Geopolitica
Quei medici che stanno morendo a Gaza
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Nelle ultime notizie dalla guerra in Palestina, una dozzina di commando israeliani sono entrati nell’ospedale Ibn Sina nella città di Jenin in Cisgiordania vestiti da medici e infermieri e hanno ucciso un uomo che sostenevano fosse un terrorista di Hamas, insieme ai suoi due compagni.
Gli israeliani hanno affermato che le loro vittime avevano utilizzato l’ospedale come base per pianificare un attacco di infiltrazione come il massacro del 7 ottobre.
Un portavoce dell’ospedale ha detto che l’assassinio non aveva precedenti. «Non c’è mai stato un omicidio all’interno di un ospedale. Ci sono stati arresti e aggressioni ma nessun assassinio».
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Secondo il BMJ, sia in Cisgiordania che a Gaza, da quando è iniziata la guerra tra Israele e Hamas il 7 ottobre, 138 palestinesi e nove operatori sanitari israeliani sono stati uccisi. Ha inoltre riferito che 212 operatori sanitari palestinesi sono stati arrestati. Tutte le cifre sono stime.
Altre organizzazioni per i diritti umani hanno stimato che più di 300 operatori sanitari siano stati uccisi, così come circa 170 operatori umanitari a Gaza. Si tratta del conflitto più grave mai registrato finora in questo secolo.
L’avvocato per i diritti umani Len Rubenstein, della John Hopkins University, ha dichiarato al BMJ: «Gaza presenta la situazione di attacchi all’assistenza sanitaria più intensa che abbiamo mai visto. Anche rispetto a guerre come quella in Ucraina, dove si registrano mille attacchi contro strutture sanitarie e operatori sanitari, e in Siria, dove ci sono stati più di 600 attacchi contro ospedali».
«E questo perché a Gaza ci sono attacchi aerei sopra o nelle vicinanze degli ospedali, spesso seguiti da assalti a terra, detenzione di operatori sanitari e interferenze con le cure mediche per pazienti gravemente feriti e malati. E questi attacchi non sono attacchi isolati. Questi hanno luogo nel tempo; a volte c’è resistenza. Il periodo che precede un assalto via terra è estremamente violento. Si spara negli ospedali con i pazienti uccisi all’interno così come il personale medico».
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, «sette ospedali su 24 rimangono aperti nel nord di Gaza. Questi funzionano solo parzialmente, senza abbastanza personale medico specializzato per gestire il volume e la gamma dei feriti, né medicine e forniture mediche sufficienti, carburante, acqua pulita o cibo per i pazienti o il personale… Nel sud di Gaza, che aveva 12 ospedali, solo 7 rimangono parzialmente funzionanti. Altri due, l’ospedale Al-Kheir e il complesso medico Nasser, sono funzionanti solo in minima parte e ora inaccessibili».
L’OMS ritiene inoltre che il personale ospedaliero stia scavando tombe all’interno dei complessi ospedalieri. «Questa situazione orribile non dovrebbe mai verificarsi in nessun ospedale», ha affermato l’OMS.
Ironicamente, gli israeliani stanno dissotterrando alcune tombe e rimuovendo i cadaveri per verificare se qualcuno di loro fosse ostaggio.
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Geopolitica
La Francia accusa l’Azerbaigian dei disordini in Nuova Caledonia
L’Azerbaigian ha avuto un ruolo nelle proteste contro la riforma costituzionale nel territorio francese d’oltremare della Nuova Caledonia, ha affermato il ministro degli Interni Gerald Darmanin.
La violenza è scoppiata all’inizio di questa settimana nel territorio francese del Pacifico, una delle poche aree ancora sotto il controllo di Parigi nell’era postcoloniale, provocando la morte di almeno cinque persone, tra cui due agenti di polizia.
A scatenare le proteste è stata la proposta dei parlamentari parigini di concedere il diritto di voto nella provincia ai residenti francesi che vivono in Nuova Caledonia da dieci anni.
L’iniziativa ha fatto temere che i voti degli indigeni Kanak, che costituiscono il 40% della popolazione dell’arcipelago, possano essere diluiti.
Giovedì, alla domanda se crede che l’Azerbaigian, la Cina o la Russia si stiano intromettendo negli affari della Nuova Caledonia, Darmanin ha puntato il dito contro la repubblica post-sovietica si trova a circa 14.000 km dalla Nuova Caledonia.
«Non è una fantasia, è una realtà», ha detto il ministro, aggiungendo che «alcuni separatisti caledoniani hanno stretto un accordo con l’Azerbaigian».
Il mese scorso, tuttavia, il Parlamento dell’Azerbaigian e il congresso della Nuova Caledonia hanno firmato un memorandum di cooperazione in cui Baku riconosceva il diritto all’autodeterminazione della popolazione locale.
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In seguito agli eventi, il Darmanin ha accusato l’Azerbaigian di sostenere il separatismo sul suo territorio e ha suggerito che Baku stesse sfruttando le tensioni nella regione per rispondere alla “difesa francese degli armeni” che, secondo lui, sono stati «massacrati» dagli azeri.
Baku ha negato con veemenza le accuse di incoraggiamento al separatismo in Nuova Caledonia, sostenendo che tutte le insinuazioni sull’interferenza dell’Azerbaigian sono infondate.
Ad aprile, il portavoce del ministero degli Esteri azerbaigiano Aykhan Hajizada ha respinto le accuse di pulizia etnica tra gli armeni, dicendo a Darmanin che «non dovrebbe dimenticare che come parte della politica coloniale… [la Francia] ha commesso crimini contro l’umanità nei confronti delle popolazioni locali e ha brutalmente ha ucciso milioni di persone innocenti».
Le relazioni tra Francia e Azerbaigian sono in crisi del Nagorno-Karabakh dello scorso 2023, quando l’occupazione azera fu condannata da Parigi. Baku occupò la regione a maggioranza armena, staccatasi dall’Azerbaigian durante il tramonto dell’Unione Sovietica, innescando un esodo di massa di rifugiati dalla zona: nella totale indifferenza del mondo, i cristiani armeni sfollati sarebbero almeno 120 mila, con testimonianze di indicibili atrocità.
Come riportato da Renovatio 21, l’Azerbaigian negli scorsi mesi è arrivato a dichiarare che la Francia è responsabile di ogni nuovo conflitto con l’Armenia.
Tra scontri con morti, le tensioni tra Erevan e Baku stanno continuando anche ora, tracimando anche nella politica interna armena. L’Armenia, sostanzialmente, avrebbe pagato il fatto di aver lasciato il blocco guidato da Mosca – della cui alleanza militare è parte – per avvicinarsi agli USA, che tuttavia non hanno fatto nulla per contenere Baku, appoggiata apertamente da un alleato importante di Washington, la Turchia.
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