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Geopolitica

La Bosnia potrebbe dividersi a causa delle sanzioni USA contro la Repubblica Serba

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Il presidente Milorad Dodik della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina ha sollevato le controversie su Hunter Biden per accusare il presidente americano Joe Biden di ipocrisia per aver inserito nella lista nera i suoi figli per presunta corruzione. Dodik ha sostenuto che le mosse di Washington hanno più probabilità di rendere la Repubblica serba indipendente che di distruggerla.

 

Venerdì il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato Igor e Gorica Dodik, sostenendo che facevano parte della «rete clientelare» del padre, accusati di «minare» il trattato di pace del 1995 e «l’autorità dell’Alto Rappresentante» in Bosnia. Gli Stati Uniti hanno affermato che Dodik sta traendo profitto «a scapito dell’integrità territoriale e della governance funzionale» della Bosnia e del “benessere economico generale” della Repubblica Serba.

 

Riguardo all’annuncio delle sanzioni durante il fine settimana, Dodik ha affermato che gli Stati Uniti stanno «provando vecchi trucchi imperialisti»: personalizzare la politica perseguitando la sua famiglia. È molto più probabile che la Repubblica Serba dichiari l’indipendenza dalla Bosnia se l’Occidente continua a essere prepotente, ha affermato, sottolineando che la separazione è diventata “un’alternativa molto reale” negli ultimi anni».

 

«Il figlio di Biden è il più corrotto e invoca l’immunità se qualcuno vuole che venga arrestato», ha detto Dodik ai giornalisti. «Dove sono i crimini? Perché continui a mentire? Se gli americani avessero qualche prova del coinvolgimento di Milorad Dodik nei crimini, pensate che sarei ancora qui?»

 

La Republika Srpska è la metà etnicamente serba della Bosnia-Erzegovina. Gli accordi di Dayton, mediati dagli Stati Uniti, hanno posto fine alla guerra civile nell’ex repubblica jugoslava spartendola tra la Repubblica Serba, una federazione gestita da musulmani bosniaci e i croati.

 

L’ex giocatore di basket, 64 anni, è attualmente al suo terzo mandato come presidente della Republika Srpska, dopo aver fatto parte della presidenza bosniaca composta da tre membri tra il 2018 e il 2022. Dodik parla apertamente della sua amicizia con la Russia e della sua opposizione all’adesione alla NATO, suggerendo di recente che la Bosnia starebbe meglio come membro dei BRICS.

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Secondo Dodik, gli Stati Uniti e l’UE sono quelli che sovvertono la pace facendo sì che il loro «alto rappresentante» a Sarajevo tolga alla Srpska i suoi diritti costituzionali e conferendo potere al governo centrale. Il suo governo ha rifiutato di riconoscere l’autorità dell’inviato tedesco Christian Schmidt, data la sua mancanza di approvazione da parte dell’ONU, scrive RT.

 

Dodik ha indicato tutti i progetti di costruzione di infrastrutture e imprese nel territorio come prova che gli Stati Uniti lo accusano falsamente di danneggiare in qualche modo l’entità.

 

«Gli Stati Uniti non sono più la più grande potenza politica o finanziaria del mondo», ha sostenuto Dodik, sottolineando che Washington si riduce solo alla forza militare. «Sono il Paese più indebitato del mondo e ci danno lezioni su come vivere? Oh no, non lo farete».

 

Si tratta dell’ennesimo capolavoro di Biden e del suo Segretario di Stato Blinken: alienarsi un’ulteriore regione del mondo – dopo annidi interventi USA.

 

Come riportato da Renovatio 21, Biden, che si considerava amico di Tito, negli anni rivendicò pubblicamente le sue richieste di bombardamenti in Serbia.

 

 

Nel frattempo, dopo episodi grotteschi come elezioni disertate in massa ma considerate valide, le frustrazioni dei serbi ribollono anche in Kosovo, mentre la NATO vi sta inviando più truppe.

 

La guerra in Europa si espanderà ancora una volta nei Balcani?

 

Dopo l’Ucraina, il Kosovo e la Bosnia segnerebbero la fine del mondo-Clinton, quello disegnato da Washington durante gli anni di presidenza del marito di Hillary.

 

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Immagine di PIXSELL via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution 3.0 Unported

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Geopolitica

Ebrei VIP chiedono sanzioni contro Israele

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Centinaia di eminenti figure ebraiche a livello globale hanno sollecitato le Nazioni Unite e i leader mondiali a imporre sanzioni a Israele per azioni definite «sconsiderate» a Gaza, che, secondo loro, equivalgono a un genocidio.   Una lettera aperta, che invita i governi a ritenere Israele responsabile per presunte violazioni del diritto internazionale a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, ha raccolto oltre 450 firme VIP, tra cui ex funzionari, intellettuali e artisti israeliani. L’iniziativa coincide con notizie secondo cui i leader dell’UE potrebbero rinunciare a sanzioni contro Israele durante un vertice a Bruxelles giovedì.   «Non dimentichiamo che molte leggi, statuti e convenzioni per proteggere la vita umana sono nate in risposta all’Olocausto», hanno scritto i firmatari. «Israele ha ripetutamente violato queste garanzie».   Tra i firmatari ci sono l’ex presidente della Knesset Avraham Burg, il negoziatore di pace Daniel Levy, gli scrittori Michael Rosen e Naomi Klein, il regista premio Oscar Jonathan Glazer, gli attori Wallace Shawn e Ilana Glazer e il filosofo Omri Boehm. Il gruppo ha chiesto di far rispettare le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale, di interrompere le vendite di armi e di applicare sanzioni mirate a funzionari ed entità israeliane coinvolte in presunti crimini.

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La petizione riflette un’evoluzione dell’opinione pubblica tra gli ebrei americani e gli elettori in generale. Un recente sondaggio del Washington Post ha mostrato che il 61% degli ebrei americani ritiene che Israele abbia commesso crimini di guerra a Gaza, e il 39% lo accusa di genocidio. Un sondaggio Quinnipiac di agosto ha rilevato che la metà degli elettori statunitensi condivide questa visione.   La situazione è ben diversa per l’opinione pubblica israeliana.   Come riportato da Renovatio 21, un sondaggio pubblicato dall’Università Ebraica di Gerusalemme all’inizio di giugno rivela che circa il 75% degli ebrei israeliani concorda con l’affermazione secondo cui «non ci sono innocenti a Gaza».   Non si trattava del primo dato di questo tipo. Un sondaggio dell’Università di Tel Aviv di fine ottobre 2023 ha rilevato che il 58% degli ebrei israeliani ha affermato che l’esercito stava usando troppo poca potenza di fuoco nel suo assalto a Gaza e meno del 2 percento ha affermato che era troppa.   Un altro sondaggio condotto nel dicembre 2023 chiedeva: «In che misura Israele dovrebbe tenere in considerazione le sofferenze della popolazione civile a Gaza quando pianifica la continuazione dei combattimenti?». Oltre l’80% degli ebrei israeliani ha risposto «in misura molto limitata» o «in misura piuttosto limitata» (rispettivamente il 40% e il 41%).   Nel gennaio 2024, un sondaggio del canale israeliano Channel 12 ha rilevato che il 72% degli israeliani ritiene che gli aiuti umanitari ai 2 milioni di civili di Gaza, tra cui 1 milione di bambini, «debbano essere interrotti finché i prigionieri israeliani non saranno rilasciati» da Hamas.

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 
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Geopolitica

Putin: la risposta della Russia agli attacchi Tomahawk sarebbe «schiacciante»

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La risposta della Russia a un attacco ucraino con missili Tomahawk di fabbricazione statunitense sarebbe «molto seria, se non schiacciante», ha dichiarato giovedì il presidente Vladimir Putin ai giornalisti. Fornire a Kiev armi a lungo raggio di questo tipo rappresenterebbe «un tentativo di escalation», ha avvertito.

 

Kiev ha più volte richiesto i missili Tomahawk. Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha sollevato la questione durante un incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca la scorsa settimana. Secondo Axios, Zelens’kyj non è riuscito a ottenere la consegna dell’arma. Funzionari americani avevano precedentemente indicato che l’opzione poteva essere considerata, ma la decisione finale spettava a Trump.

 

Parlando mercoledì alla Casa Bianca durante un incontro con il Segretario Generale della NATO Mark Rutte, Trump non ha chiarito se gli Stati Uniti potrebbero fornire i missili a Kiev in futuro, ma ha sottolineato che il loro utilizzo richiede un addestramento lungo e intensivo. I missili hanno una gittata massima di circa 2.500 km.

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«Sarebbe un’escalation. È un tentativo di escalation», ha commentato Putin riguardo a una possibile consegna. «Se il territorio russo fosse colpito con un’arma del genere, la risposta sarebbe molto seria, se non addirittura schiacciante», ha aggiunto, invitando i leader occidentali a «rifletterci».

 

Mosca aveva già avvertito che, pur non influenzando lo stato del campo di battaglia ucraino, la consegna dei Tomahawk ridurrebbe le prospettive di pace e danneggerebbe gravemente le relazioni tra Stati Uniti e Russia.

 

Putin ha discusso la questione con Trump in una telefonata la scorsa settimana. La consegna dei missili avrebbe «gravemente compromesso le prospettive di una soluzione pacifica», aveva dichiarato allora. In seguito alla chiamata, Trump ha affermato che fornire i Tomahawk a Kiev «non sarebbe stato facile» per gli Stati Uniti e ha sostenuto che Washington non dovrebbe esaurire il proprio arsenale per l’Ucraina.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump nelle scorse ore ha annullato il vertice con Putin a Budapest. Al contempo, gli USA hanno posto nuove sanzioni sul petrolio russo.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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Geopolitica

Trump annulla l’incontro a Budapest con Putin

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cancellato il vertice previsto con il presidente russo Vladimir Putin a Budapest, dichiarando che i colloqui, in questa fase, non avrebbero probabilmente prodotto i risultati sperati. Mosca non ha ancora commentato la decisione.   L’annuncio è stato fatto mercoledì durante un incontro alla Casa Bianca con il Segretario generale della NATO Mark Rutte, dove Trump ha spiegato che il vertice in Ungheria «non sembrava appropriato».   «Non pareva che avremmo raggiunto gli obiettivi necessari, quindi ho deciso di annullare il viaggio», ha affermato.   Tuttavia, Trump ha lasciato aperta la possibilità di futuri colloqui con Mosca. «Lo faremo in futuro», ha aggiunto, senza precisare quando o dove potrebbe avvenire.   Le dichiarazioni di Trump giungono dopo che il dipartimento del Tesoro statunitense ha imposto nuove sanzioni alla Russia, motivate dalla sua presunta «mancanza di impegno serio verso un processo di pace». Le misure hanno colpito due grandi compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil, e le loro filiali.   Trump ha comunque ammesso di non essere certo che le sanzioni possano modificare la posizione della Russia sul conflitto ucraino. «Spero che lui [Putin] diventi ragionevole, e spero che lo sia anche [Volodymyr Zelens’kyj]», ha detto. «Ci vogliono due persone per ballare il tango» ha dichiarato, usando un noto proverbio anglofono.   I piani per un vertice tra Putin e Trump erano stati annunciati la settimana precedente, dopo una telefonata tra i due leader, sebbene non fosse stata fissata una data precisa.   Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov aveva dichiarato in precedenza che un incontro tra Russia e Stati Uniti richiede «preparativi seri», sottolineando che un vertice tra i due leader «non dovrebbe essere sprecato», poiché entrambi i presidenti «sono abituati a lavorare per ottenere risultati concreti».   SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
 
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