Economia
Crisi del diesel nella UE a causa della crisi con la Russia: anche Bloomberg se ne accorge
L’UE avrà difficoltà a sostituire il diesel russo quando il 5 febbraio entrerà in vigore un divieto sui prodotti petroliferi del paese e un tetto massimo di prezzo, ha riferito Bloomberg venerdì scorso.
Secondo la testata, citando i dati di tracciamento delle navi di Vortexa, l’UE ha importato circa 220 milioni di barili di prodotti di tipo diesel dalla Russia nel 2022. A dicembre, circa il 40% del carburante è arrivato nel blocco europea dal Paese sanzionato.
Mentre la dipendenza della regione dai prodotti petroliferi russi è stata ridotta lo scorso anno, nel 2021 più della metà di tutte le spedizioni marittime verso l’UE e il Regno Unito erano russe, il che dimostra ulteriormente la difficoltà di sostituire i barili che cadranno sotto il divieto in meno di tre settimane.
I dati hanno mostrato che l’UE ha già iniziato ad aumentare le spedizioni di diesel dall’Arabia Saudita e dall’India. Gli analisti affermano che queste spedizioni potrebbero essere ulteriormente aumentate quest’anno, attraverso una serie di nuove raffinerie di petrolio che presto entreranno in funzione. Gli esperti indicano anche che gli Stati Uniti hanno il potenziale per fornire più diesel al blocco.
Inoltre, la Cina potrebbe indirettamente aiutare la regione ad acquisire forniture di gasolio. Si prevede che le esportazioni di carburante diesel del paese saranno simili in volume a quelle che l’UE e il Regno Unito ricevevano dalla Russia prima delle sanzioni. Anche se queste spedizioni di solito non finiscono in Europa, potrebbero sostituire i volumi di altri produttori, che sarebbero quindi liberi di fornire il loro carburante alla regione.
L’UE potrebbe anche utilizzare paesi intermediari per ottenere il carburante. La Turchia, non essendo uno stato membro e quindi non soggetto a sanzioni contro Mosca, potrebbe aumentare le importazioni di diesel russo e venderlo al blocco dopo la raffinazione, cosa consentita dai termini del divieto e del prezzo massimo. Tuttavia, in tal caso, il costo finale del carburante potrebbe essere molto più elevato.
Gli esperti avvertono che le sanzioni potrebbero portare alla scomparsa totale dei barili russi dal mercato globale, se il Paese non riesce a trovare nuovi acquirenti extra-UE. Ciò costringerebbe Mosca a tagliare la produzione e, di conseguenza, a ridurre l’offerta complessiva e ad aumentare i prezzi. Insieme all’elevata domanda, ciò potrebbe portare a un peggioramento della crisi energetica nel blocco europeo.
Come riportato da Renovatio 21, le sanzioni hanno creato un incubo inflattivo nei combustibili diesel e in Europa e USA.
In Europa abbiamo già avuto un Paese con grosse difficoltà nel diesel, al punto da avere autostrade sprovvista: è l’Ungheria.
Tutto il trasporto su gomma – cioè ciò che permette ai prodotti di arrivare a destinazione – è basato su diesel. Paralizzare il mercato del diesel significa fermare l’intera economia mondiale.
Nove mesi fa Renovatio 21 ha pubblicato un’attenta e profetica analisi di William F. Engdahl su come le sanzioni NATO avrebbero causato il prossimo disastro globale del diesel e di lì il collasso economico mondiale.
«La crisi globale del carburante diesel in corso, salvo un’importante inversione di tendenza, è un impatto drammatico su tutte le forme di trasporto su camion e auto, agricoltura, estrazione mineraria e simili. Significherà una catastrofe per un’economia mondiale già in crisi» scriveva l’analista americano.
«La vera economia globale interconnessa industriale non è come un gioco di giocattoli lego. È altamente complessa e finemente sintonizzata. Quella sintonizzazione fine viene sistematicamente distrutta e tutte le prove sono che è deliberata. Benvenuti nell’agenda eugenetica del Great Reset di Davos».
Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
La Republic First Bank fallisce: la crisi bancaria USA non è finita
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Economia
BlackRock si unisce al pressing sull’Arabia Saudita: deve uscire dai BRICS
L’Arabia Saudita è oggetto di una pressione da parte di tutta la corte progettata per tirarla fuori dai BRICS e riallinearla con Londra e Washington.
Nello stesso momento in cui il Segretario di Stato americano Tony Blinken era in Arabia Saudita questa settimana per lavorare sulla «normalizzazione delle relazioni» tra Israele e Arabia Saudita – vale a dire, affinché i Sauditi riconoscano Israele in cambio di un patto militare con gli Stati Uniti – erano presenti nel regno wahabita anche Larry Fink e altri alti dirigenti di BlackRock per firmare un accordo con il governo saudita per il lancio della società BlackRock Riyadh Investment Management.
La nuova entità, detta anche BRIM, sarà una nuova «società di investimento multi-class» a Riyadh, con 5 miliardi di dollari di capitale iniziale di origine saudita, che dovrà «gestire fondi che investono principalmente in Arabia Saudita ma anche nel resto del Medio Oriente e del Nord Africa», ha riferito il Financial Times.
«L’obiettivo è attrarre ulteriori capitali esteri in Arabia Saudita e rafforzare i suoi mercati dei capitali attraverso una gamma di fondi di investimento gestiti da BlackRock», che ha in gestione una bella somma di 10,5 trilioni di dollari. Il CEO di BlackRock Larry Fink ha dichiarato in una nota che «l’Arabia Saudita è diventata una destinazione sempre più attraente per gli investimenti internazionali… e siamo lieti di offrire agli investitori di tutto il mondo l’opportunità di parteciparvi».
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L’Arabia Saudita aveva segnalato il suo interesse ad entrare nei BRICS ancora due anni fa.
Come riportato da Renovatio 21, pare che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – capo de facto del regno islamico – cinque mesi fa abbia snobbato i britannici per incontrare il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Negli stessi mesi il Regno aveva stipulato con la Cina un accordo di scambio per il commercio senza dollari.
Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata nel 2022 con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.
A gennaio 2023, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato al World Economic Forum che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.
«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il WEF di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».
Il rapporto tra la Casa Saud e Washington, con gli americani impegnati a difendere la famiglia reale araba in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del greggio (come da accordi presi sul Grande Lago Amaro tra Roosevelt e il re saudita Abdulaziz nel 1945) sembra essere arrivato al termine.
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Immagine di pubblico dominio CCO via Flickr
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