Cina
Adolescenti cinesi e «giustizia digitale»: l’epidemia del doxing tra solitudine e vendetta

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In Cina tra i giovani cresce il fenomeno del cyberbullismo con diffusione di informazioni personali per danneggiare le vittime. Minori di 16 anni soli e vendicativi agiscono senza conseguenze, per un vuoto legislativo. Trovando una falsa percezione di potere. Il governo punta al contrasto, mentre alcune storie mostrano la possibilità di riscatto dagli abusi online.
Tra gli adolescenti cinesi sarebbe una vera e propria epidemia quella del doxing, forma di cyberbullismo che prevede la diffusione non autorizzata di informazioni, dichiarazioni o documenti sensibili e personali per molestare, esporre, o causare danni a persone prese di mira. Dietro coloro che lo attuano – per lo più persone minori sotto i 16 anni, non penalmente responsabili secondo la legge cinese – vi sono vittime di bullismo mosse dalla vendetta, genitori assenti, giovani disperati e soli, privi di una reale rete sociale e inebrianti dalla superficiale percezione dal potere derivata dall’essere un doxer.
Come sottolineato in un lungo approfondimento pubblicato su Sixth Tone, un’iniziativa del governo cinese nota come Operazione Qinglang, lanciata nell’estate del 2024, sta tentando di ripulire gli spazi digitali e connessi dai minori, con particolare attenzione proprio alla pratica del doxing.
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I doxer spesso la passano liscia perché a causa della giovane età non affrontano conseguenze legali o ne affrontano di minime, intensificando addirittura i loro attacchi. Prima dell’Operazione Qinglang, i doxer famosi e i blogger influenti erano venerati come simboli di potere all’interno della comunità. E loro stessi percepivano questa importanza derivata dal riconoscimento anche finanziario di altri utenti, ma che in realtà nascondeva una profonda solitudine.
Agendo in nome della «giustizia digitale», gli autori di questi reati spesso accedono ai dati personali dalle piattaforme online, tracciano gli indirizzi IP o raccogliendo informazioni dai social media, per creare un profilo completo della vittima designata. Telegram, la piattaforma crittografata ufficialmente non disponibile nella Cina continentale, è diventata il centro preferito per le attività di doxing grazie alle sue caratteristiche di anonimato. Sixth Tone – riprendendo un articolo apparso originariamente su White Night Workshop – condivide delle testimonianze agghiaccianti sul sulla pratica del doxing in Cina.
Gao Yi (nome di fantasia) è diventato doxer dopo essere stato una vittima di bullismo. «Quando nelle chat di gruppo QQ (il più popolare programma di messaggistica in Cina, ndr) hanno iniziato a circolare annunci pubblicitari relativi a “servizi di doxing”, Gao ha intravisto l’opportunità di mettere finalmente in mostra le sue competenze tecniche e ottenere il riconoscimento che desiderava. Ha iniziato a immergersi nel mondo del doxing online», viene raccontato. Per la prima volta il giovane ebbe la falsa percezione di essere circondato da amici, guadagnandosi persino l’appellativo di «Dragon King». È la solitudine il filo rosso di questa esperienza.
Anche Guo Zitian (nome di fantasia), 15 anni, viveva secondo una semplice regola: «chiunque mi insulta viene smascherato», continua. Anche lui entrò a far parte della comunità di doxer dopo essersi ritrovato senza amici. Per pubblicare il suo servizio condivideva pure lettere di scuse scritte a mano dalle sue vittime: una dimostrazione pubblica di potere. L’impunità che circonda questi giovani è dovuta a un vuoto legislativo.
Sixth Tone riporta la voce dell’avvocato Chen Weijie, che sottolinea quanto i conflitti spesso hanno origine nei gruppi di fan, nelle comunità di anime e nei circoli di gioco. Solo una piccola parte dei casi arriva a una sentenza definitiva. Nel sistema giuridico cinese non è ancora chiaro se essi rientrino nella giurisdizione civile o amministrativa.
Una delle vittime di doxing più presa di mira è Chuan Lie, creator. «I suoi problemi sono iniziati quando si è imbattuto in una truffa che rubava le password degli account di gioco e ha realizzato un video di avvertimento al riguardo», dice Sixth Tone. Tutto iniziò nel 2022, con le sue informazioni private ripetutamente divulgate online. Comprese foto della famiglia e indirizzi di casa che hanno totalizzato centinaia di migliaia di visualizzazioni. Quando uno dei doxer di Chuan Lie è stato finalmente identificato, si è scoperto che il responsabile aveva solo 13 anni.
«I motivi che scatenano gli attacchi di doxing sono diventati sempre più banali: perdere una partita a un videogioco, vivere una rottura sentimentale, criticare la celebrità preferita di qualcuno o persino pubblicare un meme che qualcuno considera “fastidioso”», viene spiegato. Pochi sarebbero motivati dal guadagno economico.
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La maggior parte dei doxer, invece, agisce mosso da «divertimento» o «vendetta». Il caso Chuan Lie ha portato alla luce anche un «modello inquietante»: molti doxer non avevano completato i nove anni di istruzione obbligatoria in Cina, spesso a causa dei genitori lavoratori migranti che erano assenti per lunghi periodi. Scoprendo così online un «inebriante senso di potere».
Si contano comunque tra i doxer anche delle storie di conversione. Per esempio, Gao Yi, che aveva già deciso di smettere con il doxing, ha aiutato a rintracciare il responsabile del doxing contro Chuan Lie. Gao ha aperto gli occhi sul comportamento incontrollato della comunità di doxer, lasciandolo preoccupato per il proprio futuro.
Anche Guo Zitian si è allontano dall’ambiente. Trovando difficoltà a lasciare gli studi, è entrato nel mondo del lavoro. «Ora che lavora in una cucina stressante, Guo non ha mai più ritrovato quella sensazione divina che provava ai tempi in cui era online», racconta Sixth Tone. Ora empatizza con chi inciampa nel suo stesso passato, riconoscendo l’inconsistenza di quel brivido di onnipotenza.
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Cina
Pechino dichiara guerra al fumo

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Cina è il primo produttore e consumatore di tabacco, con 300 milioni di fumatori e oltre un milione di morti l’anno. Decine di divisioni provinciali hanno già stretto le norme e il piano «Healthy China 2030» punta a ridurre al 20% i fumatori adulti. Shanghai da mesi sta sperimentano i divieti anche all’aperto in aree sensibili. Intanto cresce l’attivismo civico e anche gli studenti spingono per campus liberi da fumatori.
In Cina è guerra aperta contro il vizio del fumo. Si tratta di un problema molto serio per un Paese considerato il maggiore produttore e consumatore di tabacco al mondo, con oltre 300 milioni di fumatori e più di un milione di persone che muoiono ogni anno per malattie legate ad esso.
Già nella prima metà dello scorso anno, 24 divisioni provinciali avevano introdotto normative locali per contrastare il consumo di tabacco. Mentre da tempo è in vigore l’iniziativa nazionale «Healthy China 2030», che mira a ridurre al 20% la percentuale dei fumatori dai 15 anni in su entro il 2030.
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Pioniera nel controllo del tabacco in Cina è stata la città di Shanghai, avendo istituito per prima il divieto di fumo nei locali pubblici al chiuso nel 2010. Da allora chiunque venga sorpreso accendersi una sigaretta all’interno di ambienti come scuole, ospedali, mezzi pubblici e ristoranti, riceverà prima un avvertimento e poi una multa da 50 a 200 yuan (da 6 a 24 euro circa), in caso di resistenza.
Nel tentativo di compiere un ulteriore sforzo per ridurre la dipendenza da tabacco, a marzo di quest’anno la città ha lanciato un programma pilota per combattere il fumo anche negli spazi pubblici all’aperto. Secondo le linee guida pubblicate dalle autorità locali, siti turistici, scuole, ristoranti e bar in tutta la città sono tenuti ad apporre cartelli antifumo nelle aree di attesa e a formare il personale per scoraggiare il vizio. I cittadini possono segnalare le violazioni chiamando un numero verde governativo. I trasgressori individuali rischiano multe fino a 200 yuan (circa 24 euro), mentre i locali possono essere multati fino a 30.000 yuan (circa 3.600 euro).
L’iniziativa sembra essere stata molto apprezzata dai residenti. Rispondendo a un sondaggio condotto dagli enti di regolamentazione sanitaria della città, oltre il 90% degli intervistati ha ammesso di non tollerare di essere costantemente esposto al fumo passivo mentre cammina per strada.
Tra di loro vi è anche Zhang Yu, impiegato finanziario di professione e fervente influencer antifumo. Alcuni video apparsi sui social media cinesi mostrano Zhang mentre affronta con modi gentili ma decisi coloro che violano il divieto di fumo nei centri commerciali, nei condomini, negli ospedali e in altri spazi pubblici di Shanghai, esortandoli a «spegnere la sigaretta o andarsene».
«Fumare è una questione molto personale, ma quando danneggia gli altri, diventa una cosa davvero brutta», ha dichiarato a Sixth Tone. Ha aggiunto, inoltre, che la maggior parte dei suoi interventi si risolve senza grossi intoppi e che solo in rari casi, trovandosi di fronte a dei fumatori ostinati, è stato costretto a chiamare la polizia. Sui social il sostegno a Zhang è pressoché unanime: in molti dichiarano di aver iniziato a seguire il suo esempio e lo incoraggiano a «continuare così».
Tra le fila dei paladini antifumo vi è anche Xu Lihong, operatrice sanitaria 26enne di Chengdu con oltre 5.600 follower su Xiaohongshu. «Non chiediamo ai fumatori di smettere definitivamente, ma crediamo che la libertà di fumare non debba andare a discapito del diritto altrui a evitare il fumo passivo», ha affermato Xu, autoproclamandosi «ambasciatrice del controllo del tabacco».
Per rendere più efficaci le misure antifumo nella sua città, l’attivista suggerisce di distinguere in modo inequivocabile le aree dove è consentito fumare da quelle dove invece non lo è. Ha notato infatti che quando i cartelli che indicano il divieto sono chiaramente visibili, le persone sono molto più propense ad accondiscendere ai suoi richiami.
Secondo Xu, inoltre, le sanzioni previste per chi viola la normativa sono troppo blande e per questo inefficaci. Nonostante le difficoltà, la giovane è ferma nel suo impegno e ha costruito una rete con altri attivisti antifumo per condividere esperienze e offrire supporto. «Spero in un futuro in cui tutti gli spazi pubblici siano liberi dal fumo passivo», ha affermato.
Zhang Ruicong, studentessa universitaria della provincia dello Zhejiang, ha raccontato di essere stata aggredita verbalmente dopo aver chiesto a una persona di smettere di fumare su una scala mobile della stazione ferroviaria. Le è capitato anche di vedere diversi uomini in un ristorante che continuavano a fumare accanto a dei bambini, nonostante i ripetuti solleciti a smettere.«Molte persone considerano il fumo una cosa normale o temono di causare problemi parlandone», ha affermato, sottolineando i radicati atteggiamenti sociali in Cina nei confronti di questa abitudine. Ha aggiunto che persino sua madre considera la sua posizione «estrema».
Nonostante tutto la giovane resta ottimista. Crede che a guidare il cambiamento su questo tema siano soprattutto le giovani generazioni e, citando la campagna «campus senza fumo» della sua università, ha ribadito come secondo lei «gli studenti siano catalizzatori del progresso sociale».
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Il cambiamento di atteggiamento nei confronti del fumo si riflette anche nella cultura popolare. Recentemente, diversi comici hanno incorporato una sorta di «propaganda antifumo» nei loro spettacoli, incontrando il favore del pubblico a livello nazionale.
Particolarmente indicativa è una vicenda accaduta lo scorso agosto a Shaoxing, città natale di Lu Xun (1881-1936), uno dei principali intellettuali della Cina moderna. Un murale raffigurante il famoso scrittore che fuma, situato presso il memoriale a lui dedicato, è stato al centro di un acceso dibattito dopo la denuncia di un visitatore, preoccupato per l’influenza negativa che l’immagine avrebbe potuto avere sui giovani. L’uomo, un certo Sun, non ha esitato a presentare un reclamo tramite la piattaforma governativa della provincia di Zhejiang, ritenendo che l’opera rischiava di rendere il fumo un’abitudine affascinante per gli adolescenti.
L’opinione pubblica si è quindi divisa tra i sostenitori di Sun, convinti che gli spazi pubblici dovrebbero evitare immagini che tendono a normalizzare il fumo, e i suoi oppositori, secondo cui rimuovere o apportare modifiche all’iconico ritratto avrebbe causato solo uno spreco di risorse pubbliche. Per questi ultimi, inoltre, agire in tal senso avrebbe significato compiere una distorsione storica, dal momento che all’epoca di Lu Xun il fumo non era considerato un vizio, né era condannato come un pericolo per la salute pubblica. Alla fine ha prevalso il secondo fronte: le autorità culturali locali hanno deciso di preservare il murale, in quanto ritenuto parte dell’immagine storica di Lu Xun.
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Cina
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