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Birmania, Natale di sangue per i cattolici Karen

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Nessuna tregua di Dio per l’etnia Karen: il 24 dicembre 2021, poche ore prima della festa di Natale, trentacinque civili, tutti cattolici, sono stati bruciati vivi nel villaggio di Mo So, nello stato di Kayah, a est del Myanmar.

 

Le foto che documentano questo massacro sono state rilasciate il successivo 28 dicembre da una milizia armata locale affiliata alla Karenni Nationality Defence Force (KNDF), che combatte contro la giunta militare al potere dal colpo di stato del 1 febbraio 2021.

 

Questi oppositori accusano Tatmadaw – il nome usato dall’esercito birmano – di essere responsabile di questo atto barbarico: anche quest’ultimo ammette i fatti, sostenendo che si trattava di punire i «terroristi».

 

Poche ore prima della festa di Natale, trentacinque civili, tutti cattolici, sono stati bruciati vivi nel villaggio di Mo So, nello stato di Kayah, a est del Myanmar

Tuttavia, i primi resoconti dei genitori delle vittime e di un contadino locale contraddicono la versione di Tatmadaw: sono già stati identificati due piccoli corpi carbonizzati, quello di John, un bambino di tre anni, e di Agatha, una bambina di due, massacrati in compagnia dei loro genitori.

 

A questi, bisogna aggiungere due operatori birmani che hanno collaborato con l’ONG internazionale Save the Children: la tesi delle rappresaglie militari contro presunti terroristi non sta in piedi… Come ha appreso l’agenzia Fides da una fonte attendibile, i soldati hanno dato il permesso ai parenti delle vittime per entrare nell’area e recuperare i corpi, tutti carbonizzati.

 

Il funerale era un semplice rito funebre guidato da catechisti, senza sacerdote né messa, poiché Tatmadaw non ha permesso nemmeno al parroco locale di raggiungere il villaggio. La maggior parte dei civili uccisi appartiene all’etnia Karenni – o Karen – etnia principale del Kayah, di fede cattolica, in un Paese per il 90% buddista.

 

Clément, laico cattolico presente alla cerimonia funebre, ha raccontato a Fides: «Siamo tutti tristi, spaventati, scioccati. Questa è vera crudeltà. Erano persone innocenti in fuga dai combattimenti. Questo tipo di attacco è atroce e disumano. C’è una totale perdita di coscienza tra i militari».

 

Secondo diverse fonti di informazione incrociate da Le Monde, la strage è avvenuta dopo aver combattuto per un’ora tra soldati del regime e combattenti del KNDF, nei pressi del villaggio di Mo So. Secondo quanto riferito, diverse dozzine di abitanti del villaggio sono state arrestate dai soldati che hanno legato loro le mani e li hanno accatastati in una mezza dozzina di veicoli che hanno poi dato alle fiamme.

 

Quattro membri delle Guardie di frontiera, che sono comunque unità filo-regime, ma con una componente etnica vicina ai gruppi ribelli, hanno avuto il coraggio di supplicare i soldati di risparmiare i civili, senza successo: sono stati giustiziati con un colpo alla testa, secondo i combattenti della KNDF.

 

Una strage che ha scosso l’intera Chiesa in Myanmar: appresa la notizia, il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Rangoon e principale dignitario cattolico del Paese, ha parlato di «atrocità straziante e orribile», invocando un cessate il fuoco e la fine della guerra civile.

 

L’uccisione del 24 dicembre ha messo anche l’alto prelato in una posizione molto delicata: poche ore prima il cardinale era stato fotografato in compagnia del generale Min Aung Hlaing, capo della giunta militare, mentre condivideva un dolce di Natale, per amore di dialogo per raggiungere la pace.

 

Immagini ampiamente diffuse dal regime, in quello che alcuni vedono come un tentativo di screditare l’arcivescovo di Rangoon, una delle ultime voci di opposizione al regime ad essere ascoltate.

 

In altre parti del Myanmar, l’eco della strage ha suscitato un’ondata di commozione e solidarietà.

 

Padre Dominc Kung, sacerdote cattolico della diocesi di Hakha, nell’ovest del Paese, ha detto a Fides: «il sangue di questi innocenti uccisi non sarà sparso invano, ma sarà una forza potente per il popolo. Ora sono un sostegno per la nostra gente, pregheranno per le nostre sofferenze in cielo, con il Signore».

 

E il sacerdote ha concluso lanciando un appello urgente alla comunità internazionale: «La nostra sofferenza è al limite. Imploriamo ormai l’aiuto di Dio».

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

Immagine di KNDF via Myanmar Now

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Irlanda del Nord, tensioni tra cattolici e protestanti

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Dopo le difficoltà causate dalla Brexit, le forti tensioni che scuotono attualmente la polizia nordirlandese stanno esacerbando le divisioni tra cattolici e protestanti, riempiendo di incertezza il futuro dell’Irlanda del Nord.

 

Le nuvole si addensano sopra Belfast, trasportate dai venti della discordia. La polizia nordirlandese – Police Service of Northern Ireland (PSNI) – è in crisi da diverse settimane. Ingranaggio essenziale del processo di pace avviato nel 1998 dagli Accordi del Venerdì Santo, il suo leader è stato costretto a dimettersi il 4 settembre 2023.

 

La posizione di Simon Byrne non era più sostenibile. L’8 agosto, a causa di un errore interno ai suoi servizi, sono trapelati i dati personali di diecimila agenti e personale amministrativo della PSNI, mettendo in pericolo la loro sicurezza in un contesto in cui gli agenti di polizia sono regolarmente bersaglio di attacchi attribuiti a gruppi paramilitari repubblicani cattolici.

 

Una fuga di notizie che indebolisce la PSNI, che nel 2001 ha preso il posto della Royal Ulster Constabulary, prevalentemente protestante, per lottare contro la discriminazione di cui i cattolici si consideravano vittime. Una forza che non riflette l’immagine della società nordirlandese: la percentuale di agenti cattolici continua a diminuire (30%) mentre nella provincia ci sono sempre meno protestanti.

 

Tuttavia, «gli agenti di polizia cattolici – circa 2.000 – si sono uniti (alla PSNI) ben consapevoli dei rischi che ciò comportava per la loro sicurezza personale. Dimostrano impegno e dedizione nel proteggere le loro comunità, cosa che credo non sia pienamente compresa o riconosciuta altrove in Irlanda e nel Regno Unito», lamenta Gerry Murray, capo del sindacato cattolico della polizia dell’Irlanda del Nord.

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Un fallimento nel reclutamento che si spiega anche con il fatto che gli agenti di polizia cattolici sono spesso nel mirino dei repubblicani radicali che vedono nei loro correligionari dei traditori della causa dell’indipendenza dell’Irlanda del Nord. Una cosa è certa: l’errore digitale dell’agosto scorso non accrescerà l’attrattiva per la professione.

 

Ma non è tutto: nel 2021, due agenti di polizia della PSNI sono stati sanzionati dal loro capo per aver interrogato i partecipanti a una marcia in onore delle cinque vittime cattoliche di una sparatoria a sud di Belfast attribuita ai lealisti protestanti nel 1992.

 

Una sanzione che Simon Byrne ha ritenuto opportuno prendere per placare l’ira del Sinn Fein – ex braccio armato dell’IRA, ora principale partito politico cattolico favorevole alla riunificazione dell’Irlanda e attore del processo di pace – in cui ci sono diversi funzionari eletti membri del consiglio direttivo della PSNI.

 

La svolta drammatica è avvenuta alla fine dello scorso agosto, quando l’Alta Corte di Giustizia dell’Irlanda del Nord ha emesso il suo verdetto: il capo della polizia aveva ingiustamente sanzionato i suoi dipendenti pubblici per motivi politici e deve reintegrarli. La misura è colma per Simon Byrne, che si è affrettato a presentare le sue dimissioni all’inizio di questo mese.

 

Gerry Murray vede in questa crisi «un’opportunità per dare forma al futuro e un cambiamento reale». Di fronte alla gravità della situazione, l’arcivescovo di Armagh, mons. Eamon Martin, ha incontrato Simon Byrne per assicurargli il suo «sostegno inequivocabile a coloro che esercitano la professione di agenti di polizia all’interno della PSNI», invitando i cattolici a «dissociarsi dalla coloro che vorrebbero intimidire queste donne e questi uomini coraggiosi».

 

Quel che è certo è che le turbolenze nella polizia nordirlandese non contribuiranno a rafforzare i rapporti tra cattolici e protestanti già danneggiati dalle conseguenze della Brexit e dall’introduzione di una frontiera doganale tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

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Immagine Riccardo Cabral via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

 

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Il papa incontra il capo delle Brigate Babilonesi. Il patriarca Sako denuncia il silenzio del Vaticano su cosa sta accadendo ai cristiani d’Iraq

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Il patriarca dei Caldei, Louis Raphaël Sako, ha rilasciato un’intervista ad Asia News, nella quale ha espresso il suo stupore che nessuno a Roma abbia voluto difendere la Chiesa in Iraq dopo che il capo dello Stato ha ritirato il suo riconoscimento ufficiale come patriarca.   Il patriarca vede questo mancato riconoscimento come «un progetto volto a mettere a tacere la voce della Chiesa e la mia. Durante questi dieci anni come patriarca, (…) ho cercato di proteggere i cristiani e non ho mai voluto giustificare la formazione di una milizia cosiddetta “cristiana”».   «Ho rifiutato tutto questo, da qui la voglia di vendetta di una fazione [le Brigate Babilonesi di Rayan al-Kildani, ndr] che ha un secondo fine: spingere i cristiani a partire per impossessarsi delle loro case, dei loro beni, delle loro proprietà . (…) Nel Paese prevale una mentalità settaria in cui le persone lottano per più potere, visibilità e denaro: regnano confusione e anarchia».   Questa confusione si manifesta nelle funzioni e nelle attribuzioni delle massime istituzioni, spiega il cardinale Sako: «il Presidente della Repubblica non ha il potere di revocare i decreti adottati in passato, non può annullarli arbitrariamente. Inoltre, ciò va contro una tradizione secolare, che risale al Califfato Abbaside, poi all’Impero Ottomano e infine alla Repubblica».   «In un secondo, il capo dello Stato ha voluto cancellare 14 secoli di storia e tradizione, ma io non ho paura e non ho nulla da perdere… forse la vita, ma sono pronto. Tutto questo viene fatto per intimidire i cristiani, affinché abbandonino il Paese: li incoraggio ancora a restare e a sperare!»   Il patriarca aggiunge di lottare per tutti gli iracheni: «la comunità cristiana è al mio fianco e mi sostiene. In questo momento vediamo coesione, forte sostegno e unità tra la gente e la comunità cristiana, mentre ci sono divisioni tra le Chiese».   E il patriarca accusa che la minaccia abbia «un approccio diverso da quello dell’ISIS, ma con la stessa logica di fondo. Forse è più nascosta e subdola, ma con lo stesso obiettivo: spingere i cristiani ad andarsene».

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Mancanza di reazioni da parte della Santa Sede e del Papa

Il patriarca ammette di essere «deluso dalla posizione della Santa Sede che, in quasi cinque mesi, non è intervenuta per sconfessare l’operato del Presidente della Repubblica, per respingere gli attacchi contro la persona del patriarca, per prendere le distanze dalla coloro che si definiscono leader cristiani». Deplora che Rayan al-Kildani [il Caldeo] abbia incontrato Francesco in piazza San Pietro, al termine dell’udienza del mercoledì.     «Rayan lo ha annunciato in pompa magna per legittimarsi rivendicando l’autorità ecclesiastica: si è presentato come il vero rappresentante dei cristiani, lui e non il patriarca di cui il Papa avrebbe accettato le dimissioni. Il silenzio di fronte a queste affermazioni è inaccettabile».   Per Sako, questo silenzio legittima l’usurpatore: «la Santa Sede avrebbe potuto esprimersi, dire che la propaganda di quest’uomo è falsa, e calmare i tanti cristiani e musulmani che in Iraq subiscono queste menzogne ​​che feriscono soprattutto la nostra comunità. Il nunzio apostolico mi invita al dialogo, a non umiliare il presidente… ma è il presidente che umilia la Chiesa e il suo popolo».   Il patriarca prosegue amaro: «il nunzio dice che bisogna abbandonare il decreto e accettare una decisione del tribunale. Ma deve comprendere la mentalità locale e sostenere la Chiesa: potrebbe negare la strumentalizzazione e le menzogne ​​di Rayan al-Kildani, chiedere ai vescovi che ricevono soldi da lui di smettere di farlo, trovare una soluzione che non vada contro la Chiesa caldea».   «Oggi, quasi ogni settimana, vengono presentate denunce contro di me in tribunale e nei prossimi giorni dovrò comparire e non potrò partecipare agli Incontri del Mediterraneo di Marsiglia. Ho scritto a Papa Francesco dopo la visita di Rayan in Vaticano, non mi ha ancora risposto».   E conclude stanco: «siamo una Chiesa perseguitata, da molto tempo… che lotta per sopravvivere, ma per questo abbiamo bisogno di sostegno, vicinanza, solidarietà. La Chiesa deve manifestare la sua presenza, la sua prossimità, deve trovare le parole che finora le sono mancate».

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Immagine screenshot da Twitter
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Mons. Schneider sostiene mons. Strickland

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In una lettera indirizzata a Mons. Joseph Strickland, Vescovo della diocesi di Tyler, Texas, Mons. Athanasius Schneider, Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Astana (Nur-Sultan), incoraggia il coraggioso vescovo americano nella sua confessione di fede cattolica e nella custodia del gregge a lui affidato.

 

In questa lettera, il vescovo ausiliare esprime la sua gratitudine al vescovo di Tyler per «la coraggiosa dedizione nel mantenere, trasmettere e difendere senza compromessi la fede cattolica». Applica a lui le parole di san Basilio: «l’accusa che certamente porterà a severa punizione è la cura posta nel preservare le tradizioni dei Padri» (Ep. 243).

 

Citando ancora lo stesso santo, applica le sue parole alla situazione attuale: «le dottrine della vera religione sono ribaltate. Le leggi della Chiesa sono confuse. L’ambizione degli uomini che non temono Dio si precipita verso le alte cariche della Chiesa, e le alte cariche sono ormai pubblicamente conosciute come ricompensa per l’empietà».

 

«Ne consegue che quanto più un uomo bestemmia, tanto più il popolo lo ritiene idoneo a essere vescovo. La dignità clericale è cosa del passato. C’è una totale mancanza di uomini che pascolano con conoscenza il gregge del Signore. (…) La fede è incerta. Le bocche dei veri credenti tacciono, mentre ogni lingua blasfema si muove liberamente» (Ep.92).

 

Aggiunge che sono del tutto applicabili alla nostra situazione attuale le parole di san Basilio nella lettera a papa Damaso, nella quale chiede l’aiuto e l’intervento fattivo del Papa: «la saggezza di questo mondo ottiene i premi più grandi nella Chiesa e rifiuta la gloria della croce. I pastori vengono banditi e al loro posto vengono introdotti i lupi che si avventano sul gregge di Cristo». (Ep.90).

 

Ma, continua mons. Schneider, «a differenza di san Basilio, che si rivolse a papa Damaso, voi purtroppo non avete la possibilità di rivolgervi a papa Francesco per chiedere aiuto nel mantenere con zelo le sacre tradizioni del passato. Al contrario, la Santa Sede vi sta attualmente sottoponendo ad un intenso esame, minacciandovi di intimidazione e di privazione dell’incarico episcopale sul vostro gregge a Tyler».

 

E questo per un solo motivo: «come san Basilio, sant’Atanasio e tanti altri vescovi confessori nel corso della storia, voi mantenete le tradizioni dei Padri; solo perché non tacete la verità, solo perché non vi comportate come certi vescovi che, per usare le parole di san Gregorio Nazianzeno, “servono i tempi e le esigenze delle masse, lasciando la loro nave in balia del vento che soffia in quel momento”».

 

E per incoraggiare il suo corrispondente, il vescovo prosegue: «tuttavia, caro mons. Strickland, tutti i papi del passato, tutti i vescovi confessori del passato, tutti i martiri cattolici che, secondo le parole di santa Teresa d’Avila, erano “pronti subire mille morti per ogni articolo del credo”, vi sostengano e vi incoraggino».

 

Inoltre, «i piccoli della Chiesa pregano per voi e vi sostengono; costituiscono un esercito crescente di fedeli in tutto il mondo, messo da parte dagli alti dignitari della Chiesa, le cui preoccupazioni principali sembrano essere quelle di compiacere il mondo e di promuovere il naturalismo e l’approvazione del peccato dell’omosessualità con il pretesto di accoglienza e inclusione».

 

Mons. Schneider prega infine affinché sempre più vescovi «come te alzino la voce per difendere la fede cattolica, portando così nutrimento spirituale e conforto a tanti cattolici che spesso si sentono abbandonati come orfani. I futuri Papi vi ringrazieranno per la vostra coraggiosa fedeltà alla fede cattolica e alle sue sacre tradizioni, attraverso le quali avete contribuito all’onore della Sede Apostolica, in parte oscurata nel nostro tempo».

 

È interessante notare che, mentre la crisi continua a crescere, coloro che conservano la fede, anche se non ne hanno ancora percepito la profondità e le origini nel Concilio Vaticano II, ritrovano le strade tracciate fa da Mons. Marcel Lefebvre, più di 50 anni fa.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Monegasque2 via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

Immagine di Peytonlow via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

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