se il nuovo papa abbia mai parlato pubblicamente dei suoi antenati creoli, e suo fratello ha affermato che la famiglia non si identifica come nera»: cioè, i giornalisti sono andati dal fratello del papa (toc toc), ancora sconvolto per l’esito del conclave, e gli hanno chiesto: «scusi, la sua famiglia si identifica come una famiglia nera?».
Lo hanno proprio fatto: «John Prevost, fratello del papa, ha affermato che i loro nonni paterni erano francesi e che suo padre era nato negli Stati Uniti. Ha aggiunto che lui e i suoi fratelli non parlavano delle loro radici creole. “Non è mai stato un problema”, ha detto John Prevost».
Infine, la conclusione piena di speranza amara: «ciò che tutto ciò significa, per quanto riguarda l’identità razziale del papa, tocca alcune delle questioni più spinose della società statunitense, ma riflette anche la ricca diversità dell’esperienza americana».
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Eccallà: la diversity sul Soglio di Pietro, alla fine ce l’hanno fatta. Il papa è bello perché di sangue misto – o almeno così dicono ricostruzioni genealogiche che mai la stessa famiglia papale aveva avuto interesse di fare
È semplicemente desolante: la sinistra mondiale è oramai totalmente ossessionata dalla razza, con venature di fondamentalismo genetico evidenti che la rendono uguale a quella dei tempi della Germania nazionalsocialista, solo invertita di segno.
Per questa gente non solo il colore della pelle, il proprio corredo genetico è più importante dell’anima: anzi, è giusto pensare che, esattamente come l’idea del proprio «genere» sessuale, il DNA vanno a ricoprire lo spazio lasciato vuoto dalla società secolarista che non vuole più credere all’anima.
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