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Ateismo fluido e magistero liquido

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Nel 1987 è apparso il libro La soft-ideologie, scritto da François-Bernard Huygue e Pierre Barbès.

 

I due autori hanno presentato il loro lavoro così: «i tempi sono duri, le idee sono morbide… L’ideologia morbida è affari e diritti umani…, il mercato azionario e la tolleranza, l’individualismo e la carità -rock, Tapie e Coluche…»

 

«Mescolata insieme ai resti intellettuali dei decenni precedenti, l’ideologia soft mescola management conservatore e sogni del Sessantotto, idee confuse e moralismo vago, inni alla modernità e ritorno agli ideali del XVIII secolo. Assicura un consenso apatico sull’essenziale. Promuove la rassegnazione alla forza delle cose ed esalta le piccole gioie».

 

Esiste una teologia morbida? Lo si potrebbe credere leggendo i documenti episcopali pubblicati alla vigilia delle prossime elezioni europee. Tutto va bene: rispetto e promozione della dignità di ogni persona umana, solidarietà, uguaglianza, famiglia e sacralità della vita, democrazia, libertà, sussidiarietà, salvaguardia della nostra Casa comune…

 

Troviamo tutti i «sovranisti del clima», come dicono alcuni vaticanisti ironici e disillusi.

 

Con più serietà, il cardinale Robert Sarah preferisce parlare di «ateismo fluido e pratico». Un ateismo fluido che «scorre nelle vene della cultura contemporanea», che «non pronuncia mai il suo nome ma si infiltra ovunque anche nei discorsi ecclesiali», il cui «primo effetto è una forma di letargo della fede: anestetizza la nostra capacità di reazione, di riconoscere l’errore, il pericolo. Si è diffuso in tutta la Chiesa».

 

Un ateismo pratico, conclude il cardinale Sarah, che si fonda essenzialmente «sulla paura di essere in contraddizione con il mondo». Sappiamo però che Gesù Cristo è «un segno esposto alla contraddizione» (Lc 2,34).

 

Inutile dire che, di fronte a questo «ateismo fluido», un «magistero liquido» non solo è impotente ma, peggio ancora, complice.

 

Tuttavia, a Saint-Pierre a Roma, se guardiamo il fregio della traversa della cupola, possiamo leggere a grandi lettere blu su fondo oro: Tu es Petrus et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam et tibi dabo claves Regni cælorum, «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e ti darò le chiavi del Regno dei cieli» (Mt 16,18-19).

 

La Chiesa non è costruita sulla palude della postmodernità, ma sulla pietra. Su Pietro che è il Vicario di Cristo.

 

Abate Alain Lorans

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Spirito

Papa Leone incontra le vittime di abuso poco dopo aver lodato don Milani

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Papa Leone XIV ha incontrato gli attivisti di ECA (Ending Clergy Abuse), rete costituita da vittime di abusi del clero particolarmente attiva negli Stati Uniti. I giornali mainstream riportano la notizia sottolineando come si tratterebbe di una «prima volta».   Si tratta del primo tra Papa Leone XIV e un gruppo di vittime, nonché il primo con un’associazione dedicata alla lotta contro gli abusi. I suoi predecessori, da Benedetto XVI a Francesco I, avevano incontrato gruppi di vittime, ma mai organizzazioni strutturate come ECA, che ha seguito molti viaggi di papa Francesco con proteste, specialmente nei Paesi più colpiti dagli abusi, senza però essere mai ricevuta. Oggi, invece, l’associazione ha varcato le porte del Vaticano.   Pochi giorni fa, la Pontificia Commissione per la tutela dei minori aveva pubblicato il Rapporto annuale, evidenziando la lentezza di alcune diocesi nel contrastare gli abusi. Tra i casi critici è stato citato l’Italia, con la CEI che ha replicato sottolineando gli sforzi compiuti in formazione e prevenzione.  

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«È stata una conversazione profondamente significativa», ha dichiarato Gemma Hickey, presidente di ECA e sopravvissuta agli abusi in Canada. «Riflette un impegno comune per la giustizia, la guarigione e un cambiamento autentico. I sopravvissuti hanno a lungo cercato un posto al tavolo, e oggi ci siamo sentiti ascoltati». ECA definisce l’incontro «un passo storico e pieno di speranza verso una maggiore cooperazione».   Non è chiaro se tale organizzazione di vittime, premiata con l’udienza papale a favore di telecamere, abbia presente che solo pochi giorni fa il papa ha lodato, per la seconda volta, un sacerdote, diciamo così, controverso, definendolo perfino ripetutamente «profeta».   Il quadretto edificante avviene infatti a poche ore da un riferimento entusiastico fatto nei confronti di Don Milani. L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».   Non è la prima volta. Il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».   Scandali vari – il più grosso esploso sui giornali nel 2017, all’altezza dell’uscita del romanzo di Walter Siti Bruciare tutto, che faceva a partire dalla sua dedica un pesante ammiccamento – hanno portato alla luce lettere scritta da Don Milani dal contenuto fortemente inquietante.   In un lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui? (Baldini&Castoldi, 1996, pp. 386-391), il presbitero autore del celebre Lettera ad una professoressa scriveva:   «… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!) (…) E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.   In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».

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Nonostante questi fatti, e voci ricorrenti sul personaggio che non circuitavano solo nei circoli tradizionalisti a lui ostili, negli anni scorsi la chiesa toscana sembrava indirizzata a tentare il processo di beatificazione del Milani, processo che, con evidenza, davanti a questi macigni subì una battuta d’arresto.   Ciononostante, il 20 giugno 2017 Bergoglio – che aveva avuto pure i suoi scandali con il caso della «Casita de Dios», ma anche col presbitero cileno Karadima, col prete ciellino don Inzoli etc. – effettuò un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani. Un segnale che per molti è apparso chiaro, e terrificante.   Ora, papa Prevost si rivela, come in tanti altri temi, dalla sin0dalità all’omotransessualismo alla farsa climatica – totalmente in linea con il predecessore, lasciando intendere un papato di continuità totale con la catastrofe conciliare in generale e la catastrofe bergogliana in particolare.

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«Persecuzione feroce e genocida contro i cattolici» e «vile e cortigiana complicità». Mons. Viganò contro Parolin sulle persecuzioni in Nigeria

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha pubblicato su X una dura accusa alle parole del cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin che sembrano sminuire la persecuzione anticristiana che sta insanguinando da anni la Nigeria.

 

«Conosco bene e porto quotidianamente nel cuore la situazione di sofferenza e di persecuzione dei Cattolici nigeriani, essendo vissuto in Nigeria per sei anni, dal 1992 al 1998, come Nunzio Apostolico» scrive Viganò ricordando la sua esperienza diplomatica.

 

«Le parole vergognose del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin sul presunto “conflitto sociale” in Nigeria mistificano la realtà di una persecuzione feroce e genocida contro i Cattolici, martirizzati mentre Roma vaneggia di sinodalità e inclusività».

 

«Mentre la Gerarchia si schiera apertamente in favore dell’islamizzazione dell’Europa cristiana e osa definire “diritto umano” la libertà religiosa del Vaticano II, migliaia di fedeli continuano a testimoniare eroicamente il Vangelo di Cristo, e il loro sangue grida vendetta al Cielo» tuona il prelato lombardo.

 

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«No, Eminenza: i Cattolici nigeriani sono uccisi in odio alla Fede che essi professano, da parte di mussulmani e in obbedienza al Corano. Quegli stessi mussulmani che stanno trasformando le vostre chiese in moschee, con la vostra vile e cortigiana complicità, e che presto rovesceranno i governi per imporre la sharia agli “infedeli”» continua l’arcivescovo.

 

«La responsabilità della chiesa bergogliana e post-bergogliana in questo crimine contro Dio e contro l’uomo rimarrà a perenne esecrazione del tradimento dei Pastori».

 

La persecuzione anticristiana in Nigeria si è aggravata dopo il 1999, quando 12 stati del Nord hanno adottato la sharia. L’ascesa di Boko Haram nel 2009 ha segnato un’ulteriore escalation, con il gruppo noto per il rapimento di centinaia di studentesse nel 2014, di cui 87 risultano ancora disperse.

 

Recentemente, attacchi nel Paese hanno incluso rapimenti e omicidi di sacerdoti e seminaristi cattolici. A luglio, la diocesi di Auchi, nello Stato di Edo, ha riferito che uomini armati hanno attaccato il Seminario Minore dell’Immacolata Concezione, uccidendo una guardia e rapendo tre seminaristi.

 

Come riportato da Renovatio 21rapporto pubblicato quest’estate dalla Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha evidenziato numerosi attacchi sponsorizzati dallo Stato contro i cristiani in Nigeria.

 

La situazione è deteriorata al punto che il rapporto 2025 della Lista Rossa di Global Christian Relief (GCR) ha indicato la Nigeria come uno dei luoghi più pericolosi per i cristiani. Nella primavera del 2023, la Società Internazionale per le Libertà Civili e lo Stato di Diritto ha riferito che oltre 50.000 persone sono state uccise nel Paese per la loro fede cristiana dal 2009.

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Nel suo rapporto del 2025, l’USCIRF ha esortato il governo statunitense a designare la Nigeria come «paese di particolare preoccupazione», esprimendo delusione per la lentezza, e a volte apparente riluttanza, del governo nigeriano nel rispondere a questa violenza, creando un clima di impunità per gli aggressori.

 

Come riportato da Renovatio 21, gli ultras della nazionale romena, a quanto pare più cristiani di Parolin, durante una recente partita di qualificazione ai mondiali a Bucarest hanno esposto un grande striscione con la scritta «DIFENDETE I CRISTIANI NIGERIANI».

 


 

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Una donna a presiedere il declino definitivo dell’anglicanesimo

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La nomina di Sarah Mullally ad «arcivescovo» di Canterbury, annunciata il 3 ottobre 2025, ha sconvolto l’anglicanesimo, esacerbando le crescenti divisioni che affliggono questo protestantesimo surrogato da decenni.   Prima donna a ricoprire questa posizione emblematica, succedendo a Justin Welby, che si dimetterà nel gennaio 2026, Sarah Mullally, leader dell’anglicanesimo londinese, intende incarnare il «progresso verso la parità di genere» all’interno di una confessione protestante che sembra più che mai allo stremo delle forze.   La decisione, approvata da Re Carlo III, di insediare questa donna nella sede primaziale di Canterbury ha suscitato scalpore in tutto il mondo, soprattutto nel continente africano, e in tutta la religione anglicana, che conta circa 85 milioni di fedeli distribuiti in 42 province autonome in tutto il mondo.

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Non sorprende che per decenni l’anglicanesimo si sia fratturato a causa di mode progressiste: l’ordinazione delle donne, le benedizioni per le coppie dello stesso sesso e l’interpretazione della Bibbia. Finora, tuttavia, l’«arcivescova» di Canterbury, considerato un «primus inter pares», uno «strumento di comunione», ha svolto un ruolo tanto simbolico quanto cruciale nel mantenere una parvenza di coesione all’interno di questa religione nata dallo scisma di Re Enrico VIII nel XVI secolo.   Sotto la guida di Justin Welby, le tensioni si sono intensificate, in particolare dopo che il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha approvato le benedizioni per le coppie dello stesso sesso nel 2023, una mossa considerata dai conservatori come un tradimento degli insegnamenti biblici. La nomina di Sarah Mullally, che ha sostenuto queste misure come un «faro di speranza per la Chiesa», ha ulteriormente radicato queste divisioni.   Anche gruppi conservatori come la Global Anglican Future Conference (GAFCON) e la Global South Fellowship of Anglican Churches (GSFA) hanno reagito immediatamente alla nomina di Mullally: la GAFCON, un’alleanza di province anglicane prevalentemente africane e asiatiche, ha espresso il suo «dispiacere» per la scelta ratificata da Re Carlo III.   In una dichiarazione, il suo presidente, Laurent Mbanda del Ruanda, ha affermato che la Chiesa d’Inghilterra (anglicana) ha scelto una guida che «dividerà ulteriormente una Comunione già frammentata». E accusa Sarah Mullally di promuovere «insegnamenti non biblici e revisionisti sul matrimonio e sulla moralità sessuale», citando il suo sostegno alle benedizioni per le coppie LGBT.   Il GAFCON insiste sul fatto che la maggioranza della Comunione anglicana aderisce a un episcopato esclusivamente maschile, negando qualsiasi legittimità al nuovo «arcivescovo» di Canterbury. La dichiarazione ribadisce la Dichiarazione di Kigali del 2023, che affermava come l’arcivescovo di Canterbury avesse perso il suo ruolo storico di «strumento della Comunione anglicana».   Lo stesso tono è stato espresso dal GSFA, presieduto da Justin Badi, leader anglicano del Sud Sudan, che ha descritto la promozione di Sarah Mullally come «grave» e «un ulteriore sintomo della crisi di fede e autorità» che sta dilagando nella comunità anglicana.   Queste dichiarazioni sottolineano una frattura formale e sempre più ampia: le province del Sud del mondo, che rappresentano oltre 60 milioni di anglicani – la maggioranza – stanno ancora una volta rifiutando l’autorità della Sede di Canterbury, che avevano già dichiarato «scomunicata» nel 2023, optando per strutture alternative come la GAFCON e la GSFA.

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Queste fratture sono più pronunciate in Africa, dove l’anglicanesimo sta vivendo una crescita che contrasta con il suo declino nel Vecchio Continente. L’Africa subsahariana ospita le province anglicane più prospere, come la Chiesa di Nigeria, con 20 milioni di fedeli, e quelle di Uganda, Kenya e Ruanda, che sostengono tutte un’interpretazione più tradizionale della Bibbia.   La disintegrazione della «comunione» anglicana non sorprende, e la storia ha sufficientemente documentato il destino delle comunità che hanno scelto di separarsi dall’unità romana.   Ciò che sta accadendo sulle rive del Tamigi può, in ogni caso, servire da esempio ai prelati cattolici progressisti, spinti da un mal indirizzato zelo riformista: più ci separiamo dalla Rivelazione – e dalle sue due fonti, Scrittura e Tradizione – più ci prepariamo a un futuro disilluso…   Articolo previamente apparso su FSSPX.News   SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Roger Harris via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported; immagine tagliata
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