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La Croce, unica speranza: omelia di Mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò per la festività della Santa Croce (14 settembre).

 

 

IN HOC SIGNO VINCES

Omelia nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce

 

 

Tum Heraclius, abjecto amplissimo vestitu detractisque calceis ac plebejo amictu indutus,
reliquum viæ facile confecit, et in eodem Calvariæ loco Crucem statuit, unde fuerat a Persis asportata.
Itaque Exaltationis sanctæ Crucis solemnitas, quæ hac die quotannis celebrabatur,
illustrior haberi cœpit ob ejus rei memoriam,
quod ibidem fuerit reposita ab Heraclio, ubi Salvatori primum fuerat constituta.

Lect. VI – II Noct.

 

Nel settimo mese, durante la festa dei Tabernacoli, Salomone aveva compiuto i riti di consacrazione dell’antico Tempio (1 Re 8, 2 e 65); il 14 Settembre 335, nella stessa ricorrenza, Costantino aveva dedicato la Basilica del Santo Sepolcro, per simboleggiare come il luogo della Sepoltura – il Martyrium – e della Resurrezione – l’Anastasis – costituissero il nuovo Tempio di Gerusalemme.

 

La Basilica romana della Santa Croce venne edificata dall’imperatrice Sant’Elena per accogliere le reliquie del Sacro Legno dopo il suo ritorno dal viaggio in Terra Santa, nel 325. Fu lì che il culto della Croce di Cristo si diffuse nell’orbe cattolico – come ricorda Dom Prosper Guéranger – perdurando sino ad oggi.

 

Nel 614 il re persiano Cosroe II invase Gerusalemme, distrusse la Basilica costantiniana, si impossessò della Vera Croce e – in un gesto di empietà che suscitò lo sdegno dei fedeli – usò quel legno benedetto per ricavarne il proprio seggio.

 

Nel 628 l’imperatore Eraclio vinse e decapitò Cosroe, riconquistò Gerusalemme, ricostruì la Basilica del Santo Sepolcro e portò a Bisanzio – abjecto amplissimo vestitu detractisque calceis ac plebejo amictu indutus, scalzo e vestito da pellegrino – le preziose reliquie della Santa Croce.

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Gli eventi storici – perché parliamo di storia documentata e corroborata da autorevolissime testimonianze – che hanno condotto alla diffusione del culto della Croce e alla festa della sua Esaltazione che oggi celebriamo, non devono distrarci da un aspetto spirituale e soprannaturale che è fondamentale per ciascuno di noi.

 

La Croce sulla quale Nostro Signore sparse il proprio Sangue e morì per la nostra Redenzione attraversa la Storia dell’umanità sin da quando, secondo la Legenda aurea del vescovo domenicano Jacopo da Varagine, San Michele Arcangelo ordinò a Set (figlio di Noè) di mettere tre semi dell’albero della vita nella bocca del defunto Adamo: da quei semi nacque un albero che Salomone fece tagliare per la costruzione del Tempio ma che non poté utilizzare e fece seppellire su monito della Regina di Saba.

 

Quel Legno fu ritrovato ai tempi di Cristo e utilizzato per farne la Croce, poi recuperata da Sant’Elena dopo che gli Ebrei l’avevano nascosta per sottrarla all’adorazione dei fedeli. A riprova della sua autenticità rispetto a quelle su cui vennero giustiziati i ladroni, il Santo Legno risuscitò un morto al solo contatto.

 

La nostra mentalità mondanizzata, infetta di un razionalismo incredulo che nulla ha di scientifico, si sente a disagio dinanzi alla narrazione di eventi prodigiosi che attraverso i millenni uniscono Adamo a Cristo.

 

Ci riesce arduo e quasi imbarazzante credere ad un racconto trasmesso attraverso i secoli in cui si parla della Regina di Saba e del Re Salomone, della fede umile dell’Imperatore Costantino e di sua madre Elena. Ed è sempre la mentalità secolarizzata che ci fa sentire la Croce come un giogo insopportabile, come un segno incomprensibile al mondo, in cui il Sangue del Salvatore impregna le fibre del legno, tenendo inchiodato e straziato dalla Passione il Corpo santissimo del Dio incarnato.

 

Ai tormenti orribili della Croce, la chiesa conciliare ha preferito la tranquillizzante immagine di un Cristo risorto sottratto ai dolori della Passione. Il mondo rifiuta la Croce perché non si riconosce peccatore e non accetta quindi la Passione redentrice di Nostro Signore. Si filius Dei es, descende de cruce (Mt 27, 40): è la tentazione di chi non comprende che non vi è vittoria senza combattimento, né trionfo della Resurrezione senza i patimenti della Croce.

 

Lo spirito secolarizzato, penetrato nella Chiesa con la complicità di una Gerarchia senza Fede e senza Carità, è giunto a imporre questa visione orizzontale che vanifica la Redenzione di Cristo, la Sua Incarnazione, la Sua Passione.

 

Se «tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio», come ha blasfemamente affermato Bergoglio pochi giorni fa a Singapore, non occorre nessun Salvatore; né una Chiesa che sia nel mondo strumento di salvezza; né un Papa che nella Chiesa sia vincolo di unità nella Fede.

 

Eppure questo «papa», per il quale chiunque può salvarsi senza la Rivelazione di Cristo, pretende di essere riconosciuto e obbedito dai Cattolici come capo di quella Chiesa che egli considera blasfemamente inutile; e in nome di un potere usurpato osa addirittura scomunicare chi denuncia la sua apostasia.

 

Davanti alla Croce ci inginocchiamo adoranti il Venerdì Santo, il giorno della sua Invenzione e oggi, nella festa della sua Esaltazione.

 

Lo facciamo duplici genu, con due ginocchia, come dinanzi all’augustissimo Sacramento: un gesto esteriore di adorazione ci invita a contemplare quei due pezzi di legno spogli, che hanno attraversato la Storia e che ancora rappresentano il discrimen (lo spartiacque) delle vicende umane, sino alla fine dei tempi, quando sarà la Croce a risplendere nel cielo, come anticipato da San Giovanni nell’Apocalisse (1, 7).

 

Davanti alla Croce ci inginocchiamo, spogliandoci di noi stessi, come Cristo stesso fu esposto all’umiliazione e all’obbrobrio al pari di un criminale meritevole di morte. E davanti alla Croce si devono inginocchiare tutte le creature, cœlestium, terrestrium et infernorum (Fil 2, 10), perché il frutto di morte colto dai nostri Progenitori disobbedendo al comando di Dio diventi frutto di vita eterna nel Sacrificio del nuovo Adamo; un frutto maturato nel corso dei secoli mediante la preparazione nell’Antica Legge, fino al compimento nella nuova ed eterna Alleanza; un frutto irrorato del Sangue dell’Agnello Immacolato, che ci risparmia e ci salva al passaggio dell’angelo sterminatore (Es 12, 13).

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Quell’Albero della Vita che ci fu causa di morte nell’Eden rinasce sul Golgota come strumento di supplizio e di morte, per darci la vera Vita, la vita della Grazia, dell’amicizia con Dio, con la Santissima Trinità, la vita ripristinata in Cristo, vero Dio e vero Uomo.

 

Torniamo dunque alla Croce, cari fratelli, perché essa è davvero spes unica, come cantiamo nell’antichissimo inno Vexilla Regis.

 

Essa è unica speranza perché nella Croce comprendiamo la necessità della Passione, nei piani di un Dio che Si incarna per redimere il servo, felix culpa.

 

Essa è l’unica speranza perché le gioie, le ricchezze, il benessere, il successo, il denaro, i piaceri di questo mondo sono tutti fallaci e ingannatori. Con essi Satana ci tiene avvinti alle creature, per impedirci di elevare lo spirito al Creatore; ci lega alla finzione, perché non abbiamo a cogliere la realtà; ci illude con le cose effimere, mentre il Signore ci concede la Grazia di entrare nell’eternità.

 

Solo così possiamo comprendere perché alcuni Santi – come San Francesco, modello di povertà e di rinuncia al mondo – siano stati privilegiati da Cristo proprio nel portare su di sé le Stimmate della Passione. Quelle Sante Piaghe ciascuno di noi deve averle impresse misticamente nell’anima, nel rinnegamento di sé che tanto ci costa ma che, solo, ci rende davvero simili a Nostro Signore.

 

Si quis vult venire post me, abneget semetipsum, et tollat crucem suam quotidie et sequatur me (Lc 9, 23). Il rinnegamento di sé consiste nell’abbracciare la nostra croce, e nel portarla quotidie, ogni giorno, seguendo Cristo verso il Calvario. Ed è la nostra croce, ossia quella che la Provvidenza ci ha destinato – piccola o grande che sia – e non quella che noi vogliamo sceglierci, credendoci capaci di portarla con le nostre forze.

 

Abbiamo una nostra croce e le Grazie soprannaturali che ci permettono di non esserne schiacciati. Questa è la prova, il certamen da affrontare, se vogliamo conseguire il premio eterno ed essere ammessi alla presenza di Dio. Accettiamola come Eraclio, detractis calceis ac plebejo amictu indutus, perché spogliandoci delle vesti di questo mondo – che siamo ineluttabilmente destinati ad abbandonare – possiamo con San Paolo essere rivestiti in Cristo dell’uomo nuovo, in justitia et sanctitate veritatis (Ef 4, 24). E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

14 Settembre 2024
In Exsaltatione Sanctæ Crucis D.N.J.C.

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Il Vaticano rifiuta di formulare un «giudizio definitivo» sulle donne diacono

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Una commissione vaticana ha negato la possibilità di un «diaconato femminile» sacramentale, ma senza esprimere un «giudizio definitivo».   A dicembre, il Vaticano ha pubblicato il rapporto della Commissione Petrocchi, presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi, che ha escluso l’ammissione delle donne al diaconato come grado sacramentale degli Ordini sacri, ma ha suggerito che potrebbe essere possibile una forma di «diaconato femminile».   «Lo status quaestionis intorno alla ricerca storica e all’indagine teologica, considerati nelle loro mutue implicazioni, esclude la possibilità di procedere nella direzione dell’ammissione delle donne al diaconato inteso come grado del sacramento dell’ordine», ha affermato la commissione. «Alla luce della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero ecclesiastico, questa valutazione è forte, sebbene essa non permetta ad oggi di formulare un giudizio definitivo, come nel caso dell’ordinazione sacerdotale».   La commissione è stata istituita nel 2021 da papa Francesco per esaminare la possibilità che le donne vengano ordinate diacono. Il rapporto finale di sette pagine della commissione è stato presentato il 18 settembre a Papa Leone XIV ed è stato ora pubblicato pubblicamente dal Vaticano.

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All’interno della commissione, alcuni sostenevano che impedire alle donne di essere ordinate diaconesse minasse la «l’uguale dignità di entrambi i generi, basata su questo dato biblico» e la dichiarazione per cui «non c’è più giudeo e greco, schiavo e libero, maschio e femmina, perché tutti voi siete “uno” in Cristo Gesù (Galati 3,28)».   Questo gruppo ha espresso la speranza che le donne possano diventare diaconesse, poiché sosteneva che l’ordinazione di un diacono è per il ministero e non per il sacerdozio.   Tuttavia, secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica , il diaconato è uno dei tre gradi dell’Ordine Sacro, non solo un ministero o una funzione.   Alcuni membri della commissione lo hanno sottolineato e hanno insistito «sull’unità del sacramento dell’Ordine, insieme al significato nuziale dei tre gradi che lo costituiscono». Questo gruppo ha respinto l’ipotesi di un «diaconato femminile», osservando «se fosse approvata l’ammissione delle donne al primo grado dell’ordine risulterebbe inspiegabile la esclusione dagli altri».   Il gruppo ortodosso ha inoltre sottolineato che «La mascolinità di Cristo, e quindi la mascolinità di coloro che ricevono l’ordine, non è accidentale, ma è parte integrante dell’identità sacramentale, preservando l’ordine divino della salvezza in Cristo. Alterare questa realtà non sarebbe un semplice aggiustamento del ministero ma una rottura del significato nuziale della salvezza».   Questa tesi è stata votata dalla commissione ma non è stata approvata poiché ha ricevuto cinque voti a favore e cinque contrari. Allo stesso tempo, mentre la commissione si è pronunciata contro l’ordinazione delle donne come diaconi, i membri hanno votato 9 a 1 a favore dell’ampliamento del ruolo delle donne nella Chiesa.   La Commissione ha espresso l’auspicio che venga ampliato «l’accesso delle donne ai ministeri istituiti per il servizio della comunità (…) assicurando così anche un adeguato riconoscimento ecclesiale alla diaconia dei battezzati, in particolare delle donne. Questo riconoscimento risulterà un segno profetico specie laddove le donne patiscono ancora situazioni di discriminazione di genere».   In conclusione, la Commissione Petrocchi ha chiesto di proseguire l’esame del ruolo del diaconato «sull’identità sacramentale e sulla sua missione ecclesiale, chiarendo alcuni aspetti strutturali e pastorali che attualmente non risultano interamente definiti».

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Come riportato da Renovatio 21, cinque mesi fa si notò l’insistenza del cardinale progressista Gualtiero Kasper che arrivò a definire le diaconesse come «utili dal punto di vista pastorale». Contestualmente era emersa la sollecitudine del vescovo tedesco Franz-Josef Overbeck ha chiesto una «nuova risposta» per il ruolo delle donne nella Chiesa, aggiungendo di aver incaricato le donne nella sua diocesi di «predicare» e fornire «guida» ai fedeli come un modo per affrontare le lotte per adempiere ai doveri dei sacerdoti. L’anno passato il prefetto per il Dicastero della Dottrina della Fede Victor Manuel «Tucho» Fernandez dichiarò che, nonostante l’opposizione esplicitata da lui stesso, la questione delle diaconesse non era chiusa.   Nel frattempo, gli insegnamenti della Chiesa cattolica riservano la vocazione al sacerdozio agli «uomini battezzati». Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1577) spiega:   «Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile [“vir“]. Il Signore Gesù ha scelto uomini [“viri“] per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile».   Renovatio 21 ribadisce la sua analisi secondo cui che l’attuale via scelta dal Vaticano per scardinare gerarchia cattolica – e sessualità naturale – non passa per il sacerdozio femminile (reso sempre più improbabile anche da episodi come quello delle recenti «ordinazioni» di donne sul Tevere), ma attraverso l’accettazione del transessualismo.

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Papa Leone XIV inaugura il suo magistero aereo

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Come il suo predecessore, Leone XIV adottò la pratica di tenere conferenze stampa in aereo al ritorno dal viaggio apostolico. Il 2 dicembre 2025, il pontefice rispose a domande su vari argomenti: il sinodo tedesco, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente e il dialogo con l’Islam. Su questi argomenti, le sue risposte, spesso convenzionali, erano in netto contrasto con le dichiarazioni a volte esplosive di Francesco.

 

Si guadagna quota a 10.000 metri ? La domanda è lecita. In ogni caso, questo era l’ obiettivo dichiarato della prima conferenza stampa aerea del nuovo pontificato. L’intervista è iniziata con una domanda sul fatto che Leone XIV fosse un «papa americano» nel contesto del processo di pace in Medio Oriente e sui suoi rapporti con i leader chiave della regione e con l’ amministrazione Trump.

 

Il pontefice ha ribadito con forza la sua convinzione che una pace duratura sia possibile e ha confermato di aver parlato con diversi capi di Stato e con Washington. Ha promesso di proseguire questi sforzi, personalmente o tramite la Santa Sede, per realizzare questa aspirazione alla pace.

 

Fu poi affrontato il caso del Libano, gravemente colpito dal conflitto tra Israele e Hezbollah. Leone XIV ha confidato che la diplomazia vaticana non si limitava a dichiarazioni pubbliche: agiva attivamente «dietro le quinte». Rivelò che durante il suo viaggio aveva incontrato rappresentanti di vari gruppi coinvolti in conflitti interni e internazionali.

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Interrogato su possibili contatti con Hezbollah – attore chiave nella regione – il Santo Padre ha confermato che gli scambi sono avvenuti. Senza entrare nei dettagli, ha ribadito la posizione coerente della Chiesa: è imperativo deporre le armi e sedersi al tavolo dei negoziati, unico modo efficace per porre fine alla violenza.

 

Il papa ha poi risposto a domande più personali sui suoi inizi come Pastore Supremo e sui sentimenti provati al momento della sua elezione. Con umorismo, ha raccontato di aver pensato di più al suo futuro ritiro quando il Sacro Collegio lo ha scelto. Riguardo al conclave, il successore di Francesco ha sottolineato la segretezza che lo circonda e si è rammaricato per le fughe di notizie avvenute dopo la sua elezione.

 

Al momento di accettare il pontificato sovrano, colui che pochi secondi prima era immobile, il cardinale Robert Prevost, ha affermato di aver praticato il «lasciar andare» di fronte alla volontà divina, frutto in particolare della lettura di La Pratica della Presenza di Dio, di frate Lorenzo della Resurrezione, un carmelitano scalzo francese del XVII secolo.

 

Affrontando le tensioni tra NATO e Russia, il Papa ha sottolineato la complessità dei conflitti moderni. Ha espresso una visione sfumata delle iniziative di pace in Ucraina: mentre gli Stati Uniti possono proporre piani, il pieno coinvolgimento dell’Europa nei negoziati rimane, a suo avviso, una questione cruciale. Ha sottolineato in particolare il ruolo dell’Italia, che, in virtù della sua storia e cultura, possiede, a suo avviso, una «capacità unica di mediazione» che la Santa Sede è pronta a incoraggiare per raggiungere una «pace giusta».

 

Il pontefice ha poi delineato i suoi programmi di viaggio: l’Africa ha avuto un ruolo di primo piano, con una preferenza personale per l’Algeria; l’America Latina (Argentina, Uruguay, Perù) è rimasta una possibilità in una fase successiva.

 

Riferendosi alla situazione esplosiva in Venezuela, ha sottolineato che la Chiesa locale e il nunzio apostolico stavano lavorando instancabilmente per allentare le tensioni per il bene della popolazione, principale vittima del conflitto. Interrogato su possibili minacce di intervento militare o di operazioni volte a «eliminare» l’attuale governo, Leone XIV si è mostrato molto cauto e ha chiaramente favorito la ricerca del dialogo.

 

Interrogato sull’Islam, che molti cattolici percepiscono come una minaccia all’identità cristiana dell’Occidente, il Papa ha ripetuto alcuni luoghi comuni: le paure sono spesso «strumentalizzate» da «chi si oppone all’immigrazione», e ha presentato il Libano come una «lezione» di convivenza tra musulmani e cristiani, a rischio di apparire estraneo alla realtà vissuta da molti.

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Interrogato sul Cammino sinodale tedesco e sulla sua influenza sulla Chiesa, Leone XIV si mosse con cautela, riconoscendo che la sinodalità può essere vissuta in modo diverso a seconda del contesto, ma espresse una preoccupazione: alcuni aspetti del Cammino sinodale in Germania potrebbero non riflettere fedelmente le aspirazioni dei cattolici tedeschi. Ribadì l’ importanza del dialogo continuo tra i vescovi tedeschi e la Curia romana per garantire che il «Cammino sinodale tedesco» non si allontani dal cammino della Chiesa universale.

 

Infine, il Papa ha concluso spiegando il significato del suo motto, In Illo Uno Unum («In Colui che è Uno, noi siamo uno»), in risposta a una domanda sul contributo dei cristiani orientali all’Occidente. In un mondo segnato dall’individualismo , ha portato come esempio quei cristiani capaci di offrire un «bacio» o un «abbraccio» nonostante le ferite della guerra.

 

A suo avviso, quanto più l’umanità promuoverà l’amicizia, il dialogo e la comprensione, tanto più si allontanerà dalla guerra e dall’odio. Un appello nobile nelle sue intenzioni, ma che non può essere realizzato senza una conversione soprannaturale e genuina alla fede nell’unico Signore Gesù Cristo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Mons. Viganò: «chi non riconosce Maria Santissima come Regina e Signora, non riconosce Gesù Cristo come Re»

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Renovatio 21 pubblica questo testo dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò apparso su X.   Salve, Regina. Con queste parole inizia una delle preghiere più dense di dottrina e di spiritualità, e allo stesso tempo più care al popolo cristiano. È il saluto semplice, composto, reverente, di una schiera infinita di anime che da ogni parte del mondo – e dalle pene purificatrici del Purgatorio – si leva alla Augusta Vergine Madre, Nostra Signora, che onoriamo quale Regina in virtù della Sua divina Maternità, dei meriti della Corredenzione e degli specialissimi privilegi di cui, in vista dell’Incarnazione, Ella è stata insignita dalla Santissima Trinità.  

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A quelle voci si uniscono quelle delle Gerarchie angeliche e dei Santi, che dalla loro dimora di gloria celebrano Colei che, sopra tutte le creature, è stata scelta per essere il Tabernacolo dell’Altissimo, l’Arca dell’Eterna Alleanza in cui è custodita la pienezza della Legge, il Pane della Vita, lo scettro del nuovo Aronne, l’olio dell’Unzione regale e sacerdotale.   Maria Santissima è anche Regina Crucis: la Sua Regalità, sul modello della Signoria di Cristo, è stata conquistata nella co-Passione e coronata nella Corredenzione, perché non vi può essere la gloria della vittoria senza prima salire il Calvario   Chi non riconosce Maria Santissima come Regina e Signora, non riconosce Gesù Cristo come Re, né può sperare di aver parte al banchetto del Sovrano chi non onora Sua Madre.

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Immagine: vetrata raffigurante l’Annunciazione originariamente installata nella Cattedrale di Santa Vibiana, Los Angeles, California, USA; ora si trova nel Mausoleo della Cattedrale di Nostra Signora degli Angeli, Los Angeles. Immagine di via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
 
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