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Geopolitica

La CIA fa rinascere il nazismo ucraino

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Non meraviglia che la CIA formi organizzazioni antirusse. Sorprende invece che non esiti a servirsi di nazisti e «nazionalisti integralisti» per difendere ipocritamente libertà e democrazia.

 

Nel XIX secolo gli imperi tedesco e austro-ungarico progettavano la distruzione del loro rivale, l’impero russo. A questo scopo i ministeri degli Esteri tedesco e austro-ungarico lanciarono un’operazione segreta comune: fondarono la Lega dei popoli allogeni di Russia (Liga der Fremdvölker Rußland – LFR). (1)

 

Nel 1943 il Terzo Reich creò il Blocco antibolscevico delle nazioni (ABN) per smembrare l’Unione Sovietica. Alla fine della seconda guerra mondiale il Regno Unito e gli Stati Uniti recuperarono nazisti e loro collaboratori per mantenere in essere l’ABN (2). Considerata la responsabilità del Blocco nella morte di milioni di perone, il numero due della CIA, Frank Wisner, ne riscrisse la storia: tutti i popoli dell’Europa centrale e del Baltico avevano combattuto collettivamente sia i nazisti sia i sovietici. Un’enorme menzogna. In realtà molti partiti politici dell’Europa centrale si schierarono con i nazisti contro i sovietici, formando divisioni SS e fornendo quasi per intero il corpo dei guardiani dei campi di sterminio nazisti.

 

John Loftus, procuratore speciale dell’Office of Special Investigations, unità del dipartimento di Giustizia statunitense, nel 1980 testimoniò di aver trovato una piccola città nel New Jersey, South River, che ospitava una colonia di ex SS bielorussi. All’ingresso della cittadina un monumento ornato di simboli SS celebrava i camerati caduti, mentre in un cimitero [bielorusso] poco lontano si trovava la tomba del primo ministro nazista bielorusso, Radoslav Ostrovski. (3)

 

È convinzione diffusa che gli Stati Uniti abbiano combattuto i nazisti e li abbiano giudicati a Norimberga e a Tokyo. È falso. Il presidente Roosevelt, liberale convinto, credette nella possibilità di reclutare traditori per metterli al proprio servizio. Tuttavia, essendo morto prima della fine del conflitto, i criminali di cui si era attorniato riuscirono a scalare i vertici del potere, riuscendo a piegare ai propri obiettivi alcune amministrazioni. È quanto accadde per la CIA.

 

L’impegno del Congresso con la Commissione Church, che rivelò i crimini della CIA degli anni Cinquanta e Sessanta, non ha dato grandi frutti. Questo mondo opaco si è riciclato nella clandestinità, continuando a operare.

 

È il percorso seguito dai «nazionalisti integralisti» ucraini di Dimytro Dontsov e dai suoi sicari, Stepan Bandera e Iaroslav Stetsko. Dontsov, già agente segreto del kaiser Wilhelm II, poi di Adolf Hitler, fu recuperato dalla CIA, visse in Canada e, diversamente dalle notizie pubblicate su Wikipedia, morì nel 1973 a South River, nel New Jersey. Era uno dei peggiori criminali di massa del Reich. Durante la guerra sparì dall’Ucraina e divenne amministratore dell’Istituto Reinhard Heydrich di Praga. Fu uno degli ideatori della soluzione finale della questione degli zingari e degli ebrei (4)

 

I suoi sicari Stepan Bandera e Iaroslav Stetso furono ingaggiati a Monaco dalla CIA. Curarono le trasmissioni in ucraino di Radio Free Europe e organizzarono operazioni di sabotaggio in Unione Sovietica. Bandera pianificò numerosi massacri e, con i nazisti, proclamò l’indipendenza dell’Ucraina. Ciononostante anch’egli sparì durante la guerra. Dichiarò di essere stato internato in condizioni di «dignitosa prigionia» in un campo di sterminio. Una versione poco credibile, dal momento che riapparve nel 1944, incaricato dal Reich di governare l’Ucraina e combattere i sovietici. Potrebbe invece aver lavorato nella sede amministrativa dei campi di concentramento, a Oranienbourg-Sachenhausen, al progetto nazista di sterminio delle «razze» deputate a corrompere gli ariani. Durante la guerra fredda Bandera poté muoversi senza intralci nel «mondo libero»; si recò in Canada per proporre a Dontsov di assumere la guida della sua organizzazione. (5)

 

Il tempo è trascorso e questi responsabili di genocidi sono morti senza dover rendere conto delle proprie azioni. Le loro organizzazioni, l’OUN [Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini] e l’ABN, avrebbero dovuto sparire con loro. Così non è stato. L’OUN si è ricostituita col favore della guerra in Ucraina. Così pure l’ABN, sul cui sito internet si leggono libretti propagandistici del dopoguerra ove si afferma che l’organizzazione non è mai esistita prima della caduta del Reich.

 

Il Free Nations PostRussia Forum (Forum delle nazioni libere del dopo-Russia) è la propaggine dell’ABN. Quest’anno si riunirà il 26-27-28 settembre a Londra, Parigi e, possibilmente, Strasburgo. L’obiettivo è il medesimo: la disgregazione della Federazione di Russia in 41 Stati. Non si può dubitare delle radici del Forum: pretende di parlare a nome dei popoli di Russia e non si accontenta di accusare Mosca: se la prende anche con la Cina Popolare, la Corea del Nord e l’Iran.

 

Nei documenti affronta anche la questione del Venezuela, della Bielorussia e della Siria. L’ABN, che partecipò alla fondazione e all’animazione della Lega anticomunista mondiale (6), cui aderiva la maggioranza dei dittatori della pianeta, ora è stata elegantemente rinominata Lega Mondiale per la Libertà e la Democrazia.

 

Il Forum delle nazioni libere del dopo-Russia è stato creato dalla CIA come reazione all’intervento russo in Ucraina. In un anno e mezzo si è già riunito sette volte: in Polonia, Cechia, Stati Uniti, Svezia e nei parlamenti europeo e giapponese. La CIA ha contemporaneamente creato governi in esilio per la Bielorussia e il Tatarstan, come già per l’Iraq e la Siria. Nessun Paese li ha riconosciuti, ma l’Unione Europea li ha ricevuti con deferenza. Questi governi in esilio si aggiungono a quello di lunga data dell’Ichkeria (leggasi Cecenia).

 

L’erede dell’ABN non è stato concepito per conseguire l’obiettivo che dichiara. Gli Stati Uniti non hanno intenzione di disintegrare la Federazione di Russia, potenza nucleare. La classe dirigente statunitense è nel complesso consapevole che ne conseguirebbero una totale destabilizzazione delle relazioni internazionali, nonché una possibile guerra nucleare. No. Si vuole piuttosto mobilitare al servizio degli Stati Uniti le persone che aspirano all’improbabile obiettivo di smembrare la Russia.

 

Alcune personalità politiche si prestano al gioco. Per esempio l’ex ministra degli Esteri polacca, Anna Fotyga, la stessa che nel 2016 presentò una risoluzione sulle comunicazioni strategiche dell’Unione Europea che prevedeva un sistema d’influenza sull’insieme dei grandi media dell’Unione, dimostratosi efficace. O anche il deputato centrista francese Frederick Petit; già nel 2014 i grandi nomi del suo partito erano in piazza Maidan, a Kiev, per farsi fotografare accanto ai «nazionalisti integralisti». Non parlerò qui dell’ex deputato russo Ilya Ponomarev.

 

Allo stesso fine operano anche alcuni think tank. Per esempio la Jamestown Foundation, fondata con l’aiuto del direttore della CIA dell’epoca, William J. Casey, in occasione [dell’approdo in USA] dalla Russia di un transfuga di alto livello. È stata vietata in Russia nel 2020 (quindi prima della guerra in Ucraina) perché già stampava documenti sulla disintegrazione della Russia.

 

Quanto all’Hudson Institute, è finanziato da Taiwan attraverso la sua agenzia della Lega mondiale per la libertà e la democrazia (ex Lega anticomunista mondiale). Ha potuto così ospitare una sessione del Forum delle nazioni libere del dopo-Russia.

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) Liga der Fremdvölker Russlands 1916–1918. Ein Beitrag zu Deutschlands antirussischem Propagandakrieg unter den Fremdvölkern Russlands im Ersten Weltkrieg, Seppo Zetterberg, Akateeminen Kirjakauppa (1978).

2) MI6, Inside the Covert World of Her Majesty’s Secret Intelligence Service, Stephen Dorril, The Free Press (2000).

3) The Belarus Secret: The Nazi Connection in America, John Loftus, Albert Knopf (1982).

4) Ukrainian Nationalism in the Age of Extremes. An Intellectual Biography of Dmytro Dontsov, Trevor Erlacher, Harvard University Press (2021).

5) Stepan Bandera: The Life and Afterlife of a Ukrainian Nationalist: Facism, Genocide, and Cult, Grzegorz Rossoliński-Liebe, Ibidem Press (2015).

6) «L’internazionale criminale: la Lega anticomunista mondiale», di Thierry Meyssan, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 3 luglio 2016.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

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Israele è determinato a uccidere i leader di Hamas ovunque risiedano e continuerà i suoi sforzi finché non saranno tutti morti, ha dichiarato martedì a Fox News l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter.

 

In precedenza, attacchi aerei israeliani hanno colpito un edificio residenziale a Doha, in Qatar, prendendo di mira alti esponenti dell’ala politica di Hamas. Il gruppo ha affermato che i suoi funzionari sono sopravvissuti, mentre l’attacco è stato criticato dalla Casa Bianca e condannato dal Qatar.

 

«Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima volta», ha detto il Leiter.

 

L’ambasciatore ha descritto Hamas come «nemico della civiltà occidentale» e ha sostenuto che le azioni di Israele stavano rimodellando il Medio Oriente in modi che gli Stati «moderati» comprendevano e apprezzavano. «In questo momento, potremmo essere oggetto di qualche critica. Se ne faranno una ragione», ha detto riferendosi ai Paesi arabi.

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene smantellare Hamas sia un obiettivo legittimo, colpire un alleato degli Stati Uniti mina gli interessi sia americani che israeliani.

 

Leiter ha osservato che Israele «non ha mai avuto un amico migliore alla Casa Bianca» e che Washington e lo Stato Ebraico sono rimaste unite nel perseguire la distruzione del gruppo militante.

 

Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito del suo ruolo di mediatore, ha dichiarato che tra le sei persone uccise nell’attacco israeliano c’era anche un agente di sicurezza del Qatar.

 

L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha denunciato l’attacco come un «crimine atroce» e un «atto di aggressione», mentre il ministero degli Esteri di Doha ha accusato Israele di «terrorismo di Stato».

 

Israele ha promesso di dare la caccia ai leader di Hamas, ritenuti responsabili del mortale attacco dell’ottobre 2023, lanciato da Gaza verso il sud di Israele. L’ambasciatore ha giurato che i responsabili «non sopravviveranno», ovunque si trovino.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

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Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.   Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.   L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.   «L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».   L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.   Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».    

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  L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».   L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».  

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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.   Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.   «Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.   L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».   Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.   Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».   «Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».   Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».   Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».   La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».  

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  Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.   «L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.   Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.  

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Geopolitica

Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.

 

Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».

 

«Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.

 

Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.

 

«Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.

 

Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.

 

Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

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