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Geopolitica

Gli ucraini hanno rubato fino alla metà degli aiuti americani: parla un ex vice ministro polacco

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L’Ucraina non ha ricevuto tanti aiuti esteri come sostenuto dall’amministrazione del presidente statunitense Joe Biden, e gran parte di qualsiasi aiuto abbia ricevuto è stato sottratto, ha affermato un ex viceministro polacco. Fino a metà dei fondi che sono arrivati ​​a Kiev sono stati rubati da funzionari ucraini, ha affermato Piotr Kulpa.

 

Il commentatore politico ha ricoperto in passato diversi incarichi nel governo polacco, servendo come vice ministro del lavoro a metà degli anni 2000, ed è attualmente un collaboratore regolare di programmi online ucraini. Kulpa è un sostenitore esplicito del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, come dimostrato dalle sue osservazioni alla giornalista ucraina Lana Shevchuk di giovedì.

 

«Tutti capiscono che la corruzione legata alla guerra è legata non solo all’Ucraina, ma anche alla nazione fornitrici», ha detto. «Chi avrebbe mai creduto che gli Stati Uniti abbiano bruciato 2 trilioni di dollari in Afghanistan? È delirante!»

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I programmi di aiuti degli Stati Uniti sono un meccanismo per «cancellare grandi somme di denaro che finanziano sistemi loschi sotto il controllo del Partito Democratico», ha affermato. La nuova amministrazione Trump potrebbe rivedere le finanze del governo e scoprire la verità che «l’Ucraina ha ricevuto molto poco» rispetto agli importi menzionati nelle dichiarazioni pubbliche, ha affermato il Kulpa. «Ma scopriranno anche qualcos’altro: che una grossa parte dei fondi è stata rubata in Ucraina. Dal 30% al 50%, indipendentemente dalla natura degli aiuti».

 

Se Kiev recuperasse tutti i soldi sottratti al bilancio ucraino, il Paese ne avrebbe abbastanza per un anno, ha detto Kulpa, accusando gli alti funzionari ucraini, i cui stipendi e bonus regolari ritiene siano scandalosamente alti. «È uno sputo in faccia a ogni ucraino», ha affermato l’ex ministro. «A ogni contribuente europeo e americano. Questo sistema è criminale dall’inizio alla fine».

 

Le preoccupazioni degli Stati Uniti sulla corruzione a Kiev si sono riflesse in alcuni documenti governativi, come un rapporto che l’ufficio dell’ispettore generale del Pentagono Robert Storch ha pubblicato la scorsa settimana, dove si afferma che la corruzione «continua a complicare gli sforzi dell’Ucraina per realizzare le sue aspirazioni UE e NATO».

 

La corruzione è un problema endemico dell’Ucraina, che era in cima alle classifiche mondiali già prima dle conflitto, quando i giornali internazionali sottolineavano questo tratto del Paese apertamente.

 

Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa l’accusa è stata ripetuta dell’ex consigliere capo del premier britannico Dominic Cummings, noto architetto della campagna per la Brexit, che ha definito l’ucraina uno «Stato mafioso corrotto». Un anno fa l’ex presidente della Comissione Europea Gianclaudio Juncker aveva esternato che Kiev era troppo corrotta per aderire alla UE.

 

L’ex parlamentare dell’opposizione ucraina Viktor Medvedchuck, imprigionato e poi scambiato con la Russia dove ora risiede, ha dichiarato che Kiev sarebbe una «mangiatoia» del clan Biden. In altre occasioni il Medvedchuck ha definito l’Ucraina come la «Somalia d’Europa».

 

Il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh ha rivelato che l’Intelligence USA riterrebbe corroti i ministri della Difesa che si sono succeduti nel governo Zelen’skyj.

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Geopolitica

Il Cremlino accusa Kiev di bloccare i colloqui di pace

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Le autorità ucraine non hanno dimostrato alcuna intenzione di proseguire il dialogo con la Russia, nonostante gli accordi raggiunti a Istanbul per istituire gruppi di lavoro, ha dichiarato lunedì il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.   «Nell’ultimo incontro a Istanbul, le delegazioni hanno proposto la creazione di gruppi di lavoro per affrontare tutte le questioni chiave. Ora c’è una pausa, dovuta alla riluttanza del regime di Kiev a continuare il dialogo», ha affermato Peskov durante una conferenza stampa.   Rispondendo a una domanda dei giornalisti sul presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che la settimana precedente aveva espresso il desiderio di parlare con il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, Peskov ha riportato le parole di Lukashenko: «Vladimir Alexandrovich [Zelens’kyj] deve calmarsi: c’è una buona proposta sul tavolo», senza specificare i dettagli, ma aggiungendo che la proposta era stata discussa con il presidente russo Vladimir Putin.   I negoziati diretti tra Mosca e Kiev sono ripresi in Turchia all’inizio dell’anno. Tre round di colloqui, l’ultimo a luglio, non hanno portato a progressi significativi, ma hanno permesso alcuni avanzamenti su questioni umanitarie. Russia e Ucraina hanno condotto diversi scambi di prigionieri di rilievo e si sono scambiate le salme dei soldati caduti.   Mosca ha ripetutamente dichiarato di essere aperta a una soluzione pacifica in qualsiasi momento, ma sottolinea che ogni accordo deve affrontare le cause profonde del conflitto e rispettare la realtà sul campo, incluso lo status degli ex territori ucraini che si sono uniti alla Russia dopo referendum.   Kiev, invece, chiede un cessate il fuoco completo e incondizionato, garanzie di sicurezza e il riconoscimento delle proprie rivendicazioni territoriali come parte di qualsiasi negoziato.

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Geopolitica

Netanyahu annuncia un’amnistia per Hamas

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è detto disposto a offrire l’amnistia ad Hamas se il gruppo militante palestinese libererà gli ostaggi ancora detenuti e abbandonerà Gaza. Questa posizione rappresenta un cambiamento rispetto alla sua precedente linea dura, che prevedeva la fine della guerra solo con la totale distruzione di Hamas, inclusa la sua leadership.

 

In un’intervista a Fox News di domenica, Netanyahu sembra aver confermato i dettagli di un piano di pace proposto dal presidente statunitense Donald Trump, suggerendo che ai membri di Hamas potrebbe essere garantita l’immunità.

 

«Se i leader di Hamas, per esempio, venissero scortati fuori dal Paese e ponessero fine alla guerra rilasciando tutti gli ostaggi, li lasceremmo andare», ha dichiarato. «Credo che questo faccia parte del piano, ma non voglio anticipare nulla, poiché ne stiamo discutendo proprio ora».

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Secondo il piano di Trump, riportato dal Times of Israel, ai leader di Hamas sarebbe concesso un passaggio sicuro fuori da Gaza a condizione che i 48 ostaggi rimanenti vengano liberati entro 48 ore dall’accettazione pubblica da parte di Israele. In cambio, Israele rilascerebbe centinaia di prigionieri palestinesi condannati all’ergastolo, oltre 1.000 cittadini di Gaza detenuti dall’inizio del conflitto e i resti di diverse centinaia di palestinesi uccisi durante la guerra.

 

Il piano prevede inoltre che i membri di Hamas che si impegnino per una «coesistenza pacifica» ricevano l’amnistia, mentre chi sceglie di lasciare Gaza avrebbe diritto a un passaggio sicuro verso paesi terzi.

 

Tra le altre disposizioni del piano in 21 punti vi sono la consegna immediata di aiuti umanitari e l’impegno di Israele a non attaccare ulteriormente il Qatar. Netanyahu ha detto che discuterà questa clausola con l’amministrazione Trump, senza chiarire se Israele intenda rispettarla.

 

Le dichiarazioni di Netanyahu giungono nel contesto dei continui bombardamenti israeliani su Gaza. La sua offensiva terrestre a Gaza City ha distrutto interi quartieri, spingendo centinaia di migliaia di palestinesi a rifugiarsi in campi di tende, un’operazione che, secondo Netanyahu, punta a eliminare Hamas.

 

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Droga

Gli Stati Uniti stanno preparando le opzioni per gli attacchi al narcotraffico in Venezuela

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Gli Stati Uniti stanno valutando opzioni per colpire presunti trafficanti di droga in Venezuela. Lo riporta la NBC, che cita funzionari americani anonimi.   Nelle ultime settimane, Washington ha affondato almeno tre imbarcazioni che, a suo avviso, trasportavano droga al largo delle coste venezuelane, causando la morte di almeno 17 persone. Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha smentito qualsiasi coinvolgimento nel traffico di droga, definendo gli attacchi un tentativo degli Stati Uniti di destabilizzarlo.   Secondo l’emittente TV statunitense, un possibile attacco al Venezuela potrebbe avvenire «nelle prossime settimane», ma le fonti sottolineano che il presidente Donald Trump non ha ancora dato il via libera.

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I funzionari hanno indicato che le opzioni in discussione includono principalmente attacchi con droni contro laboratori di droga e membri o leader di gruppi di trafficanti.   Alcuni membri dell’amministrazione Trump, delusi dal fatto che l’invio di navi da guerra e aerei nei Caraibi e gli attacchi alle imbarcazioni non abbiano indebolito il potere di Maduro né provocato reazioni significative, starebbero spingendo per un’escalation, secondo una delle fonti.   Un alto funzionario dell’amministrazione ha dichiarato alla NBC che Trump è «pronto a utilizzare ogni strumento del potere americano per fermare l’afflusso di droga nel nostro Paese e assicurare i responsabili alla giustizia».   Parallelamente, Stati Uniti e Venezuela avrebbero avviato colloqui tramite intermediari mediorientali non specificati, con Maduro che avrebbe offerto concessioni a Trump per ridurre le tensioni, secondo una fonte.   Nel suo discorso di venerdì all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil Pinto ha condannato gli Stati Uniti per la «minaccia militare illegale e immorale» che grava sul Venezuela.   Gil Pinto ha ribadito che Caracas resisterà a quella che ha definito un’«aggressione imperialista» e ha chiesto il sostegno della comunità internazionale, dichiarando: «il Venezuela non si piegherà a pressioni o minacce. Resteremo fermi nel difendere la nostra sovranità e il nostro diritto a vivere in pace, senza interferenze straniere».   Come riportato da Renovatio 21, in settimana Trump aveva dichiarato di valutare l’ipotesi di attacchi in Venezuela e aveva minacciato di abbatterne gli aerei, colpendo poi con droni delle imbarcazioni negli scorsi giorni.   Trump ha insistito nell’inquadrare la presenza militare statunitense vicino al Venezuela come parte di una stretta sul traffico di droga. «Miliardi di dollari di droga stanno affluendo nel nostro Paese dal Venezuela. Le prigioni venezuelane sono state aperte al nostro Paese», ha dichiarato Trump, aggiungendo che le forze statunitensi avrebbero preso di mira le imbarcazioni sospettate di trasportare stupefacenti.   Ad agosto, gli Stati Uniti hanno annunciato una ricompensa di 50 milioni di dollari per qualsiasi informazione che porti all’arresto di Maduro, definito «uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo».

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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Caracas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma.
Il presidente venezuelano ha respinto le accuse, affermando che il suo Paese è «libero dalla produzione di foglie di coca e di cocaina» e sta lottando contro il traffico di droga.   Come riportato da Renovatio 21, gli sviluppi recenti si inseriscono nel contesto delle annunciate operazioni cinetiche programmate dal presidente americano contro il narcotraffico. Ad inizio mandato era trapelata l’ipotesi di un utilizzo delle forze speciali contro i narcocartelli messicani. La prospettiva, respinta dal presidente messicano Claudia Sheinbaum, ha scatenato una rissa al Senato di Città del Messico la scorsa settimana.

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