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Geopolitica

Arrestato Steve Bannon, lo stratega anticinese di Trump

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Stephen K. Bannon, ex consigliere del presidente Trump e architetto della sua campagna elettorale del 2016, giovedì è stato accusato di aver frodato i donatori per una raccolta di fondi privata chiamata We Build the Wall, che aveva lo scopo di sostenere una delle iniziative specifiche del presidente – quella di  erigere una barriera al confine con il Messico.

 

I pubblici ministeri hanno affermato che dopo aver sottratto denaro al progetto, Bannon ha investito quasi 1 milione di dollari per pagare le sue spese personali.

 

Bannon sarebbe  stato arrestato all’inizio di giovedì su uno yacht da 35 milioni di dollari e 150 piedi che era al largo della costa di Westbrook, nel Connecticut. L’imbarcazione apparteneva all’uomo d’affari cinese in esilio Guo Wengui, hanno detto i funzionari.

 

Guo , miliardario che collabora con Bannon nella sua campagna anti-Cina, da alcuni è considerato un agente doppio: fingendosi dissidente, continua in realtà a lavorare per Pechino, avendo però accesso diretto agli avversari del Dragone – l’FBI indagava infatti su Guo e sulle sue giornate a Mar-a-Lago, il club resort di Trump in Florida ora considerato «la Casa Bianca del Sud».

 

Bannon si troverebbe ora in custodia a Nuova York, dove è accusato di aver «truffato i donatori di We Build the Wall»

Bannon si troverebbe ora in custodia a Nuova York, dove è accusato di aver «truffato i donatori di We Build the Wall “capitalizzando il loro interesse” per il muro di confine e dicendo loro falsamente che “tutti quei soldi sarebbero stati spesi per la costruzione”» scrive il New York Times.

 

Il presidente USA, che a Bannon deve l’elezione con una campagna azzeccatissima, parrebbe aver preso le distanze: «Mi sento molto male», ha detto il signor Trump ai giornalisti nello Studio Ovale giovedì 20 agosto. «Non ho a che fare con lui da molto tempo».

 

La carriera di Steve Bannon è ricca e molto diversificata: studia ad un liceo militare cattolico e poi ad Harvard, si arruola in Marina e presta servizio nel Pacifico, quindi lavora per la banca di investimenti Goldman Sachs – motivo per cui il danaro mai gli è mancato. Trasferitosi ad Hollywood per produrre alcuni documentari di matrice conservatrice, incontra Andrew Breibart, il titolare del sito Breitbart, e comprende la forza civile che hanno testate e blog non-mainstream.

 

Alla morte di Breitbart, Bannon assume la direzione del sito che, in fatto di visualizzazioni, può fare concorrenza a colossi come il New York Times e il Washington Post. Si dice che Breitbart abbia svolto un ruolo determinante nell’elezione di Trump.

Bannon sarebbe  stato arrestato all’inizio di giovedì su uno yacht dell’uomo d’affari cinese in esilio Guo Wengui, da alcuni è considerato un agente doppio al servizio di Pechino

 

Bannon, che ha creato un putiferio anche in Italia quando ha deciso di stabilire una scuola politica presso laCertosa di Trisulti  (gli si scatenò contro il MIBACT – ma il TAR ha dato ragione all’americano), è considerato un uomo estremamente lucido e, per il sistema progressista globale, pericoloso.

 

Egli infatti, dice la biografia compilata da un giornalista non troppo simpatizzante, The Devil’s Bargain, riconosce che anche la nostra era, come quella Romana, ha i barbari alle porte. E non si tratta dei Russi, degli Islamisti, degli Iraniani, etc. Il vero problema che deve affrontare Washington è l’ascesa della Cina, ritiene Bannon, un uomo le cui teorie sul carattere ciclico della storia americana (e della storia in generale) paiono davvero dettare la sua azione politica.

 

Il vero problema che deve affrontare Washington è l’ascesa della Cina, ritiene Bannon, un uomo le cui teorie sul carattere ciclico della storia americana (e della storia in generale) paiono davvero dettare la sua azione politica

Questo arresto potrebbe tarpare le ali al vero falco della politica anticinese di Washington: sicuramente quello più creativo, lungimirante, quello che volava più alto, quello che – con estrema intelligenza – mai scende a compromessi.

 

Per chi cerca un’intesa con Pechino – cioè praticamente tutto il Partito Democratico e pure di quello Repubblicano – si tratta di un colpo notevole.

 

Bannon disse in un’intervista che l’animale che lo rappresentava – e che rappresentava il sito Breitbart e il candidato Donald Trump – è l’honey badger, il tasso del miele, una bestia inarrestabile capace di andare avanti in quello che sta facendo anche se punta da mille api o morsa da un cobra. Faceva riferimento ad uno spezzone di documentario sull’ honey badger, doppiato strambamente da una voce effemminata, divenuto virale anni addietro: «honey badger doesn’t care».

 

Vedremo ora se anche Bannon proseguirà nonostante morsi e punture, come il suo coriaceo animale totemico.

 

Si tratta sempre delle stesse enormi forze in gioco: Clinton fu quello che dal nemico di Bannon – il Partito Comunista Cinese – sarebbe stato accusato di aver preso milioni dollari per la rielezione del 1996, uno scandalo anche chiamato «Chinagate». La Cina sarebbe arrivata proprio in quegli anni nel WTO, cioè nel commercio mondiale che realizzò la globalizzazione e distrusse manifattura e classe media occidentale

Intanto non possiamo che notare che la lotta stia divenendo davvero durissima.  Proprio ieri qualcuno ha fatto partire un siluro contro la Convention dei Democrat, con la pubblicazione – tramite un giornale inglese – delle foto di Bill Clinton massaggiato da una ninfetta di Epstein.

 

Ora, prima della Convention dei Repubblicani, ecco questa bomba.

 

Come non notare che, nel profondo, si tratta sempre delle stesse enormi forze in gioco: Clinton fu quello che dal nemico di Bannon – il Partito Comunista Cinese – sarebbe stato accusato di aver preso milioni dollari per la rielezione del 1996, uno scandalo anche chiamato «Chinagate». La Cina sarebbe arrivata proprio in quegli anni nel WTO, cioè nel commercio mondiale che realizzò la globalizzazione e distrusse manifattura e classe media occidentale.

 

In Italia, a quell’epoca c’era Prodi: casualmente, un grande nemico del sovranismo e un grandissimo amico della Cina.

 

 

 

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

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Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.

 

In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».

 

Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.

 

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.

 

In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.

 

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».

 

Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».

 

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Orban: i funzionari dell’UE «violano la legge»

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Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha accusato i funzionari dell’UE di «violazione sistematica della legge» per il loro piano di privare gli Stati membri del diritto di veto sul congelamento degli asset russi.   Venerdì pomeriggio la Commissione Europea ha votato una proposta per attivare l’articolo 122 dei trattati UE, una clausola di emergenza che permette di adottare decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità. Tale misura consentirebbe all’Unione di mantenere indefinitamente il blocco dei beni sovrani russi e di destinare i profitti o gli interessi generati a sostegno dell’Ucraina, anche in presenza di opposizioni da parte di singoli Stati membri.   «Con la procedura di oggi, i burocrati di Bruxelles aboliscono con un solo tratto di penna l’obbligo di unanimità, un atto palesemente illegale», ha scritto Orban su X venerdì. «Lo stato di diritto nell’Unione Europea sta giungendo al termine e i leader europei si pongono al di sopra delle regole. Anziché garantire il rispetto dei trattati UE, la Commissione Europea viola sistematicamente il diritto europeo».   Orban ha denunciato che i «burocrati» e i guerrafondai dell’UE stanno spingendo per «protrarre la guerra in Ucraina, un conflitto che è chiaramente impossibile vincere».  

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«Con questo passo, lo stato di diritto nell’UE viene sostituito dal governo dei burocrati. In altre parole, si è instaurata una dittatura di Bruxelles», ha aggiunto. «L’Ungheria protesta contro questa decisione e farà tutto il possibile per ripristinare un ordine legittimo».   Dopo l’escalation del conflitto ucraino nel 2022, i partner occidentali di Kiev hanno congelato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, la maggior parte dei quali depositati presso Euroclear a Bruxelles. Nelle ultime settimane è scoppiata una forte controversia tra i Paesi europei favorevoli all’utilizzo di tali fondi come garanzia per un «prestito di riparazione» a Kiev e quelli contrari, che invocano rischi legali e finanziari.   L’attivazione della clausola di emergenza per un congelamento a tempo indeterminato toglierebbe a Stati oppositori come l’Ungheria la possibilità di veto sul rinnovo semestrale. Secondo il piano, il blocco rimarrebbe in vigore fino al pagamento da parte della Russia delle riparazioni post-conflitto all’Ucraina e fino a quando l’UE non riterrà cessata «una minaccia immediata» ai propri interessi economici derivante da possibili ritorsioni legali.   Mosca ha condannato come illegittimo qualsiasi tentativo di appropriazione dei suoi beni. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha dichiarato questa settimana che la Russia reagirà a ogni espropriazione, aggiungendo che «derubare» il Paese rappresenta l’ultima carta rimasta ai sostenitori europei dell’Ucraina per continuare a finanziare Kiev nel conflitto con Mosca.   L’Ungheria si oppone da tempo a ulteriori aiuti a Kiev: Orban li ha paragonati al «mandare un’altra cassa di vodka a un alcolizzato». Budapest non è tuttavia isolata: anche il Belgio, che custodisce la maggior parte dei fondi, ha criticato duramente il piano, con il primo ministro Bart De Wever che lo ha definito «equivalente a rubare» denaro russo.   I capi di Stato e di governo dell’UE voteranno la proposta al vertice della prossima settimana.

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Immagine di Manfred Weber via Flickr con licenza CC BY-NC-SA 2.0
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Trump fa pressione su Zelens’kyj affinché ceda terreni alla Russia

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta esercitando forti pressioni su Volodymyr Zelens’kyj affinché accetti di cedere territori alla Russia per porre fine alla guerra tra Kiev e Mosca. Lo riporta il giornale tedesco Bild, citando fonti anonime.

 

Sabato il quotidiano ha scritto che la Casa Bianca sta «esercitando una pressione intensa sul leader ucraino per ottenere concessioni». Secondo l’articolo, Trump potrebbe «sfruttare la vulnerabilità interna di Zelens’kyj» causata da uno scandalo della corruzione miliardaria di Kiev.

 

Il mese scorso le agenzie anticorruzione ucraine, sostenute dall’Occidente, hanno reso noti i risultati preliminari di un’inchiesta su presunte tangenti per circa 100 milioni di dollari nel settore energetico, coinvolgendo figure vicine all’entourage del presidente. A seguito dello scandalo si sono dimessi la ministra dell’Energia Svetlana Grinchuk, il ministro della Giustizia German Galushchenko e il principale consigliere nonché stretto collaboratore di Zelens’kyj, Andrey Yermak.

 

La Bild sostiene che i negoziati di pace promossi dagli Stati Uniti si trovino nella fase più avanzata dall’inizio dell’escalation del conflitto in Ucraina, nel febbraio 2022. Trump starebbe cercando di chiudere un accordo tra Mosca e Kiev in tempi brevi, indicando il Natale come possibile scadenza.

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Kiev ha sempre escluso il riconoscimento delle ex regioni ucraine del Donbass come territorio russo. Le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk hanno aderito alla Federazione Russa in seguito ai referendum del 2022. Zelensky ha tuttavia ammesso che l’Ucraina potrebbe indire un referendum su eventuali concessioni territoriali.

 

Il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov ha replicato che il Donbass è territorio sovrano russo e che Mosca, prima o poi, riprenderà il controllo sulle aree ancora occupate dalle forze ucraine, aggiungendo che Zelens’kyj si è finora opposto al ritiro delle truppe dalla regione, nonostante questa richiesta figuri tra le proposte di pace avanzate da Washington.

 

Giovedì Trump ha dichiarato ai giornalisti alla Casa Bianca che «a parte il presidente Zelens’kyj, il suo popolo ha apprezzato il concetto dell’accordo di pace» da lui proposto il mese scorso. Il presidente americano ha precisato che il processo è «un po’ complicato perché si tratta di dividere il territorio in un certo modo».

 

Nel frattempo, le truppe russe proseguono la loro avanzata nel Donbass, avendo recentemente liberato la importante piazzaforte di Seversk.

 

In un’intervista rilasciata a Politico lunedì, Trump ha affermato che lo Zelens’kyj «dovrà rimboccarsi le maniche e cominciare ad accettare le cose».

 

Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi giorni Trump ha esortato l’ex attore ucraino ad essere «realista», chiosando che «in Ucraina tutti tranne Zelens’kyj hanno apprezzato il mio piano». Lo stesso presidente americano, che si era detto «deluso» dalla mancata risposta di Kiev alla sua proposta di pace, aveva quindi esortato il presidente ucraino ad indire le elezioni.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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