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La famosa invasione degli orsi in Hokkaido. E anche dei cervi

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Il grande giornalista e scrittore Dino Buzzati ha scritto il celebre romanzo illustrato La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Si trattava di un’opera fantastica. In un’isola dall’altra parte del mondo, invece, pare che vi sia stata un’invasione degli orsi vera: la famosa invasione degli orsi in Hokkaido. E neanche solo degli orsi.

 

Il 2023, complice anche un autunno insolitamente caldo, ha visto in Giappone un aumento degli attacchi da parte degli orsi. Si sono contate almeno dieci vittime, e un numero consistente di feriti.

 

Oltre ai temibili plantigradi – detti «orsi bruni Ussuri», «orsi bruni Ezo» o «Grizzly russi» – alla sciagura animale piombata sull’arcipelago si sono aggiunti anche i cervi, i quali hanno causato danni ad agricoltura e infrastrutture calcolati attorno ai 4.800.000.000 yen (circa 30.364.800 euro).

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I cacciatori invecchiano e la popolazione aumenta: secondo l’associazione dei cacciatori di Hokkaido il numero dei cacciatori attivi continua a diminuire, oggi è solo un quarto del picco raggiunto nel 1978 e la metà di essi ha più di 60 anni. Da tre anni a questa parte però il numero di persone che hanno conseguito la licenza di caccia in Hokkaido è in aumento: si è passati dagli 800 del 2019 ai 1276 del 2023.

 

Interviste raccolte da Hokkaido News Hub tra gli esaminandi in attesa di conseguire la licenza di caccia danno un’idea di quanto sia ampio lo spettro di chi sceglie di imbracciare il fucile per opporsi alla prepotenza ferina.

 

Un 26enne di Osaka che lavora nell’informatica spiega come una volta trasferitosi in Hokkaido si sia reso conto della gravità della situazione e abbia deciso di contribuire all’equilibrio dell’ecosistema sfoltendo gli animali dannosi in eccesso.

 

Per un’abitante 35enne di Sapporo il desiderio di cacciare assieme al padre 65enne è stato lo stimolo a sostenere l’esame per la licenza, mentre una studentessa universitaria di 21 anni dice che sentire un amico agricoltore raccontare dei continui danni causati dai cervi le ha fatto provare il desiderio di rendersi utile nel fermare tale cornuto flagello.

 

Un uomo di 59 anni che si occupa di rilevamenti e ricerche geologiche, non trovando cacciatori che lo proteggessero quando si recava in montagna per lavoro ha deciso di imparare a difendersi da solo.

 

Cartelli di avviso della pericolosità dell’invasione degli orsi

 

Vi è poi il caso della 33enne Ayako Michigami, la quale lavora come cameraman (inserite lo schwa dove preferite) ma nel tempo libero si unisce alla Borantia kujotai, (ボランティア駆除隊), ossia la «Squadra degli Sfoltitori Volontari». Il termine kujo (駆除) si tradurrebbe come «sterminio», ma ci sembra un termine forte per i lettori occidentali di Renovatio 21. Oppure no?

 

Ebbene, la Squadra Sterminatori Volontari è un gruppo nato spontaneamente per contrastare i danni arrecati dagli animali selvatici all’agricoltura, i cui membri seguendo i cacciatori più esperti imparano a riconoscere le tracce degli animali e a mettere le trappole. L’intervistata che cacciando i cervi è diventata consapevole del valore della vita e dell’importanza di non sprecare il cibo nella vita di tutti i giorni.

 

Ed è appunto anche l’industria agroalimentare che inizia a sostenere l’attività dei cacciatori ezochiani (preziosismo linguistico offerto al lettore: Ezo è il vecchio nome di Hokkaido, utile per aggettivare in modo nippo-aulico come nel caso di Edo, antico nome di Tokyo, da cui il raffinato aggettivo «edochiano», che è meglio di «tokyese», «tokyense», «tokyota», «tokyino», etc.): un’azienda di carne con sede a Tokyo sta costruendo presso la città di Kushiro uno stabilimento per la lavorazione della carne di cervo che mira a processare fino a 5000 capi all’anno.

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La popolazione dei cervi in Hokkaido è stimata attorno alle 720.000 unità e l’obiettivo del governo dell’isola è di sfoltire la popolazione di circa la metà: l’opportunità di portare la carne locale sul mercato di Tokyo e contestualmente creare posti di lavoro merita quindi di essere sfruttata.

 

Kunihiro Okuda, capo della sezione di Sapporo del Club dei Cacciatori di Hokkaido, è contento nel vedere il numero degli aspiranti cacciatori crescere ma sottolinea che ci vuole molta esperienza per cacciare cervi e orsi. Un orso bruno può attaccare anche dopo essere già stato colpito tre volte e anche i cervi possono causare gravi ferite con le corna – senza contare la questione delle zecche, che amano riprodursi sulla pelle cervina, e dei conseguenti rischi di contrarre la malattia di Lyme. La licenza di caccia è il primo passo, soltanto anni di esperienza permettono di cacciare animali feroci senza mettere a repentaglio la propria vita ad ogni passo.

 

Ovviamente anche in Giappone non mancano coloro che, prede della disforia di specie, della ecomisantropia stile Pentti Linkola o da zoofilia disneyana, telefonano alle autorità locali protestando contro i piani di sfoltimento delle specie dannose.

 

Un servizio di AnnNews mostra una donna che si vanta di avere fatto più di 30 chiamate di protesta, ma nel paese in cui un 67enne di Kawaguchi ha telefonato alla polizia locale 2600 volte nell’arco di 9 giorni (una media di una telefonata ogni cinque minuti) soltanto per sbraitare insulti, questo è puro dilettantismo.

 

I giapponesi che prendono il fucile per difendere le loro comunità dalle fiere sono un segnale di una società dove il buon senso non si è ancora estinto.

 

La reconquista antropica dell’Hokkaido è iniziata.

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Immagine di MiNe (sfmine79) via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Gorilla vaccinato muore improvvisamente per attacco cardiaco

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Un gorilla di pianura occidentale è morto di infarto durante il fine settimana allo zoo di Saint Louis, Stato americano del Missouri. Lo zoo aveva recentemente somministrato vaccini COVID-19 a molti dei suoi animali.   Secondo quanto riferito, il primate di nome «Little Joe» (cioè «Giuseppino») che aveva 26 anni, era in cura per una malattia cardiaca quando ha avuto un infarto ed è morto nel sonno domenica.   L’annuncio è stato dato dalla stessa struttura zoologica nel suo profilo Instagram.  
 
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«È con incredibile tristezza che condividiamo la notizia che il gorilla di pianura occidentale Little Joe, che era in cura per una malattia cardiaca, è morto di infarto durante la notte del 4 maggio», ha scritto, offrendo un ritratto della bestia, il giardino zoologico missouriano sul popolare social media basato sulle fotografie.   «Sulla base del monitoraggio video, sembra che sia morto nel sonno». Un malore, non diverso da quello di tante persone secondo le cronache recenti, ha colpito lo scimmione nottetempo, cagionandone il triste decesso.   La morte del gorilla Little Joe arriva quando lo zoo di St. Louis nel settembre 2021 ha lanciato un ambizioso sforzo di «cura preventiva» somministrando vaccini COVID-19 alla sua popolazione di grandi scimmie e ad altre specie di primati.   La campagna anti-COVID per le bestie in gabbia era stata spiegata dallo stesso direttore della struttura in un video ancora visibile su YouTubo.     «Il 29 settembre 2021, lo scimpanzé maschio adulto “Jimiyu” è stato il primo animale del nostro zoo ad essere vaccinato contro il COVID-19», spiegava all’epoca lo zoo sul proprio sito web. «Nei prossimi mesi, prevediamo di somministrare il vaccino COVID-19 a due dosi in un lancio graduale a quasi 100 primati, grandi felini, lontre di fiume, cani dipinti e volpi dalle orecchie di pipistrello, che portano tutti un potenziale rischio di essere infettati da SARS-CoV-2, il virus che causa la malattia COVID-19» assicurava il direttore del giardino zoologico.   Lo zoo di San Luigi aveva inoltre spiegato che il produttore del vaccino veterinario Zoetis aveva «donato 11.000 dosi di vaccino COVID-19 a dozzine di zoo, incluso lo zoo di Saint Louis, e organizzazioni animaliste in tutta la nazione».   «L’uso sperimentale di questo vaccino COVID-19 di Zoetis è autorizzato dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti e dal veterinario dello stato del Missouri», aveva aggiunto lo zoo.

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Come riportato da Renovatio 21, a fine 2020 diversi gorilla dello zoo safari di San Diego erano risultati positivi al coronavirus, manifestando – riferivano le cronache – perfino alcuni sintomi della malattia.   Non si tratta solo dei gorillazzi: il tampone COVID non lasciava scampo nemmeno ai grandi felini. Ad aprile 2020 una tigre malese di quattro anni di nome Nadia era risultata positiva allo zoo del Bronx a New York e, poco dopo, anche altre tre tigri e tre leoni allo zoo erano risultate positive. Bashir, una tigre malese di 11 anni allo zoo di Knoxville nel Tennessee, era risultata positiva al coronavirus in ottobre ed era entrata in quarantena con le tigri malesi Arya, 6 anni, e Tanvir, 11 anni, che mostravano anche tosse lieve, letargia e una diminuzione dell’appetito. Il mese prima, NeeCee, un leopardo delle nevi di cinque anni allo zoo di Louisville nel Kentucky, era risultato positivo.   Il dramma si fece totale quando, sempre a cavallo tra fine 2020 e inizio 2021, una tigre e due leoni avrebbero preso il COVID in giardino zoologico in Svezia. La sfortunata tigre scandinava positiva al tampone, una femmina di età avanzata (a 17 anni un felino giovane non è) fu quindi vittima di una specialità di certi Paesi del Nord, cioè l’eutanasia. Gli svedesi ci tennero a far sapere che la povera bestia aveva gravi sintomi respiratori e pure neurologici, senza spiegare quali – soprattutto i resoconti dicono che la tigre era di «età avanzata» e aveva «scarse possibilità di guarigione».   Il paradosso è che ci siamo a lungo lamentati dell’eutanasia che rende gli uomini degli animali da abbattere a piacimento, purtuttavia assistemmo allora al fatto che era ben avviato anche il contrario: l’umanizzazione dell’animale, «anziano» e «malato incurabile» pur di procedere con la puntura della morte, sotto l’imperativo terrorista COVID.   SCB. Sono cose belle.   Ad ogni modo, qualche lettore ci ricordi di aggiungere il gorilla Peppino nella lista dei malori della 19ª settimana 2024. Grazie.

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Immagine di Rachel via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic  
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Trafficante di droga latitante catturato mentre passeggiava con un delfino morto

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La polizia russa ha arrestato un sospettato di traffico di droga di 40 anni, dopo che è stato visto dalle telecamere a circuito chiuso mentre trasportava con disinvoltura quello che è stato descritto come un «delfino morto» nella località di Sochi sul Mar Nero.

 

Un bizzarro video che circola online mostra l’uomo, che era su una lista di ricercati, mentre trasporta il cetaceo defunto nel suo appartamento.

 

La polizia locale ha detto giovedì che dopo aver esaminato il filmato, ha identificato l’uomo come un fuggitivo della regione di Mosca, ricercato con l’accusa di traffico di droga.

 

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La polizia russa ha descritto l’animale come un «delfino morto», anche se i filmati suggeriscono che in realtà si trattasse di una focena, una piccola specie di balena imparentata più con i beluga e i narvali che con i delfini.

 

L’animale era già morto quando il sospettato lo ha trovato sulla spiaggia, ha osservato la polizia, senza spiegare perché avesse deciso di portarlo con sé.

 

Il sospettato è stato preso in custodia nella sua residenza nella cittadina balneare di Adler, appena a sud di Sochi. Tra breve sarà consegnato alle autorità della regione di Mosca per affrontare l’accusa di traffico di droga in quantità eccezionalmente elevate. Se ritenuto colpevole, rischia tra i 15 e i 20 anni dietro le sbarre.

 

Come riportato da Renovatio 21, il traffico di droga e le grandi creature marine si sono incrociati in un’altra storia di questi tempi, quella degli squali strafatti di cocaina a causa dei carichi criminali finiti in mare.

 

È noto che cetacei sono stati addestrati per fini militari, al punto che vi è un beluga in Norvegia sospettato di essere una spia russa. È possibile che le organizzazioni criminali utilizzino i mammiferi marini per i loro loschi piani?

 

Ci chiediamo quindi: che anche la focena morta del Mar Nero fosse direttamente coinvolta in uno schema di narcotraffico?

 

Dopo le nefandezze viste in questi ultimi mesi da parte di orche, delfini e balenotteri, niente ci potrebbe ancora stupire.

 

Anzi diciamo pure che non vi sarebbe nessuna sorpresa a scoprire che la bestia marina era in realtà il vero capo del traffico criminale.

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Immagine screenshot da Twitter

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Scoperto in India un serpente lungo quanto uno scuolabus. Probabilmente pure molto meno letale

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Gli scienziati dell’Istituto indiano di tecnologia Roorkee, in India, hanno pubblicato un articolo sulla rivista Scientific Reports per discutere della loro scoperta del Vasuki Indicus, una nuova specie di serpente gigante, vissuto circa 47 milioni di anni fa nello Stato indiano del Gujarat.   I resti del gargantuesco serpentone sono stati trovati nella miniera di carbone di Panandhro, nella regione di Kutch. Il suo nome è stato scelto in riferimento al luogo del ritrovamento e alla leggendaria creatura simile a un serpente associata alla divinità induista Shiva.   I ricercatori hanno osservato 27 vertebre, per lo più in buono stato di conservazione e alcune delle quali ancora articolate, che sembrano essere state raccolte da un individuo adulto. I pezzi ossei hanno dimensioni comprese tra 37,5 e 62,7 millimetri in lunghezza e tra 62,4 e 111,4 millimetri in larghezza, indicando un corpo ampio e cilindrico.   Sulla base di queste misurazioni, gli scienziati hanno ipotizzato che l’esemplare di Vasuki Indicus di cui facevano parte potesse raggiungere una lunghezza compresa tra 10,9 e 15,2 metri.   «Il team, guidato da Debajit Datta e Sunil Bajpai, ha scoperto i resti fossili della specie, che poteva raggiungere una lunghezza stimata tra gli 11 e i 15 metri, praticamente quanto uno scuolabus» scrive La Stampa.   Tuttavia non è dato sapere quanto letale per l’uomo potrebbe essere stato il rettilone. Sappiamo invece perfettamente quando posso ferire, di questi tempi, il suo termine di paragone, lo scuolabus.   «Autista dello scuolabus ha un malore e muore a Chiavari: aveva appena concluso il giro con i bambini»: Il Messaggero di due settimane fa.   «Incidente a Cittadella: autista di scuolabus ha un malore e va a sbattere contro una corriera». Il Resto del Carlino, 25 gennaio 2023.   La Spezia, maggio 2022: «Malore improvviso per l’autista dello scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri». Lo riporta La Città della Spezia.   «Padova, autista di scuolabus muore alla guida». Automoto, ottobre 2023.   Corridonia, provincia di Macerata: «Malore fatale in strada, arrivano i soccorsi e uno scuolabus resta bloccato sui binari mentre arriva il treno». Il Resto del Carlino, il mese scorso.   Ottobre 2023: «Autista di scuolabus ha un malore alla guida: Jessica muore a 15 anni schiacciata dal mezzo». Lo riporta il Corriere Adriatico.   Stati Uniti, aprile 2023: «L’autista dello scuolabus ha un malore: studente di 13 anni prende il controllo del mezzo».   Roma, dicembre 2022: «Scuolabus fuori strada a Roma, paura per 41 bambini: Malore dell’autista». Lo riporta IlSussidiario.net.   Renovatio 21 ha riportato tanti altri casi.   «I ricercatori ipotizzano inoltre che il predatore preistorico cacciasse in modo lento, come le anaconde» scrivono gli scienziati scopritori del serpentazzo indico.   Abbiamo imparato invece che il suo termine di paragone, lo scuolabus, miete vittime all’improvviso.   «Malori improvvisi» del conducente, che rischiano di tirare giù con loro le vite di diecine di bimbi trasportati.   E quindi: cosa è più pericoloso? Il boa preistorico di 15 metri o mandare il proprio figlio a scuola?

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