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Epidemie

Cina e Vaticano, tra gay e Coronavirus

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La Santa Sede «apprezza questo gesto generoso ed esprime la sua gratitudine ai Vescovi, ai fedeli cattolici, alle istituzioni e a tutti gli altri cittadini cinesi». Il Vaticano ha ringraziato la Cina per aver inviato forniture mediche per aiutare a combattere il COVID-19, nonostante il virus si sia originato proprio nel paese comunista.

 

«Il Vaticano esulta per la spedizione di forniture mediche cinesi per aiutare a gestire il coronavirus» titola la testata prolife canadese Lifesitenews.

 

L’inviata a Roma Diane Montagna riporta la dichiarazione del 9 aprile di Matteo Bruni della Sala Stampa della Santa Sede: le «donazioni» sono arrivate attraverso la Croce Rossa cinese e la Hebei Jinde Charities Foundation e che le forniture sono state «un’espressione di solidarietà del popolo cinese e delle comunità cattoliche verso coloro che sono coinvolti nel soccorso delle persone colpite da COVID-19 e nella prevenzione dell’attuale epidemia di coronavirus».

 

La Santa Sede, che dall’Italia riceve quantomeno il fiume di danaro dell’8 per mille, ad inizio febbraio aveva pure inviato gratuitamente 700.000 mascherine ai cinesi

La Santa Sede «apprezza questo gesto generoso ed esprime la sua gratitudine ai Vescovi, ai fedeli cattolici, alle istituzioni e a tutti i cittadini cinesi per questa iniziativa umanitaria, assicurando loro la stima e le preghiere del Santo Padre».

 

Come abbiamo preso di recente anche dalla cronaca di altri Paesi (Olanda, Spagna), la Cina non sta esattamente regalando le forniture mediche, che talvolta sono inutilizzabili perché difettose. Abbiamo appreso anche dai discorsi arzigogolati del Ministro degli Esteri Italiano Di Maio che la Cina sta vendendo il materiale, anche se poi la politica filocinese ci sta facendo credere che si tratti di aiuti. Lo scandalo è sorto quando un ufficiale dell’amministrazione Trump avrebbe rivelato che la Cina avrebbe costretto l’Italia a comprare le stesse mascherine che l’Italia in primo luogo aveva donato gratuitamente, quando la crisi epidemica pareva essere confinata alla sola Cina.

 

Ricordiamo qui che anche la Santa Sede, che dall’Italia riceve quantomeno il fiume di danaro dell’8 per mille, aveva pure inviato gratuitamente 700.000 mascherine ai cinesi. Era il 3 febbraio 2020.

 

Non è chiaro cosa abbia voluto la Repubblica Popolare Cinese in cambio.  Magari il pagamento non è stato in danaro: verrebbe da dire che la Santa Sede, con la sua sconsiderata e blasfema ostpolitik verso la Cina (di fatto un tradimento di quasi un secolo di martiri cattolici cinesi, e di milioni di fedeli che vivono la Fede nelle catacombe rischiando l’arresto e la morte) forse ha pagato con l’anima. Qualcuno potrebbe dire che ha già pagato.

L’accordo del 2018 tra Pechino e Vaticano di fatto è la vendita dell’anima cattolica al Moloch del Partito Comunista Cinese

 

L’accordo del 2018 tra Pechino e Vaticano di fatto è la vendita dell’anima cattolica al Moloch del Partito Comunista cinese. Sotto la supervisione del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, l’accordo garantisce potere decisionale al governo di Xi nella nomina dei vescovi, tra le altre concessioni, e apre la strada all’unificazione dell’Associazione Patriottica Cinese (cioè la chiesa «patacca» creata dai cinesi per attirare i cattolici), approvata dallo Stato, e la Chiesa sotterranea, i cui membri sono rimasti uniti alla Santa Sede nonostante il rischio di essere uccisi, imprigionati o altrimenti perseguitati per la loro fede.

 

Per attuare l’affare, il  Vaticano  ha riconosciuto e consacrato sette vescovi «patriottici» scomunicati e ha chiesto a due vescovi clandestini che avevano servito fedelmente per decenni sotto intense persecuzioni di dimettersi a favore dei vescovi riconosciuti dal Partito Comunista. Partito che regge quello Stato dove la fertilità è limitata con aborti forzati, dove l’espianto degli organi è una realtà comune, dove la religione è perseguitata – tutte cose a cui, prima dell’accordo pechinese-bergogliano, pareva che alla Chiesa importasse qualcosa.

 

In Cina la fertilità è limitata con aborti forzati, dove l’espianto degli organi è una realtà comune, dove la religione è perseguitata – tutte cose a cui, prima dell’accordo pechinese-bergogliano, pareva che alla Chiesa importasse qualcosa

«Il Vaticano dovrebbe capire che sta trattando con le organizzazioni del fronte del Partito Comunista e moderare i suoi entusiasmi in generale per quanto riguarda tutte le questioni relative alla Cina», ha scritto in una e-mail a LifeSiteNews Steve Mosher, esperto di affari cinesi che ha esposto al mondo la politica sull’aborto forzato del Partito Comunista, nonché i suoi orribili protocolli per l’espianto di organi.

 

«La Croce Rossa cinese, nonostante il nome, non ha alcun legame con il Cristianesimo. È un’organizzazione gestita dal governo in Cina che è stata recentemente  accusata  di ricevere donazioni destinate alle persone sofferenti di Wuhan nelle settimane passate e averle dirottate per i propri scopi» continua Mosher, autore del libro edito nel 2017 Bully of Asia: Why China’s Dream is the New Threat to World Order Il bullo dell’Asia: perché il sogno cinese è la nuova minaccia per l’ordine mondiale»).

 

«Inoltre, la qualità delle forniture mediche dalla Cina dovrebbe sempre essere attentamente esaminata prima di essere utilizzata. I respiratori non filtrano correttamente i patogeni nell’aria, mentre i test spesso producono risultati falsi», ha aggiunto.

 

Mosher ha anche dichiarato altrove che sta sta diventando sempre più evidente che il coronavirus è sfuggito al laboratorio biomedico di Wuhan, che i tentativi del leader comunista Xi Jinping di sopprimere la notizia dell’epidemia e del rifiuto di agire hanno portato a innumerevoli morti in Cina e alla conseguente rapida e catastrofica diffusione del virus in tutto il mondo, e che il regime di Xi continua a mentire sulla devastazione che la malattia ha provocato in Cina.

 

In Vaticano dell’ipotesi di virus artificiale – ipotesi che esporrebbe Pechino a responsabilità abissali che potrebbero disintegrare il «disgelo» tra Pechino e il Sacro Palazzo – non è stata mai nominata. Tuttavia nel mondo cattolico fuori dall’orbita della cricca bergogliana cardinali e vescovi cominciano a parlarne.

 

L’immorale realpolitik vaticana spiega il silenzio dinanzi alla catastrofe virale globale partita dalla Cina

Il Cardinale cingalese Malcolm Ranjith, noto per le sue posizioni conservatrici, ha parlato subito della Pandemia come il frutto «di sperimentazioni da parte di una nazione ricca e potente», e aggiungendo anche prospettive di politica transnazionale necessarie: «dobbiamo  mettere al bando questo tipo di sperimentazioni che portano al risultato della perdita di vita e causano dolore e sofferenze a tutta la umanità» ha detto il cardinale di Colomb, mandando un messaggio alle autorità internazionali, che dovrebbero aprire le indagini e portare i «responsabili a processo per genocidio».

 

A Ranjith ha fatto eco il vescovo birmano Charles Maung Bo, la prima figura religiosa ad accusare pubblicamente il Partito Comunista Cinese di essere «moralmente colpevole» per la pandemia, di aver vittimizzato il popolo cinese e di «aver distrutto vite in tutto il mondo».

 

L’immorale realpolitik vaticana spiega il silenzio dinanzi alla catastrofe virale globale partita dalla Cina.  «Da quando è stato firmato l’accordo, il regime di Xi ha iniziato la  campagna per eliminare la Chiesa cattolica sotterranea, costringendo i sacerdoti a firmare un documento attestante che aderiranno alla “Chiesa cattolica indipendente” gestita dallo stato che ha portato all’arresto dei sacerdoti che si oppongono, alla chiusura delle loro parrocchie e alla persecuzione» scrive LSN.

 

Nel frattempo, papa Francesco ha diffuso un video messaggio indirizzato ai cattolici cinesi a marzo incoraggiandoli ad essere «buoni cittadini» e a non impegnarsi in attività di «proselitismo», un comando che si oppone in modo patente a quello evangelico: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc, 16,15)

L’ironia dell’accoglienza da parte del Vaticano delle forniture mediche cinesi non è passata inosservata ai cattolici sui social media. «I loro 30 pezzi d’argento per aver tradito la Chiesa in Cina … disgustoso»,  ha commentato il frate David M. Chiantella. «Il Vaticano è perduto. Sta a noi mantenere forte la nostra fede. Non possiamo più fare affidamento sui leader della nostra fede. Sono stati compromessi », ha commentato Amme Grimaldi.

 

Nel frattempo, papa Francesco ha diffuso un video messaggio indirizzato ai cattolici cinesi a marzo incoraggiandoli ad essere «buoni cittadini» e a non impegnarsi in attività di «proselitismo», un comando che si oppone in modo patente a quello evangelico: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc, 16,15)

 

«La Chiesa vuole che i cristiani cinesi siano veri cristiani e buoni cittadini», ha detto il Bergoglio. «Dovrebbero promuovere il Vangelo, ma senza impegnarsi nel proselitismo e devono raggiungere l’unità della comunità cattolica divisa».

 

Qualcuno ha notato che l’accordo tra il Vaticano e la Cina potrebbe pure essere dovuto ad uno specioso misfatto elettronico.

 

Che ci sia verso pezzi grossi della Curia da parte del Partito Comunista Cinese anche un possibile ricatto basato sui dati dell’app di incontri omosessuali Grindr?

Grindr, la app di incontri sessuali gay dove si dice siano presenti vari consacrati (notoriamente, la quantità di omosessuali in Curia è secondo alcune analisi piuttosto alta), per un periodo finì nelle mani dei cinesi, che acquistarono la società. Il governo Trump chiese alla Cina di farla tornare in mano americana, perché i servizi USA paventavano che le informazioni contenute in quella app (tra cui alcune davvero delicate, ) mettessero a rischio la sicurezza nazionale: quante persone, nell’esercito e nella pubblica amministrazione, nel governo e nelle grandi aziende, potevano essere ricattate?

 

Cosa piuttosto incredibile, la Cina acconsentì, e l’applicazione dei festini omosessuali tornò di proprietà americana. È lecito pensare che qualche copia dei file i cinesi li abbiano tenuti.

 

Che ci sia verso pezzi grossi della Curia da parte del Partito Comunista Cinese anche un possibile ricatto basato sui dati dell’app di Sodoma? Probabilmente non lo sapremo mai.

 

Tuttavia vi lasciamo con una curiosa coincidenza. Ad inizio gennaio vi fu un’offerta italiana di ben 260 milioni di euro per acquistare Grindr. Ad offrire la non indifferente somma è stata la software house milanese Bending Spoons, una startup partecipata dalla holding H14 (che fa capo a Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi) e Nuo Capital, che è un fondo guidato da un ex top manager di Banca Imi, ma, si lesse sui giornali, «con capitale asiatico».

 

Il tutto mentre nella bergamasca preti veri muoiono a decine per portare i sacramenti ai fedeli sterminati dal virus cinese. Sono anche quelli dei martiri «cinesi» che la Chiesa non vuole riconoscere più.

Bending Spoons è l’azienda scelta dal governo per l’app di tracciamento dei cittadini ai tempi del Coronavirus.

 

In Cina l’app di tracciamento è una realtà assodata che impedisce la libera circolazione dei cittadini. Dell’allucinante società di sorveglianza elettronica che è la Cina Renovatio 21 vi ha parlato spesso. Per molti, per esempio per il capo della non troppo lucida task force per la riapertura Vittorio Colao, sistemi di controllo ultradiffusi sono il nostro destino obbligato.

 

Insomma, l’Italia finisce ad assomigliare sempre più alla Cina. A farci da apripista sono stati, come spesso è accaduto, i preti.  O meglio, dei personaggi in clergyman e senza nessuna Fede, ma con la particolarità di qualche vizietto per il quale forse sono pure ricattati.

 

Il tutto mentre nella bergamasca preti veri muoiono a decine per portare i sacramenti ai fedeli sterminati dal virus cinese. Sono anche quelli dei martiri «cinesi» che la Chiesa non vuole riconoscere più.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Epidemie

La Russia sottoporrà a test per l’epatite tutti i lavoratori immigrati. E l’Italia?

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A partire da marzo 2026, la Russia imporrà ai lavoratori migranti di sottoporsi a test per l’epatite B e C, ampliando le attuali disposizioni di screening medico. Le nuove regole si applicheranno ai cittadini stranieri e agli apolidi che entrano in Russia per lavoro, oltre a coloro che richiedono lo status di rifugiato o asilo temporaneo.

 

Le visite mediche sono obbligatorie per i migranti: senza di esse, non è possibile ottenere permessi di lavoro, residenza temporanea o permanente. I lavoratori migranti devono completare gli esami entro 30 giorni dall’arrivo, mentre chi non intende lavorare ha 90 giorni di tempo. Attualmente, gli screening includono test per droghe e malattie gravi come HIV, tubercolosi, sifilide e lebbra.

 

Le modifiche al processo di controllo sanitario per gli stranieri in visita sono state proposte all’inizio dell’anno da un gruppo di lavoro sulle politiche migratorie, guidato dalla vicepresidente della Duma di Stato, Irina Yarovaya. La vicepresidente ha chiarito che l’obiettivo è rafforzare il monitoraggio sanitario degli stranieri in arrivo e prevenire la diffusione di malattie pericolose.

 

I lavoratori migranti sono fondamentali per l’economia russa, occupando ruoli chiave in settori come edilizia, agricoltura e servizi. Milioni di migranti, soprattutto dall’Asia centrale, sono attratti da salari più alti rispetto ai loro paesi d’origine. Tuttavia, questo afflusso ha sollevato dibattiti su salute pubblica e stabilità sociale. Per questo, le autorità russe hanno introdotto rigidi controlli sanitari e requisiti per i migranti, cercando di bilanciare i benefici economici con la sicurezza sanitaria.

 

Nell’ultimo anno, la Russia ha anche intensificato la lotta contro l’immigrazione illegale. Il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che istituisce una nuova agenzia statale all’interno del Ministero dell’Interno, incaricata di migliorare la gestione dei flussi migratori.

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Il Cremlino ha dichiarato che l’iniziativa punta a razionalizzare il processo migratorio, promuovere il rispetto delle leggi russe tra i migranti e ridurre le attività illegali.

 

In Italia la situazione epidemiologica dell’immigrazione è un grande tabù del discorso pubblico.

 

«In base ai dati epidemiologici in nostro possesso, risulta che in Italia il 34,3% delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera» diceva in un’intervista a Renovatio 21 il dottor Paolo Gulisano sette anni fa. «Considerato che gli stranieri rappresentano circa il 10% della popolazione italiana, questo dato vuole dire che la diffusione dell’HIV tra gli stranieri è oltre il triplo che negli italiani».

 

«Un dato che fa pensare. Molti immigrati provengono da Paesi dove la diffusione dell’HIV, così come quella della TBC, è molto più alta che in Europa. Basta far parlare i dati. Il numero dei decessi correlati all’AIDS nel 2016 per grandi aree è il seguente: Africa Sud-Orientale: 420 mila; Africa Centro-Orientale: 310 mila; Nord Africa e Medio Oriente: 11 mila; America Latina: 36 mila, più il dato dei soli Caraibi che è di 9400. Europa dell’Est e Asia centrale: 40 mila; Europa Occidentale e Nord America: 18 mila; Asia e Pacifico: 170 mila. Ora, la lettura di questi numeri ci fornisce delle evidenze molto chiare».

 

«È quindi chiaro quali siano i rischi di una immigrazione di massa, incontrollata anche dal punto di vista sanitario, e i rischi legati al fatto che un numero impressionante di immigrate africane viene gettato nel calderone infernale della prostituzione, che diventa veicolo di diffusione di malattie veneree».

 

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Epidemie

Paura e profitto, dall’AIDS al COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   La regista ed ex reporter della BBC Joan Shenton ha paragonato la pandemia di COVID-19 all’epidemia di AIDS, definendola una «seconda versione» della stessa narrazione sulla salute pubblica. Entrambe le epidemie includevano l’uso improprio dei test PCR, la soppressione di scienziati dissenzienti e le motivazioni finanziarie alla base del «terrore della peste», ha affermato Shenton in un’intervista con Mary Holland, CEO di Children’s Health Defense, su CHD.TV.   La pandemia di COVID-19 è stata un evento che si verifica una volta ogni secolo o ha avuto parallelismi nella storia recente? Per la regista ed ex reporter della BBC Joan Shenton, la pandemia è stata la «seconda ripresa» dell’epidemia di AIDS.   «È stato così angosciante dover affrontare il COVID», ha detto Shenton a Mary Holland, CEO di Children’s Health Defense (CHD), durante un’intervista di lunedì su CHD.TV. «Se solo avessimo potuto vincere la battaglia contro l’AIDS, non avremmo avuto il COVID».   Shenton, produttore del documentario del 2011 Positivamente Falso: Nascita di un’eresia e autore del libro del 1998 «Positively False: Exposing the Myths around HIV and AIDS», si è unito alla Holland per discutere delle somiglianze tra l’epidemia di COVID-19 e quella di AIDS.   Entrambe le epidemie includono l’uso inappropriato dei test PCR per determinare l’infezione, la somministrazione di trattamenti medici che si sono rivelati mortali per molti pazienti, il coinvolgimento di personaggi come il dottor Anthony Fauci e le ripercussioni affrontate dagli scienziati che hanno messo in discussione la narrazione dominante, ha affermato Shenton.   «Una delle cose straordinarie e sorprendenti di tutto questo… è quanto siano simili molte delle dinamiche dell’epidemia di AIDS a quelle dell’epidemia di COVID», ha affermato Shenton.   Secondo Shenton, le risposte all’AIDS e al COVID-19 sono esempi di «terrore della peste», una strategia «utilizzata da organizzazioni che guadagnano enormi quantità di denaro attraverso le malattie infettive, definendo le cose infettive».   Shenton ha affermato di pensare che il suo documentario avrebbe contribuito a cambiare la narrazione dominante sull’AIDS, ma non è riuscito a superare i potenti interessi che traggono profitto dallo status quo.   «Spesso pensavamo che avremmo cambiato il mondo, ma non è così», ha detto Shenton.   Tuttavia, il documentario ha prodotto un archivio di 35 anni di studi scientifici, interviste video e altri documenti. Shenton ha donato la biblioteca informativa al CHD.   «Metteremo a disposizione un archivio delle sue migliaia e migliaia di pagine sull’AIDS», ha affermato Holland. Si prevede che i documenti saranno accessibili nei prossimi mesi.

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Le opinioni dissenzienti sull’AIDS «abilmente represse per decenni»

Shenton era una reporter della BBC, l’emittente pubblica nazionale del Regno Unito, quando sviluppò il lupus indotto da farmaci, dopo essere stata sottoposta a un’eccessiva terapia farmacologica in Spagna negli anni ’70.   «Mi hanno dato tutto quello che c’era scritto nel libro», ha detto Shenton. «Certo, sono imploso e mi sono sentito gravemente male. Sono stato al Westminster Hospital per due mesi. Sono quasi morto».   L’esperienza ha suscitato in lei l’interesse per le indagini sulle lesioni causate dai trattamenti medici.   In seguito è entrata a far parte dell’emittente nazionale britannica Channel 4, producendo una serie di documentari, Kill or Cure. La serie si concentrava sulla riluttanza delle grandi aziende farmaceutiche a ritirare trattamenti pericolosi o inefficaci. «Quello mi ha davvero dato la carica», ha detto Shenton.   Nei primi anni ’80, Shenton e il suo produttore vennero a conoscenza della ricerca del dottor Peter Duesberg, un biologo molecolare tedesco che sosteneva che l’HIV non causava l’AIDS.   Iniziò a mettere in discussione le narrazioni dominanti. «Abbiamo continuato a realizzare 13 documentari sull’AIDS», ha detto Shenton.   Il documentario Positively False si concentra sulla «manipolazione delle aziende farmaceutiche e delle organizzazioni [mediche] interessate in tutto il mondo, che manipolano il terrore della peste», ha affermato Shenton.   Il film rivela «la scienza imperfetta che circonda l’AIDS e le conseguenze di seguire ipotesi sbagliate», ha affermato Shenton nell’introduzione. Tra queste, la convinzione che l’AIDS sia infettivo, che sia causato dall’HIV e che l’HIV sia contagioso.   «Molti scienziati e ricercatori non sono d’accordo. Queste opinioni sono state abilmente represse per decenni dall’ortodossia scientifica prevalente e dai media mainstream», ha affermato Shenton nel documentario.   I ricercatori che mettevano in discussione la narrazione dominante sull’HIV/AIDS sono stati repressi e messi a tacere, così come gli scienziati che mettevano in discussione la narrazione prevalente sul COVID-19, ha affermato Shenton.

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Test PCR «completamente inutili» per AIDS e COVID

In entrambi i focolai, sono stati utilizzati test PCR per determinare l’infezione, ha affermato.   «Il test [PCR] è completamente e totalmente inutile», ha detto Shenton. I test non possono «distinguere tra particelle infettive e non infettive».   Shenton ha affermato che i diversi Paesi utilizzano standard diversi per determinare una diagnosi positiva di HIV.   «Si potrebbe fare il test per l’HIV, per esempio in Sudafrica, e risultare positivi, e volare in Australia e risultare negativi», ha detto Shenton.   All’inizio dell’epidemia di AIDS, molti scienziati ritenevano che fattori legati allo stile di vita, tra cui la dipendenza da droghe ricreative e l’uso di nitriti come i «poppers», fossero la causa dell’AIDS a causa dei danni che provocavano al sistema immunitario.   Allo stesso tempo, i funzionari sanitari e i media hanno erroneamente attribuito la diffusione della malattia in Africa all’AIDS, quando in realtà era la mancanza di accesso all’acqua potabile a far ammalare le persone, ha detto Shenton.   Queste narrazioni sono cambiate quando le agenzie sanitarie governative hanno iniziato a interessarsi alla ricerca sull’AIDS, ha affermato Shenton.   «Quando il CDC [Centers for Disease Control and Prevention] è intervenuto e ha riunito tutti i suoi rappresentanti per esaminare questo gruppo di giovani uomini che erano molto, molto malati… l’intera teoria secondo cui l’AIDS era causato dallo stile di vita o dalla tossicità è scomparsa», ha detto Shenton.

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Fauci ha promosso trattamenti mortali per AIDS e COVID

Shenton ha affermato che i trattamenti medici dannosi sono stati al centro sia dell’epidemia di AIDS che di quella di COVID-19.   Nel 1987, la Food and Drug Administration statunitense approvò l’AZT (azidotimidina) per le persone sieropositive. L’AZT si rivelò pericoloso per molti pazienti affetti da AIDS. Durante la pandemia di COVID-19, i vaccini e il remdesivir hanno danneggiato le persone.   E in entrambi i casi – l’epidemia di AIDS e la pandemia di COVID-19 – Fauci ha svolto un ruolo chiave.   «Eravamo profondamente, profondamente critici nei confronti di Fauci, per il modo in cui ha gestito gli studi multicentrici di fase due sull’AZT. Voglio dire, erano corrotti, e tutta la prima fase è stata finanziata dall’azienda farmaceutica [Burroughs Wellcome, ora GSK ], e avevano dei rappresentanti, e questo è noto attraverso i documenti sulla libertà di informazione, che sono andati lì e hanno portato a casa i risultati del gruppo trattato con il farmaco e del gruppo placebo, eliminando gli effetti collaterali nel gruppo trattato con il farmaco» ha detto la Shenton.   Nel film Positively False, diversi scienziati e ricercatori hanno spiegato come l’AZT impedisca la sintesi del DNA, impedisca la replicazione delle cellule e contribuisca alla generazione di cellule cancerose.   Tuttavia, secondo il documentario, i pazienti che mettevano in dubbio la sicurezza e l’efficacia dell’AZT venivano stigmatizzati e la loro sanità mentale veniva messa in discussione.   Holland ha fatto riferimento al libro del 2021 del Segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr., The Real Anthony Fauci : Bill Gates, Big Pharma, and the Global War on Democracy and Public Health che contiene una sezione sul lavoro di Fauci durante l’epidemia di AIDS.   «Solleva tutti questi interrogativi il fatto che in realtà sembra la stessa truffa e gli stessi giocatori… non è cambiato molto», ha detto Holland.

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Il «terrore della peste» esisteva molto prima dell’AIDS o del COVID

Secondo Shenton, le epidemie di AIDS e COVID-19 sono esempi di «terrore della peste», che è esistito nel corso della storia.   All’inizio del XX secolo, negli Appalachi, fu diagnosticata un’epidemia di pellagra. La malattia, che causava una mortalità diffusa e si diceva fosse infettiva, si rivelò essere una carenza nutrizionale.   «Negli Appalachi, la popolazione molto povera viveva con una dieta completamente priva di nutrienti», ha detto Sheton. «Si trattava di una varietà di mais, ma lo cucinavano eliminandone tutti i nutrienti e dipendevano solo da quello».   La gente aveva così tanta paura di contrarre la pellagra che coloro che si pensava fossero infetti venivano ricoverati in istituti o «gettati fuori dalle navi», ha affermato.   Un infettivologo di New York, il dottor Joseph Goldberger, stabilì che la pellagra non era contagiosa, ma era causata da malnutrizione e carenza di niacina (vitamina B), ha detto Shenton. Fu emarginato per le sue scoperte.   «È stato ridotto allo stato laicale, privato dei fondi, ridicolizzato. È morto. E cinque anni dopo la sua morte, hanno detto che aveva assolutamente ragione: non era contagioso, era tossico», ha detto.   Secondo Shenton, in Giappone dagli anni ’50 agli anni ’70 la mielo-ottico-neuropatia subacuta (SMON) era comune.   «Centinaia di migliaia di giapponesi sono rimasti paralizzati dalla vita in giù e ciechi, e nessuno riusciva a capire il perché. E ovviamente pensavano: “Oh, è un virus”», ha detto.   Un neurologo giapponese, il dottor Tadao Tsubaki, ha studiato i pazienti affetti da SMON e ha stabilito che la condizione non era infettiva, ma era causata da un farmaco antidiarroico ampiamente somministrato, il cliochinolo.   «Ci sono voluti 30 anni e squadre di avvocati per respingere in tribunale l’idea che la causa della SMON fosse un virus», ha affermato Shenton.   Michael Nevradakis Ph.D.   © 7 ottobre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.    

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Epidemie

Le restrizioni COVID in Spagna dichiarate incostituzionali, annullate oltre 90.000 multe

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Oltre 90.000 multe per violazioni delle norme anti-COVID sono state annullate dopo che la Corte costituzionale spagnola ha dichiarato incostituzionali le severe misure adottate nel 2020.

 

Secondo il quotidiano spagnuolo The Objective, al 3 settembre 2025 sono state revocate 92.278 sanzioni, in seguito alla sentenza che ha giudicato incostituzionali alcune disposizioni del decreto sullo stato di emergenza del 2020, in vigore durante il primo lockdown per il COVID-19.

 

Queste sanzioni rappresentano solo la prima tranche di multe destinate all’annullamento, con altre che probabilmente seguiranno. Durante il rigido lockdown del 2020, imposto con lo stato di allarme, sono state emesse oltre 1 milione di sanzioni a livello nazionale, con circa 1,3 milioni di persone multate per aver violato le restrizioni.

 

La Corte Costituzionale ha stabilito che alcune parti dell’articolo 7 del Regio Decreto 463/2020, relative al divieto generale di circolazione, comportavano una sospensione ingiustificata del diritto fondamentale alla libertà di movimento, andando oltre una semplice limitazione. Tale misura superava i limiti dello stato di allarme, secondo la Corte, che ha precisato che una restrizione così drastica sarebbe stata giustificabile solo con uno stato di emergenza più severo, soggetto a un iter parlamentare più rigoroso.

 

La sentenza si applica retroattivamente a tutte le multe emesse durante il lockdown del 2020, creando un notevole onere per l’amministrazione statale. The Objective riferisce che «l’applicazione è stata lenta e disuniforme a seconda delle regioni», suggerendo che i rimborsi potrebbero richiedere mesi o anni.

 

Il quotidiano sottolinea che i 92.278 casi annullati finora rappresentano «solo la punta dell’iceberg di una crisi normativa» derivante dalle severe politiche di lockdown imposte dal governo spagnolo nel 2020.

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Immagine di Javier Perez Montes via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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