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Ecco l’embrione di topo cresciuto in un utero artificiale: gli umani sono i prossimi

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Un embrione di topo, completo di cellule cardiache che pulsano, una testa e l’inizio degli arti, vivo e in crescita in un barattolo di vetro. Questa è l’immagine fornita dal Technology Review, la rivista di divulgazione scientifica del MIT di Boston.

 

Secondo un gruppo scientifico in Israele i ricercatori hanno coltivato topi in un grembo artificiale per 11 o 12 giorni, circa la metà del periodo di gestazione naturale dell’animale.

 

I ricercatori hanno coltivato topi in un grembo artificiale per 11 o 12 giorni, circa la metà del periodo di gestazione naturale dell’animale

È un record per lo sviluppo di un mammifero al di fuori dell’utero e, secondo il team di ricerca, gli embrioni umani potrebbero essere i prossimi.

 

«Questo pone le basi per altre specie», afferma Jacob Hanna, biologo dello sviluppo presso il Weizmann Institute of Science, che ha guidato il team di ricerca. «Spero che permetterà agli scienziati di far crescere embrioni umani fino alla quinta settimana».

 

«La crescita di embrioni umani in laboratorio per così tanto tempo, fino al primo trimestre, metterebbe la scienza in rotta di collisione con il dibattito sull’aborto» scrive Technology Review.

«Gli embrioni cresciuti in laboratorio potrebbero essere un sostituto della ricerca per i tessuti derivati ​​dagli aborti e forse anche una fonte di tessuti per trattamenti medici»

 

Tuttavia, la motivazione bioetica è presto servita: «Hanna crede che gli embrioni cresciuti in laboratorio potrebbero essere un sostituto della ricerca per i tessuti derivati ​​dagli aborti e forse anche una fonte di tessuti per trattamenti medici».

 

In pratica, le prossime linee cellulari di feto abortito da usare nei vaccini (solo per fare un esempio: gli utilizzi sono molteplici) potrebbero venire da un essere umano fatto crescere non in un grembo materno ma in una macchina.

L’esperimento già prevede di fatto l’uso di materia biologica umana: il team di Hanna ha allungato gli embrioni di topo aggiungendo siero di sangue da cordoni ombelicali umani, mischiandoli in barattoli di vetro e pompando una miscela di ossigeno pressurizzata.

Per esempio, le prossime linee cellulari di feto abortito da usare nei vaccini potrebbero venire da un essere umano fatto crescere non in un grembo materno ma in una macchina

 

Hanna paragona il processo a mettere un paziente COVID-19 su una macchina di ventilazione.

 

«Questo forza l’ossigeno nelle cellule», dice. «Allora il paziente è molto più felice. Puoi vedere che ha un sistema sanguigno e tutti i principali sistemi di organi funzionano».

 

Gli embrioni di topo sono morti solo dopo essere diventati troppo grandi perché l’ossigeno si diffondesse attraverso di loro, poiché non hanno l’apporto di sangue naturale che una placenta potrebbe fornire.

L’esperimento già prevede di fatto l’uso di materia biologica umana: il team di Hanna ha allungato gli embrioni di topo aggiungendo siero di sangue da cordoni ombelicali umani

 

Il lavoro crea una finestra scientifica sull’embrione precoce, che normalmente è nascosto all’interno dell’utero. In una pubblicazione odierna sulla rivista Nature, «il team israeliano descrive una serie di esperimenti in cui hanno aggiunto tossine, coloranti, virus e cellule umane negli embrioni di topo in via di sviluppo, il tutto per studiare cosa sarebbe accaduto».

 

Sottolineiamo: hanno inserito «negli embrioni di topo in via di sviluppo». Non è una novità, tuttavia colpisce come i giornalisti scientifici non facciano più nemmeno mezzo plissé davanti all’idea.

 

Il dottor Hanna dice che gli scienziati vorranno sviluppare anche embrioni umani in questo modo. Riconosce che le immagini di embrioni umani cresciuti in laboratorio con una forma approssimativamente riconoscibile – testa e boccioli degli arti – potrebbero essere scioccanti. L’equivalente umano dei topi di 12 giorni di Hanna sarebbe un embrione del primo trimestre.

Il team israeliano ha inserito «negli embrioni di topo in via di sviluppo»

 

«Capisco le difficoltà. Capisco. Stai entrando nel campo degli aborti», dice Hanna. Tuttavia, afferma di poter razionalizzare tali esperimenti perché i ricercatori studiano già embrioni umani di cinque giorni provenienti da cliniche di fecondazione in vitro, anch’essi distrutti in quel processo.

 

«Quindi io raccomanderei di coltivarlo fino al giorno 40 e poi di smaltirlo», dice Hanna. «Invece di ottenere tessuti dagli aborti, prendiamo una blastocisti e coltiviamola». Ecco una soluzione che farà felici tante femministe e tantissimi cattolici e persino cattolici tradizionalisti: l’aborto non c’è nemmeno più, e comunque la cooperazione morale con gli israeliani che squartano feti e lontana ore di volo. No?

«Invece di ottenere tessuti dagli aborti, prendiamo una blastocisti e coltiviamola»

 

La ricerca fa parte di un’esplosione di nuove tecniche e idee per studiare lo sviluppo iniziale delle creature viventi – incluso l’uomo. Oggi, nello stesso numero di Nature, altri due gruppi di ricerca riferiscono di un balzo in avanti nella creazione di embrioni umani «artificiali».

 

Il dottor Hanna sostiene che un ovvio passo successivo sarebbe aggiungere questi modelli di embrioni al suo sistema di vasi rotanti e vedere quanto possono svilupparsi ulteriormente. «Ci sono voluti sei anni di lavoro molto intenso per portare questo sistema dove si trova», dice Hanna.

Ecco una soluzione che farà felici tante femministe e tantissimi cattolici e persino cattolici tradizionalisti: l’aborto non c’è nemmeno più, e comunque la cooperazione morale con gli israeliani che squartano feti e lontana ore di volo. No?

 

«Abbiamo l’obiettivo di farlo anche con embrioni sintetici».

 

La tecnologia del topo in barattolo necessita anche di altri miglioramenti, dice Hanna. Non è stato in grado di far crescere i topi partendo da un ovulo fecondato fino al giorno 12. Invece, ha raccolto embrioni di 5 giorni da topi gravidi e li ha spostati nell’incubatrice, dove hanno vissuto un’altra settimana.

 

Il problema è che attualmente gli embrioni di topo si sviluppano correttamente solo se possono essere attaccati a un vero utero di topo, almeno per un breve periodo. Il team di Hanna sta lavorando all’adattamento della procedura in modo che possano sviluppare i topi interamente in vitro.

Gli studi a lungo termine su embrioni umani vivi che si sviluppano in laboratorio sono attualmente vietati in base alla cosiddetta regola dei 14 giorni, una linea guida (e una legge in alcuni paesi) secondo la quale agli embriologi è stato vietato di coltivare embrioni umani per più di due settimane .

«Abbiamo bisogno di vedere embrioni umani per formare organi e iniziare a perturbarli. Il vantaggio di far crescere embrioni umani fino alla terza, quarta e quinta settimana è inestimabile»

 

Tuttavia, un’organizzazione scientifica chiave, la Società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali, o ISSCR, ha in programma di raccomandare l’annullamento del divieto e consentire ad alcuni embrioni di crescere più a lungo.

 

Hanna dice che questo significa che potrebbe far crescere embrioni umani nella sua incubatrice, a patto che i consigli di etica israeliani siano d’accordo, qualcosa che pensa che farebbero.

 

«Una volta aggiornate le linee guida, posso fare domanda e sarà approvato. È un esperimento molto importante», afferma Hanna.

 

Gli embrioni umani potrebbero essere modificati per limitare il loro potenziale di sviluppo completo. Una possibilità sarebbe quella di installare mutazioni genetiche i in modo da impedire al cuore di battere

«Abbiamo bisogno di vedere embrioni umani per formare organi e iniziare a perturbarli. Il vantaggio di far crescere embrioni umani fino alla terza, quarta e quinta settimana è inestimabile. Penso che questi esperimenti dovrebbero almeno essere considerati. Se riusciamo ad arrivare a un embrione umano avanzato, possiamo imparare così tanto».

 

Hanna dice che per rendere tali esperimenti più accettabili, gli embrioni umani potrebbero essere modificati per limitare il loro potenziale di sviluppo completo. Una possibilità sarebbe quella di installare mutazioni genetiche i in modo da impedire al cuore di battere.

 

Il MIT infine gioca l’immortale carta per clonazioni e esperimenti di riprogenetica vari: i trapianti

 

Chi vi parla della «tragedia dell’utero in affitto», di «fecondazione eterologa», di «un bambino ha diritto ad avere una mamma e un papà» vi sta prendendo per i fondelli

«Potrebbero esserci applicazioni pratiche inaspettate della crescita di embrioni umani in barattoli. William Hurlbut, medico e bioetico della Stanford University, afferma che il sistema gli suggerisce un modo per ottenere organi primitivi, come cellule di fegato o pancreas, da embrioni umani del primo trimestre, che potrebbero essere ulteriormente coltivati ​​e utilizzati nella medicina dei trapianti. Hanna concorda che questa sia una potenziale direzione per la tecnologia».

 

«La frontiera scientifica si sta spostando dalle molecole e dalle provette agli organismi viventi – afferma Hurlbut. –Non credo che l’espianto di organi sia così inverosimile. Alla fine potrebbe arrivarci. Ma è molto difficile, perché i limiti di una persona non sono i limiti di un’altra persona».

 

Le stupide battaglie contro «l’utero in affitto» sono create per farvi perdere tempo e neutralizzarvi, mentre si prepara la rivoluzione definitiva del bambino integralmente sintetico: geneticamente ingegnerizzato con il CRISPR, sviluppato e fatto nascere dal ventre di una macchina

Davanti a questa svolta biotecnologica, covata da tempo (quantomeno dagli esperimenti negli anni Ottanta di Carlo Flamigni, il primo a fare crescere, in Italia, un embrione al di fuori di un corpo umano), il lettore, specie quello «cattolico», lo deve comprendere definitivamente: chi vi parla della «tragedia dell’utero in affitto», di «fecondazione eterologa», di «un bambino ha diritto ad avere una mamma e un papà» vi sta prendendo per i fondelli.

 

Le stupide battaglie contro «l’utero in affitto» sono create per farvi perdere tempo e neutralizzarvi, mentre si prepara la rivoluzione definitiva del bambino integralmente sintetico: geneticamente ingegnerizzato con il CRISPR, sviluppato e fatto nascere dal ventre di una macchina.

 

Svegliatevi: un’infernale umanità sintetica bussa alle nostre porte. Movimenti pro-vita e pretini vari servono solo a distrarvi mentre la sua venuta diviene inevitabile.

 

Chi servirà, questo mondo di umanoidi, forse lo sapete:

 

Svegliatevi: un’infernale umanità sintetica bussa alle nostre porte. Movimenti pro-vita e pretini vari servono solo a distrarvi mentre la sua venuta diviene inevitabile

«L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato» (Apocalisse 13, 8)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagine di NIH Image Gallery via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

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Ecco il terrifficante «coccodrillo mangia-dinosauri»

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Un nuovo studio ha portato alla luce la figura del Deinosuchus riograndensis, un immane loricato che viveva in Nord America nella preistoria, talmente grande da divenire predatore di dinosauri. Gli scienziati ora lo chiamano «coccodrillo del terrore». Lo riporta la CNN.

 

Il Deinosuchus costituisce uno dei più grandi coccodrilli mai esistiti, con un corpo lungo almeno 8 metri e denti grandi come banane. Da circa 82 a 75 milioni di anni fa, il predatore più grande nuotava nei fiumi e negli estuari del Nord America. Il cranio era largo e lungo, con una protuberanza bulbosa alla punta, diversa da qualsiasi altra struttura cranica osservata in altri coccodrilli.

 

Le impronte di denti sulle ossa del Cretaceo suggeriscono la prospettiva scioccante secondo cui il Deinosuchus cacciasse o si nutrisse di dinosauri.

Immagine di Smokeybjb via Wikimedia CC BY-SA 3.0

 

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Nonostante il suo nome scientifico, che si traduce come «coccodrillo del terrore», il Deinosuchus è stato comunemente definito «alligatore maggiore», e precedenti valutazioni delle sue relazioni evolutive lo avevano classificato tra gli alligatori e i loro antichi parenti.

 

Tuttavia, una nuova analisi di fossili, insieme al DNA di coccodrilli viventi come alligatori e coccodrilli, suggerisce che il Deinosuchus appartenga a una parte diversa dell’albero genealogico dei coccodrilli.

 

A differenza degli alligatoridi, il Deinosuchus ha mantenuto le ghiandole del sale dei coccodrilli ancestrali, che gli permettono di tollerare l’acqua salata, come riportato mercoledì dagli scienziati sulla rivista Communications Biology.

 

I coccodrilli moderni possiedono queste ghiandole, che raccolgono e rilasciano il cloruro di sodio in eccesso.

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

La tolleranza al sale avrebbe aiutato il Deinosuchus a navigare nel Mare Interno Occidentale che un tempo divideva il Nord America, durante una fase di serra segnata dall’innalzamento globale del livello del mare.

 

Il Deinosuchus potrebbe quindi essersi diffuso in tutto il continente, popolando le paludi costiere su entrambe le sponde dell’antico mare interno e lungo la costa atlantica del Nord America.

 

L’albero genealogico rivisto del nuovo studio sui coccodrilli offre nuove prospettive sulla resilienza climatica del gruppo e suggerisce come alcune specie si siano adattate al raffreddamento ambientale mentre altre si sono estinte.

 

L’albero genealogico rivisto del nuovo studio sui coccodrilli offre nuove prospettive sulla resilienza climatica del gruppo e suggerisce come alcune specie si siano adattate al raffreddamento ambientale mentre altre si sono estinte.

 

 

Sebbene il Deinosuchus fosse stato a lungo classificato come un parente degli alligatori, la sua distribuzione su entrambe le sponde di questo vasto canale costituiva un enigma irrisolto. Se si trattava di un alligatoreide – un gruppo che oggi vive solo in acqua dolce – come poteva il Deinosuchus attraversare un mare lungo più di 1.000 chilometri?

 

Un’ipotesi suggeriva che i primi alligatori fossero tolleranti all’acqua salata e che in seguito avessero perso questa caratteristica. Tuttavia tale interpretazione non aveva molte prove a supporto; si basava esclusivamente sull’inclusione del Deinosuchus nel gruppo degli alligatoride.

 

Immagine di Connor Ashbridge via Wikimedia CC BY-SA 4.0

 

Un’altra possibile spiegazione era che il Deinosuchus si fosse diffuso in Nord America prima della formazione del Canale interno occidentale, che avrebbe diviso le popolazioni occidentali da quelle orientali. Tuttavia, la documentazione fossile non lo conferma. Il canale apparve circa 100 milioni di anni fa, il che lo rende circa 20 milioni di anni più antico dei primi fossili di Deinosuchus conosciuti.

 

Sebbene il Deinosuchus fosse uno dei coccodrilli più grandi, non era l’unico gigante. Secondo lo studio, i coccodrilli enormi si sono evoluti indipendentemente in ambienti acquatici più di una dozzina di volte negli ultimi 120 milioni di anni, durante tutte le fasi climatiche globali, comprese le ere glaciali.

 

Anche tra le specie viventi, segnalazioni di individui di 7 metri o più persistettero fino al XIX secolo, il che suggerisce che l’enorme Deinosuchus fosse la regola piuttosto che l’eccezione.

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Come riportato da Renovatio 21, il mondo continua ad essere zeppo di scene di panico scatenate dalle apparizioni in territorio umano dei tremendi rettili.

 

E non si tratta solo di loricati.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso gli scienziati dell’Istituto indiano di tecnologia Roorkee, in India, hanno pubblicato un articolo sulla rivista Scientific Reports per discutere della loro scoperta del Vasuki Indicus, una nuova specie di serpente gigante, vissuto circa 47 milioni di anni fa nello Stato indiano del Gujarat, che sarebbe stato «lungo come un autobus».

 

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Leoni di mare indemoniati attaccano surfisti

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Un’ora di leoni marini «indemoniati» hanno attaccato persone sulla costa Californiana nelle ultime due settimane. Lo riporta la stampa americana.   In un episodio raccapricciante, un surfista californiano è stato «scosso» nel profondo dopo essere stato sbranato da un leone marino, un otariide che possiamo definire come una grossa foca.   «Oggi ho vissuto l’esperienza più straziante e traumatica dei miei 20 anni di surf», ha scritto il fotografo ed esploratore Rj LaMendola nella didascalia di un post su Facebook, ricordando l’attacco. «Sembrava posseduto», ha scritto il LaMendola, affermando che l’animale coinvolto nell’incontro appena a nord di Los Angeles era «selvaggio, quasi demoniaco».

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Il residente di Ventura ha dichiarato di stare facendo surf a circa 150 metri dalla riva all’Oxnard State Beach Park quando, «dal nulla», il mammifero «è emerso dall’acqua» e si è lanciato verso di lui a tutta velocità. «La sua bocca si è spalancata, i denti brillacano, e i suoi occhi mi hanno fissato con una ferocia inquietante», ha ricordato il surfista in istato di choc. «Il mio cuore ha sussultato mentre istintivamente tiravo la tavola di lato, remando freneticamente per evitarla mentre si lanciava in avanti, deciso a schiantarsi contro di me».   «Ho schivato a malapena la prima carica, mi si è fermato il respiro mentre mi giravo, disperato e diretto verso la riva». Poi la tozza belva marittima è scomparsa di nuovo nel blu da cui era venuta – ma quello fu solo l’inizio del pestaggio della creatura contro l’umano. Il leone marino si è quindi lanciato di nuovo alla carica «mostrando i denti», come se fosse «un predatore folle», ha detto il malcapitato.   «Questa volta si è schiantato sulla mia tavola con una forza incredibile, tuffandosi sotto di me in un arco rapido e fluido che mi ha fatto venire i brividi», ha scritto LaMendola, che ha capito che non si trattava di un «incontro giocoso». «Si trattava di qualcosa di completamente diverso, qualcosa di sbagliato».   Si trattava dell’inizio un circolo vizioso in cui la bestia posseduta indietreggiava ripetutamente e attaccava il surfista indifeso, costringendolo a proteggersi con la tavola e a nuotare verso la riva tra un attacco e l’altro.   Durante uno dei circa quattro scontri, LaMendola tentò di colpire il suo baffuto aggressore con un pugno, ma questi ha schivato il colpo con «inquietante agilità». Ecco quindi che l’orrendo animale si è voltato per stringere le tremende fauci intorno alla «natica sinistra» del surfista, prima di trascinarlo giù dalla tavola e farlo cadere nell’acqua.   «Non so come descrivere la paura che mi ha preso in quel momento», ha ricordato il sopravvissuto. «Così lontano dalla riva, così indifeso, a fissare il volto di questa creatura che non assomigliava a nulla che avessi mai visto prima: la sua espressione era selvaggia, quasi demoniaca, priva della curiosità o della giocosità che avevo sempre associato ai leoni marini».   Dopo una snervante battaglia interspecifica, il LaMendola è riuscito infine a nuotare verso la riva, mentre la furia focide non smetteva di seguirlo e di attaccarlo finché i suoi piedi «finalmente raschiarono la sabbia».   La tuta della vittima era «a brandelli» nel punto in cui era stata morsa, ha raccontato, esponendo una «ferita da puntura» da cui il sangue colava lungo la gamba e finiva sulla sabbia. Successivamente LaMendola si è recato al pronto soccorso in auto.   Quando il povero appassionato di surf ha contattato il Channel Islands Marine and Wildlife Institute per denunciare l’attacco, i ricercatori hanno risposto di aver notato un aumento degli incidenti a Santa Barbara e nella contea di Ventura che coinvolgevano leoni marini e altri animali marini.   Infatti, non si tratta dell’unico caso del genere, purtroppo.   A Sud del luogo dell’aggressione, la quindicenne Phoebe Beltran stava facendo un test di nuoto a Long Beach per diventare bagnina quando un leone marino l’ha morsa ripetutamente. «Ero così spaventata, così scioccata, ma sentivo ancora un dolore immenso alle braccia, più e più volte», ha raccontato l’adolescente ai media locali statunitensi.   Altro che squali.  
  Gli attacchi consecutivi hanno fatto notizia a livello mondiale e causato una certa ansia tra coloro che vivono in California e nelle sue spiagge iconiche. Sebbene gli attacchi siano rari, gli esperti affermano che il numero di animali ammalati dalla fioritura di alghe tossiche sembra essere in aumento.   I giornali stanno speculando, al solito, su cause esogene rispetto la cattiveria animale: ecco la spiegazione eco-sostenibile, per cui a rendere mostruosamente aggressivo il mammifero acquatico sarebbe stata un’alga tossica.   Foche e altri mammiferi pinnati non sono nuovi a storie di ira e violenza.   Come riportato da Renovatio 21, la California aveva vissuto tre anni fa momenti di panico quando una coppia di leoni marini si presentò sulla spiaggia di La Jolla Cove costringendo i bagnanti a fuggire terrorizzati. La situazione dei poveri bagnanti è stata paragonata da un osservatore come l’«essere inseguiti da Godzilla».   In seguito spopolò in rete il video con il sottofondo dei Beach Boys.   Come Renovatio 21 ha avuto modo di ricordare riguardo il recente caso di elicottero caduto a causa pinguino, i leoni marini sono una razza che si comporta verso i controversi pennuti in maniera oscena e criminale, arrivando a stuprarli in pubblica piazza.   Il filmato è solo per persone con lo stomaco forte – almeno quanto quello di pinguini, gabbiani e cormorani che guardano questa scena indegna senza nemmeno provare ad intervenire.  

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Vogliamo ricordare anche di quando un malvagio leone marino, a favore di telecamere, cercò di rapire una bambina trascinandola in acqua.     I leoni marini sono stati inoltre notati commettere rapine e ladrocini vari ai danni di poveri pescatori.  

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I maschi della specie possono crescere fino a 2,5 metri di lunghezza e possono pesare fino a 275 chili, secondo lo Smithsonian National Zoo. Le femmine possono raggiungere fino 1,8 metri di lunghezza e possono pesare circa 181 chili.   I leoni marini sono animali estremamente comuni in certe parti della costa californiana. A Santa Cruz, nota spiaggia surfistica a sud di San Francisco, è possibili vedere poltrire lungo il pier, il pontile che dalla spiaggia si spinge verso il mare ospitando ristoranti di incredibili clam chowder (zuppa di vongole all’americana).   La natura insolente e scroccona della specie è ben visibile anche in questo video, dove la creatura pinnata prima si autoinvita in un club sulla spiaggia, usufruisce della piscina senza averne titolo, per poi scacciare un membro pagante dal suo sdraio per sollazzarvisi.     Si tratta di comportamenti da bestiacce di cui dobbiamo cominciare a tenere conto.

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Pinguino ritenuto responsabile di un incidente in elicottero in Sudafrica

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Le autorità sudafricane hanno annunciato che un elicottero precipitato nel Paese il 19 gennaio 2025 è stato abbattuto da un pinguino che si trovava a bordo. Lo riporta il quotidiano britannico Daily Mail.

 

L’incidente è avvenuto quando un elicottero Robinson R44 Raven II è decollato da Bird Island (nome omen), nella provincia del Capo Orientale.

 

Martedì, l’Autorità per l’aviazione civile sudafricana (CAA) ha spiegato nel suo rapporto che il pinguino era stato sistemato all’interno di una scatola di cartone, tenuta in grembo da un ricercatore a bordo. Tuttavia, poco dopo il decollo, la creatura sarebbe sfuggita di mano al passeggero.

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«Durante la transizione, a circa 15 metri dal livello del suolo, la scatola di cartone è scivolata verso destra, finendo sulla leva di controllo del passo ciclico del pilota», si legge nel rapporto.

 

L’impatto ha costretto la leva a spostarsi bruscamente verso destra, causando un violento rollio dell’elicottero. «Il pilota non è riuscito a riprendersi in tempo», e l’elicottero è precipitato rapidamente, con le pale che hanno colpito il suolo. Il velivolo ha riportato gravi danni nell’impatto, ma fortunatamente né gli occupanti né il pinguino riportarono ferite gravi.

 

L’articolo afferma che «il contenimento del pinguino non era adatto alle condizioni di volo» a causa della mancanza di una cassa di sicurezza per l’infame pennuto.

 

Lo scopo del volo era quello di assistere un ricercatore nella conduzione di un’indagine sulla fauna selvatica. Una volta completato il processo, l’elicottero è atterrato sull’isola, dove lo scienziato ha richiesto il trasporto di uno dei pinguini a Port Elizabeth.

 

Il pilota, identificato dal giornale solo come un uomo di 35 anni con oltre 1.650 ore di volo e una licenza ottenuta nel 2021, ha accettato la richiesta.

 

Il pinguino è stato sistemato in una scatola di cartone per il viaggio di ritorno. Sebbene il pilota avesse eseguito una valutazione dei rischi pre-volo, l’indagine ha rivelato che non aveva tenuto conto del rischio aggiuntivo rappresentato dal trasporto a bordo del diabolico palmipede.

 

L’Alta corte di Pretoria ha imposto un divieto di pesca commerciale di 10 anni in sei aree al largo della costa occidentale del Sudafrica per proteggere il pinguino africano, una specie in via di estinzione, ha riferito la radio SABC a marzo.

 

Nel 2024, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha classificato il pinguino africano come «in pericolo critico», la prima tra le 18 specie di pinguino a ricevere questo status. La popolazione è diminuita del 97% nell’ultimo secolo, con meno di 8.000 coppie riproduttive rimaste. La pesca commerciale al largo delle coste del Sudafrica e della Namibia rimane la principale minaccia alla loro sopravvivenza.

 

Una colonia di pinguini africani (Spheniscus demersus, secondo la classificazione di Linneo) risiede notoriamente a Boulders Beach, fuori di Città del capo. La specie, detta anche «pinguino ragliante» per i suoi insopportabili versi simili a quelli dell’asino, è conosciuta dai locali anche per l’odore insopportabile che emana, fatto sconosciuto agli incauti turisti che vanno a visitarla. Secondo la leggenda verrebbero dall’Antartide, dalla quale si sarebbe staccato un icebergo che li avrebbe trasportati sino a Capo di Buona Speranza.

 

Il pinguino, predatore subacqueo, è per lo più noto per la simiglianza della sua deambulazione con quella di un essere umano con le braghe calate, e per quella con certe mises formali.

 

Non c’è solo il pericolo dell’estinzione ad affacciarsi all’esistenza dell’uccello non volatile.

 

Come riportato da Renovatio 21, in Antartide i pinguini imperatore sono oggetto delle attenzioni delle foche pelose, che li stuprano senza pietà, in scene raccapriccianti dove mentre uno viene imperiosamente violentato dal focide altri pinguini, e talvolta pure qualche gabbiano, stanno lì a guardare la scena senza alzare una penna.

 

 

La grande bellezza del mondo animale, dove tutte le creature sono belle e libere e gentile come in un film della Disney.

 

No, un attimo, questa la ritiriamo, perché a vedere scene come questa nei cartoni dei nostri figli manca pochissimo…

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Immagine di Joachim Huber via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

 

 

 

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