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Immigrazione

Bergoglio definisce «una disgrazia» il piano di remigrazione di Trump

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Papa Francesco ha criticato il progetto di Donald Trump di deportare in massa gli immigrati, condannando l’iniziativa del presidente eletto degli Stati Uniti come una «disgrazia».

 

In un’intervista con il presentatore di varietà goscista Fabio Fazio, al pontefice è stato chiesto dei piani della nuova amministrazione Trump di emanare una serie di ordini esecutivi sull’immigrazione volti a espellere gli immigrati clandestini. La promessa di deportazione è stata una promessa chiave della campagna elettorale di Trump.

 

«Questo, se è vero, è una disgrazia perché fa pagare ai poveri disgraziati che non hanno nulla il conto dello squilibrio. Non va. Così non si risolvono le cose», ha dichiarato l’occupante del Soglio di Pietro, che è parso stranamente rigonfio.

 

 

La difesa dei migranti è stata una parte fondamentale del papato di Francesco, che ha costantemente sottolineato la necessità di accoglierli e integrarli nella società. L’88enne ha detto all’emittente di non aver parlato con Trump dalla sua vittoria alle elezioni di novembre.

 

Mai pago, mai domo, il Bergoglio ha quindi esortato i paesi con tassi di natalità in calo ad accogliere più migranti: in pratica, è il papa dell’immigrazione, e quindi non può che vedere l’ascesa della remigrazione come fumo negli occhi.

 

La questione riguarda da vicino l’Italia, redarguita dal gesuita: «ha un’età media di 46 anni, non fa figli, faccia entrare gli immigrati».

 

Nel frattempo, Trump, che dovrebbe prestare giuramento lunedì, si è impegnato a iniziare a deportare milioni di immigrati clandestini nel suo primo giorno in carica, descrivendo «il più grande programma di deportazione nella storia americana» come pietra angolare della sua campagna.

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Non è la prima volta che Francesco si trova in disaccordo con Trump sulle sue politiche sull’immigrazione. Nel 2016,  il primo papa latinoamericano criticò i piani di Trump di costruire un muro lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, dichiarando che «una persona che pensa di fare i muri, chiunque sia, e non fare ponti, non è cristiano. Questo non è nel Vangelo».

 

Gli elettori cattolici americani risposero votando in massa per Trump, in aperta disobbedienza al papa, dimostrando ancora una volta l’assoluta irrilevanza politica cattolica attuale – qualcosa che non hanno capito ancora i politici italiani, che ancora corrono dietro ai vari segretari CEI che si susseguono casualmente negli anni.

 

Allora il Trump aveva risposto definendo a sua volta il papa «disgraceful» e «una persona molto politica». Tuttavia, i due sembraron riconciliarsi nel 2017 quando il repubblicano ha visitato il Vaticano, descrivendo la visita come «l’onore di una vita». L’incontro produsse la famosa foto in cui il gesuita vestito di bianco pare imbronciatissimo.

 


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Il fotografo, Evan Vucci, è lo stesso che ha scattato l’immagine del secolo durante il tentato assassinio al comizio di Butler, Pennsylvania, con Trump dal volto rigato di sangue che alza il braccio al cielo appena dopo che gli avevano sparato.

 

Non si tratta di sole dichiarazioni: il Vaticano sembra volersi opporre al nuovo corso di Washington anche con i fatti: Bergoglio ha nominato il cardinale Robert McElroy come prossimo arcivescovo di Washington, DC.

 

Il cardinale McElroy ha dichiarato pubblicamente che la deportazione di massa degli immigrati è »incompatibile con la dottrina cattolica», ha riportato la CNN.

 

Il cambio del vento, con l’accendersi di veri processi di remigrazione, prendono in contropiede il Vaticano bergogliano, che sul tema dell’invasione terzomondiale aveva praticamente investito tutto in un all-in indegno e lontanissimo dalla vera dottrina cattolica.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump ha dichiarato già nel discorso inaugurale di attuare un grande piano di deportazione degli illegali che partirà subito.

 

Secondo voci, sarebbe pronto un raid di grande portata per l’area di Chicago.

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Immigrazione

Il 72% dei condannati per crimini di gruppo in Danimarca ha origini non occidentali

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Un rapporto governativo danese ha evidenziato che circa il 72% delle persone condannate in Danimarca ai sensi della «sezione gang» sono immigrati o discendenti di origine non occidentale.   I dati, resi pubblici dal ministero della Giustizia di Copenhagen in risposta a un’interrogazione della deputata conservatrice Mai Mercado, rivelano che tra il 2018 e il 2025, 213 individui sono stati condannati ai sensi dell’articolo 81a del Codice penale, una norma che permette ai tribunali di raddoppiare le pene per reati che rischiano di alimentare la violenza tra bande.   Basandosi sui dati di Statistics Denmark e del Procuratore Generale, Remix News scrive che 54 condannati erano di origine danese, 36 erano immigrati da paesi non occidentali e 117 erano discendenti di immigrati non occidentali. Questo indica che il 72% delle condanne per reati legati alle gang riguarda persone con radici non occidentali.

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Le statistiche, riportate inizialmente da Berlingske, hanno sorpreso Frederik Bloch Münster, portavoce conservatore per l’immigrazione, che ha definito la percentuale «notevolmente alta».   Lars Højsgaard Andersen, ricercatore della Rockwool Foundation, ha osservato che Paesi come Iraq, Turchia, Somalia e Libano emergono con chiarezza nelle statistiche, suggerendo che atteggiamenti culturali verso la legge e l’autorità possano influire.   Significativamente, solo il 15% della popolazione danese è composto da stranieri o persone con background straniero, rendendo ancora più rilevante il fatto che il 72% dei condannati per reati di gang abbia un’origine migratoria.   Secondo Statistics Denmark, il Libano è il Paese di origine più frequente tra i condannati per reati di gang, con 35 casi, seguito da Somalia (29), Iraq (23) e Turchia (17).   Il primo ministro Mette Frederiksen ha più volte indicato l’immigrazione incontrollata come la «minaccia più grande» per la Danimarca. A maggio, ha dichiarato: «Se arrivano troppe persone che commettono crimini, non rispettano i valori democratici e mettono a rischio la nostra società aperta e fiduciosa, questo rappresenta il pericolo maggiore».   I dati emergono mentre il Partito Popolare Danese (DF) promuove uno dei programmi sull’immigrazione più rigidi d’Europa in vista delle elezioni generali del prossimo anno. Nel suo ultimo manifesto, il DF propone rimpatri di massa, revisioni delle cittadinanze e divieti di pratiche islamiche, sostenendo che l’immigrazione di massa dal Medio Oriente e dal Nord Africa abbia portato «criminalità, società parallele e cambiamenti culturali».

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Il partito avverte che l’immigrazione da Paesi come Turchia, Siria, Iraq, Libano, Pakistan, Afghanistan e Somalia ha causato «il più grande cambiamento demografico nella storia danese» e insiste affinché «le condizioni mediorientali siano ridimensionate per permettere a tutti nel paese di sentirsi a casa».   A differenza di paesi come Germania e Francia, la Danimarca raccoglie dati sulla criminalità legati al background migratorio. Questi dati consentono di monitorare meglio gli sforzi di integrazione di chi ha ottenuto la cittadinanza danese ma ha genitori stranieri.   I risultati sono sorprendenti: i migranti di seconda generazione presentano tassi di criminalità più elevati rispetto a quelli di prima generazione, che già superano di gran lunga quelli dei danesi etnici.   Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate era emerso un rapporto del governo tedesco che rivelava tassi di criminalità astronomici tra i giovani stranieri rispetto ai giovani autoctoni.   Nel frattempo, in Francia è stata proposto un emendamento per censurare gli articoli sui crimini degli immigrati. In Italia i discorsi sulla stampa sugli immigrati da diversi anni sono limitati dalla Carta di Roma, il «Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti» oggi parte integrante del «Testo unico dei doveri del giornalista», e implementata sugli iscritti all’Ordine dei Giornalisti con corsi deontologici obbligatori.    

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Immigrazione

La Svizzera vieta agli stranieri di fare avanti e indietro dai loro Paesi

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La Svizzera ha comunicato un rafforzamento delle restrizioni di viaggio per i richiedenti asilo. Secondo una nuova disposizione governativa, a queste persone sarà generalmente vietato viaggiare verso i loro Paesi d’origine o altri Stati.

 

Le autorità potranno autorizzare i viaggi solo in casi eccezionali, come confermato dal governo mercoledì 22 ottobre.

 

Il governo ha precisato che servono ulteriori chiarimenti prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, tra cui la definizione di quali siano i «motivi personali» sufficienti per approvare un viaggio e le circostanze in cui saranno consentiti viaggi di ritorno per organizzare una partenza definitiva.

 

Il partito austriaco di destra FPÖ ha definito la decisione svizzera «assolutamente corretta», sottolineando che «chi cerca protezione non ha certo bisogno di tornare nel Paese da cui fugge».

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La misura svizzera si pone in netto contrasto con i recenti sviluppi in Germania, dove all’inizio dell’anno il governo ha permesso ai rifugiati siriani di viaggiare in Siria per le vacanze senza perdere lo status di protezione. Tale misura, considerata «assurda» dal partito di centro-destra Unione Cristiano-Sociale (CSU), ha suscitato polemiche.

 

L’anno scorso, i media tedeschi hanno riportato che migliaia di cittadini afghani richiedenti asilo in Germania erano tornati in patria per le vacanze, per poi rientrare in Germania.

 

Il fenomeno del turismo nei Paesi nativi da cui scappano per chiedere protezione è stato al centro di discussioni anche in Isvezia.

 

In Italia la finzione migratoria, anche sotto il governo sedicente sovranista (che, di fatto, ha visto aumentare gli sbarchi) la questione non sembra essere troppo considerata. La Meloni, negli anni di opposizione, aveva promesso il blocco navale.

 

Nel frattempo continua l’esempio di remigrazione diretta di Trump, che, anche con l’aiuto delle forze armate, ne sequestra i beni e li deporta in Paesi terzi come l’Uganda.

 

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Immigrazione

Dublino ancora in rivolta dopo che un immigrato è stato accusato di aver violentato una bambina di dieci anni

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Martedì è scoppiata una rivolta fuori da un centro per immigrati in un sobborgo di Dublino, scatenata dal presunto stupro di una bambina di dieci anni.   Sebbene le autorità non abbiano rivelato l’identità del sospettato, l’Irish Times ha riferito che si tratta di un richiedente asilo respinto, arrivato da un paese africano circa sei anni fa. Diverse migliaia di manifestanti si sono radunati a Saggart, dove alcuni hanno lanciato proiettili contro gli agenti, sparato fuochi d’artificio e dato fuoco ad almeno un furgone della polizia. La polizia ha schierato rinforzi e un cannone ad acqua per contenere i disordini.   Secondo la Child and Family Agency (TUSLA), l’aggressione è avvenuta nel fine settimana nei pressi dell’ex Citywest Hotel, trasformato in un rifugio permanente per migranti. La vittima, che era sotto tutela statale, è stata aggredita dopo essere «fuggita dal personale durante una gita ricreativa programmata con il personale nel centro città», ha dichiarato l’agenzia.          

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La TUSLA ha aggiunto che la vittima era stata affidata alle sue cure all’inizio di quest’anno a causa di «gravi problemi comportamentali». La polizia ha dichiarato che il sospettato è stato fermato per essere interrogato. Gli agenti hanno 24 ore di tempo per incriminarlo o rilasciarlo.   Il Taoiseach (Primo Ministro) Micheal Martin ha affermato che le autorità hanno deluso la vittima. «È dovere fondamentale dello Stato proteggere i figli dello Stato e, indipendentemente dalla complessità o dalla gravità di ogni caso, tale dovere deve essere adempiuto», ha dichiarato. Il vice primo ministro Simon Harris ha definito il caso «orribile», ma ha esortato l’opinione pubblica alla moderazione.   «È importante che abbiamo l’opportunità di stabilire i fatti e che anche le agenzie abbiano l’opportunità di presentarli», ha affermato. Il ministro della Giustizia Jim O’Callaghan ha condannato gli attacchi alla polizia, affermando: «La protesta pacifica è un pilastro della nostra democrazia. La violenza non lo è».   Le proteste anti-immigrati in Irlanda, Paese dove interi paesini sono stati soppiantati dall’invasione programmatica di stranieri, continuano da mesi, coinvolgendo anche l’Irlanda del Nord. Un attacco con coltello al grido «Allah akbar» si è avuto a Dublino anche tre mesi fa.   Il caso scatenante si registrò nel novembre 2023 quando nella capitale un immigrato aveva accoltellato una donna e dei bambini. Seguirono rivolte massive e violente.   Come riportato da Renovatio 21, l’episodio aveva portato alla possibilità che il lottatore MMA Conor McGregor, critico vocale della situazione, venisse attaccato con un’indagine delle autorità per discorso d’odio. Lui ha risposto ventilando la possibilità di candidarsi a Taoiseach, cioè primo ministro del Paese.     SOSTIENI RENOVATIO 21
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