Economia
Distributismo: Chesterton e «il gran sultano del capitalismo»
«Non c’è niente davanti a noi tranne un monotono deserto di standardizzazione, frutto del bolscevismo o del Grande Capitale»
Nel 1926 Chesterton pubblicava le sue considerazioni sul Distributismo (la distribuzione della piccola proprietà) nell’opera Il profilo della ragionevolezza.
In conformità con l’enciclica Rerum novarum del 1891 di Leone XIII, egli aveva difeso l’inviolabilità della proprietà privata, la famiglia come cellula primaria della società e la centralità della dignità e della responsabilità della persona. Sapeva chiaramente, come aveva ammonito Leone XIII, che il social-comunismo era una falsa soluzione al vero problema del capitalismo e della concentrazione della ricchezza: «A quanto pare c’è qualcosa di irritante e bizzarro nel dire che quando il capitale diventa troppo nelle mani di pochi, la cosa giusta da fare è rimetterlo nelle mani di molti».
«Non c’è niente davanti a noi tranne un monotono deserto di standardizzazione, frutto del bolscevismo o del Grande Capitale»
All’ingiustizia e sopraffazione del capitalismo non si poteva rispondere con l’abolizione della proprietà privata (e dell’uomo) bolscevica.
A distanza di quasi un secolo da quelle analisi chestertoniane sembra incredibile che ci troviamo, senza soluzioni, nelle medesime o, forse, peggiori condizioni: «Il capitalismo ha fatto tutto ciò che il socialismo minacciava di fare…ogni qual volta il capitalista diventa un idealista, e soprattutto quando diventa sentimentale, immancabilmente parla come un socialista».
Alludendo all’immagine tratta dai racconti delle Mille e una notte, Chesterton riferiva che al Gran Sultano del Capitalismo erano molto gradite le favole via via raccontate dalle utopie totalitarie, dal social comunismo all’anarchismo, dal liberalismo al populismo. Con queste favole orribili (basti pensare ai milioni di morti disseminati negli anni dei gulag sovietici) il Gran Sultano del Capitalismo conciliava il sonno!
«A quanto pare c’è qualcosa di irritante e bizzarro nel dire che quando il capitale diventa troppo nelle mani di pochi, la cosa giusta da fare è rimetterlo nelle mani di molti»
Chesterton denunciava in quegli anni il bluff dei grandi magazzini: «Credo che il grande negozio sia un pessimo negozio. Lo ritengo pessimo in senso morale e commerciale. Credo che quegli empori giganteschi siano non solo volgari e insolenti, ma anche incompetenti e sgradevoli».
Egli riteneva che, nonostante la falsa facciata del progresso democratico, nel mondo moderno fossero pochissime le cose ancora libere. I colori naturali erano stati falsati dalle ammiccanti luci artificiali, gli spazi erano stati riempiti dagli invadenti cartelloni pubblicitari e tutto per la cosiddetta «anima commerciale«: «L’iniziativa è dalla parte del nemico. E’ lui che si è già messo all’opera, e avrà già fatto molto, prima che noi riusciamo ad attivarci, per il semplice fatto che ha i soldi, le macchine, una maggioranza e altri vantaggi…il nemico ha quasi terminato una conquista monopolistica». Come rispondere, si chiedeva il grande scrittore londinese, a questo terribile disastro ?
«Se un uomo desidera un giardino di fiori, pianterà fiori dove può e soprattutto dove contribuiranno al carattere generale di un giardino. Ma i fiori non ricoprono completamente il giardino, lo riempiono solo di colore». Con questo apologo Chesterton indicava come sarebbe stato necessario riappropriarsi di quel senso comune e di quella buona ragione che avevano i nostri padri quando difendevano la loro terra e le loro tradizioni.
«Il capitalismo ha fatto tutto ciò che il socialismo minacciava di fare…ogni qual volta il capitalista diventa un idealista, e soprattutto quando diventa sentimentale, immancabilmente parla come un socialista»
Egli rammentava che la proprietà era come un deposito che ci era affidato dalla Provvidenza per il bene comune e che avremmo dovuto, un giorno, render conto a Dio dell’uso che ne avremmo fatto.
Per Chesterton il Gran Sultano del Capitalismo intrecciava la propria rete, la propria ragnatela attorno a tre nozioni disumane e aberranti: impersonalità, irresponsabilità, irreligiosità.
Contro la ferocia dissennata della finanziarizzazione dell’economia e dell’omologazione del pensiero bisognava reagire: «Ciò che non va nell’uomo della città moderna è il suo ignorare il perché delle cose; ed è per questo che può essere dominato da demagoghi e despoti. Egli non sa da dove vengono le cose… le menti degli uomini non sono così simili come le automobili, o come i giornali del mattino. In altre parole, non stiamo tirando fuori il meglio degli uomini. E dubito che riusciremo mai a farlo, se prima non interrompiamo questo assordante frastuono di megafoni che copre le loro voci, questo bagliore micidiale di riflettori che smorza i colori della loro carnagione, quest’urlo forte e lamentoso con cui si ripetono banalità che stordiscono e bloccano le loro menti».
«Ciò che non va nell’uomo della città moderna è il suo ignorare il perché delle cose; ed è per questo che può essere dominato da demagoghi e despoti. Egli non sa da dove vengono le cose… le menti degli uomini non sono così simili come le automobili, o come i giornali del mattino. In altre parole, non stiamo tirando fuori il meglio degli uomini
Egli ci stava ricordando il monotono e terribile deserto di standardizzazione verso il basso dove stavamo precipitando. Era tutto ciò che il Gran Sultano preferiva non sentire, desiderando addormentarsi con qualche favoletta divertente.
In quel modo il Capitalismo poteva conciliare e perpetuare il suo lungo sonno.
Fabio Trevisan
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.
L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.
L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.
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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».
Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.
La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.
Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.
Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».
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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.
L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.
Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.
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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
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Economia
La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen
La Banca Centrale Europea ha declinato di avallare il progetto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per un finanziamento di 140 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina, da assicurare mediante i patrimoni russi immobilizzati. Lo riporta il Financial Times, attingendo a fonti informate sui negoziati.
Il quotidiano britannico ha precisato che la BCE ha ritenuto l’iniziativa della Commissione – che fa leva sugli attivi sovrani russi custoditi presso Euroclear, la società depositaria belga – estranea al proprio ambito di competenza.
Bruxelles ha impiegato mesi a sondare l’utilizzo delle riserve congelate della banca centrale russa per strutturare un «mutuo di indennizzo» da 140 miliardi di euro (equivalenti a 160 miliardi di dollari) in appoggio a Kiev. Il Belgio ha più volte espresso allarmi su potenziali controversie giudiziarie e pericoli finanziari in caso di attuazione del meccanismo.
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In base alla bozza elaborata dalla Commissione, i governi degli Stati membri dell’UE offrirebbero garanzie pubbliche per distribuire il peso del rimborso del prestito ucraino.
Tuttavia, i rappresentanti della Commissione hanno segnalato che i Paesi UE potrebbero non riuscire a reperire celermente risorse in scenari di urgenza, con il pericolo di generare turbolenze sui mercati finanziari.
A quanto risulta, i funzionari UE hanno sollecitato alla BCE se potesse intervenire come prestatore estremo per Euroclear Bank, la branca creditizia dell’ente belga, al fine di scongiurare una carenza di liquidità. Gli esponenti della BCE hanno replicato alla Commissione che tale opzione è impraticabile, ha proseguito il Financial Times, basandosi su interlocutori vicini alle consultazioni.
«Un’ipotesi di tal genere non è oggetto di esame, in quanto verosimilmente contravverrebbe alla normativa dei trattati UE che esclude il finanziamento monetario», ha chiarito la BCE.
Bruxelles starebbe ora esplorando vie alternative per assicurare una provvista temporanea a supporto del mutuo da 140 miliardi di euro.
«Assicurare la liquidità indispensabile per eventuali obblighi di restituzione dei beni alla banca centrale russa costituisce un elemento cruciale di un eventuale mutuo di indennizzo», ha dichiarato FT, citando un portavoce della Commissione.
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La direttrice di Euroclear, Valerie Urbain, ha ammonito la settimana scorsa che l’iniziativa verrebbe percepita a livello mondiale come una «espropriazione delle riserve della banca centrale, che erode il principio di legalità». Mosca ha reiteratamente definito qualsiasi ricorso ai suoi attivi sovrani come un «saccheggio» e ha minacciato ritorsioni.
L’urgenza del piano si inserisce in un frangente in cui l’UE, alle prese con vincoli di bilancio, deve reperire risorse per Kiev nei prossimi due anni, aggravata dalla congiuntura di liquidità critica ucraina, con gli sforzi per attingere ai fondi russi che si acuiscono mentre Washington avanza una nuova proposta per dirimere il conflitto. Gli analisti prevedono che l’Ucraina affronterà un disavanzo di bilancio annuo di circa 53 miliardi di dollari nel quadriennio 2025-2028, al netto degli stanziamenti militari extra.
L’indebitamento pubblico e garantito dal governo del Paese ha raggiunto picchi storici, oltrepassando i 191 miliardi di dollari a settembre, ha comunicato il Ministero delle Finanze. Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato al rialzo le stime sul debito ucraino, proiettandolo al 108,6% del PIL.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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