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Estremisti francesi si portano a casa le armi ucraine

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Il 22 aprile 2023 di due cittadini francesi sono stati arrestati mentre arrivavano dall’Ucraina alla stazione degli autobus di Bercy a Parigi. Il quotidiano Le Parisien dice che si tratta di «militanti di estrema destra», mentre il sito Mediapart li definisce direttamente «nazisti».

 

I due, già schedati dai servizi interni del DGSI per questioni di «sicurezza dello Stato», stati arrestati e condannati, non per le loro attività in Ucraina, ma per aver tentato di contrabbandare materialmente armi e munizioni in Francia.

 

Mediapart riferisce che la direzione generale della sicurezza interna francese aveva i due sul proprio schermo radar, ma è stato solo un controllo casuale alla dogana che avrebbe portato alla loro detenzione. È riportato che sarebbero afferenti al gruppo Zouaves Paris (ZVP) che avrebbe legami con il Battaglione Azov, con visite dei campi di addestramento azoviti già nel 2019 da parte del vertice del movimento. Da allora il gruppo sarebbe stato dissolto, tuttavia canali Telegram vicini al movimento avrebbero moltiplicato i loro omaggi ai miliziani ucraini. «Riprendendo la dialettica nazista – scrive Le Parisien – denunciano i contingenti asiatici dell’imperialismo sovietico che tornano a imperversare in Europa. Senza dimenticare di aggiungere una modernissima islamofobia prendendo di mira “i cani islamisti di Putin”».

 

Il 5 gennaio 2022 ZVP è stato sciolto con decreto governativo. Il processo di scioglimento è motivato dalla diffusione di testi razzisti, dal coinvolgimento in «numerosi e ricorrenti atti violenti» e dall’uso di simboli dell’ideologia nazista.

 

Secondo quanto riportato, uno dei due arrestati era nell’unità militare d’élite dei Chasseurs Alpins francesi prima di essere congedato, quando le sue opinioni neonaziste vennero alla luce nei media. All’inizio di quest’anno, in Ucraina, avrebbe pubblicato una foto sul canale Telegram «TrackANaziMerc», dove avrebbe mostrato «tre soldati russi colpiti alla testa. L’immagine mostra che i soldati erano disarmati e uccisi a distanza ravvicinata. Dopo che le foto dell’esecuzione hanno iniziato a circolare online, il comitato investigativo russo ha annunciato che avrebbe esaminato i crimini dei mercenari francesi contro i prigionieri di guerra russi in Ucraina» scrive il sito governativo russo RT.

 

Nell’articolo di RT dello scorso 10 giugno sulla minaccia alla sicurezza dei neonazisti occidentali che combattono in Ucraina e poi tornano nei Paesi d’origine («Una piastra di Petri per il fascismo: come l’Ucraina è diventata una calamita per i neonazisti occidentali»), vengono descritti vari casi dalla Francia, Norvegia e anche dall’Italia, dove la polizia pure, riportano le cronache, sono stati effettuati alcuni arresti.

 

Tuttavia, uno dei casi più significativi è quello del veterano dell’esercito americano Craig Lang. La scorsa estate, Lang è stato visto sui social media «con un’uniforme militare ucraina e brandendo un’arma anticarro». Lang ha fatto notizia quando ha tentato di far saltare in aria la moglie incinta con mine antiuomo. Dopo aver scontato una pena detentiva, nel 2015 è andato in Ucraina ed è entrato a far parte dell’organizzazione fascista Settore Destro.

 

BuzzFeed aveva riferito che Lang è riuscito a reclutare dozzine di militanti occidentali in varie unità paramilitari ucraine. Nel 2016 Lang è diventato membro della legione georgiana facente capo a Mamuka Mamulashvili.

 

Documenti trapelati rivelano che avrebbe picchiato, torturato e ucciso civili locali. Secondo chi ha pubblicato il materiale trapelato, vi sarebbe un video mostra Lang che picchia e annega una ragazza, con un compagno le inietta adrenalina in modo che non perdesse conoscenza mentre annegava.

 

Quando era tornato negli Stati Uniti, Lang è stato accusato di duplice omicidio. Il suo avvocato, Dmytro Morhun, ha detto a Politico che era tornato sul campo di battaglia in Ucraina, dove, nel 2022, indossava un’uniforme dell’esercito ucraino, mentre rischiava l’estradizione.

 

Come già riportato da Renovatio 21, il caso rientra nei timori generali per il ritorno dei foreign fighter del conflitto ucraino. Sulla questione vi sarebbero serie preoccupazioni da parte del Dipartimento per la sicurezza interna USA – il famoso Department of Homeland Security (DHS) creato all’indomani degli episodi di megaterrorismo islamico del 2001 – che già teme di trovarseli tra le fine degli schedati con l’acronimo RMVE-WS», che sta per racially-motivated violent extremists – white supremacy («estremisti violenti di matrice razziale: supremazia bianca»).

 

Sottovoce, lo Stato americano ammette che potrebbe esserci questo problema – ma forse farà ben poco, per precisi motivi politici. Al Partito Democratico USA serve il babau del neonazista, del suprematista bianco, così da spaventare l’elettorato ed allontanarlo, per strategia della tensione, dal Partito Repubblicano e ancora di più dal movimento trumpiano MAGA, ora chiamato sprezzantemente «ultra-MAGA» da Biden.

 

Neonazisti sanguinari, radicalizzati e abituati agli eccidi in una zona di barbarie come l’Ucraina odierna, potrebbe essere utilissimi alla bisogna.

 

E, ovviamente, potremmo trovarceli in Italia – come già capitato con alcuni episodi criminali (le rapine in villa, pestaggi, etc.) perpetrati da ex militari veterani delle atroci guerre balcaniche degli anni Novanta. Perché, si badi, non solo avranno determinazione e abilità di offesa, ma saranno soprattutto molto armati – con armi che noi stessi gli abbiamo donato.

 

Come scritto da Renovatio 21, non è escluso che anche questo fenomeno non sia inserito nel programma di istituire una «area di ferocia» (come la definisce l’ISIS) in Europa, di modo da dare un’ulteriore spinta violenta, dopo quella fornita dagli immigrati afroislamici importati con il piano Kalergi, all’ascesa definitiva dell’anarco-tirannia.

 

Un Reset attraverso la barbarie del jihadismo ucronazista: a spese, ovviamente, del contribuente sincero-democratico.

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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Geopolitica

Putin e Xi si incontrano a Pechino

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Il presidente russo Vladimir Putin incontra a Pechino il presidente cinese Xi Jinping durante la sua visita di Stato in Cina. È il primo viaggio all’estero di Putin da quando ha prestato giuramento per il quinto mandato come presidente all’inizio di questo mese.

 

Secondo un’anteprima della visita fornita dall’aiutante presidenziale Yury Ushakov all’inizio di questa settimana, i due leader discuteranno sia delle relazioni bilaterali che di varie organizzazioni e strutture internazionali, dai BRICS all’Unione economica eurasiatica fino alle Nazioni Unite.

 

«Nelle circostanze attuali è molto importante che la nostra partnership dimostri di essere resistente a qualsiasi ingerenza esterna», ha detto Ushakov.

 

I leader si sono stretti la mano davanti all’edificio della Grande Sala del Popolo in Piazza Tiananmen e hanno ascoltato un’orchestra militare eseguire gli inni nazionali dei due Paesi. Successivamente hanno posato per delle fotografie e sono partiti per un incontro tra le delegazioni.

 

Putin è accompagnato da numerosi ministri statali, che parteciperanno ai negoziati su progetti comuni volti ad approfondire i legami bilaterali.

 

In un’intervista con l’agenzia di stampa cinese di Stato Xinhua prima del viaggio, Putin ha esaltato il «livello senza precedenti di partenariato strategico» tra i due Stati.

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«Dopo tre quarti di secolo, le relazioni Cina-Russia sono cresciute sempre più rafforzandosi nonostante gli alti e bassi, e hanno superato la prova del cambiamento del panorama internazionale», ha affermato giovedì il ministero degli Esteri cinese in una nota. «Il costante sviluppo delle relazioni Cina-Russia è… favorevole alla pace, alla stabilità e alla prosperità della regione e del mondo in generale».

 

Nel corso della visita è prevista la firma di una dozzina di documenti bilaterali, oltre a numerosi accordi commerciali e accordi regionali. Si prevede inoltre che Putin inviti formalmente Xi al prossimo vertice dei BRICS, previsto a Kazan in ottobre.

 

Russia e Cina hanno posizioni simili sul conflitto in Ucraina. Parlando a Xinhua, Putin ha elogiato Pechino per aver compreso «le sue cause profonde e il significato geopolitico globale». La Cina ha rifiutato di incolpare la Russia per le tensioni e ha invece condannato l’espansione della NATO e la «mentalità da guerra fredda» di Washington.

 

I combattimenti tra Russia e Ucraina sono entrati nel loro terzo anno a febbraio, con i sostenitori occidentali di Kiev che hanno rinnovato il loro impegno a sostenere l’Ucraina con denaro e armi «per tutto il tempo necessario». Allo stesso tempo, continuano le tensioni tra Cina e Stati Uniti nell’Indo-Pacifico e altrove.

 

Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha recentemente descritto la Cina come «il principale paese che consente alla Russia di condurre la sua guerra di aggressione».

 

L’anno scorso Pechino ha presentato la sua tabella di marcia in 12 punti per la pace in Ucraina, ponendo l’accento sulla diplomazia.

 

«Dovremmo dare priorità al mantenimento della pace e della stabilità e astenerci dal cercare guadagni egoistici», ha detto Xi il mese scorso, esortando tutte le parti a «raffreddare la situazione e a non aggiungere benzina sul fuoco».

 

Pechino ha anche rifiutato la politica di sanzioni e la guerra commerciale di Washington come un modo per assicurarsi una posizione dominante sulla scena mondiale.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

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L’UE e la Casa Bianca condannano gli «estremisti israeliani» che attaccano i convogli umanitari

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Il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha chiesto a Israele di fare qualcosa contro gli «estremisti» che attaccano i convogli di aiuti umanitari in viaggio verso Gaza.   In seguito all’offensiva israeliana sulla città di Rafah, che si trova al confine dell’enclave palestinese con l’Egitto, le forniture di cibo e altri beni destinati a Gaza sono state dirottate attraverso Israele. Lunedì uno di questi convogli è stato saccheggiato vicino a Hebron.   «Sono indignato per gli attacchi ripetuti e ancora incontrollati perpetrati dagli estremisti israeliani contro i convogli umanitari in viaggio verso Gaza, anche dalla Giordania. Centinaia di migliaia di civili stanno morendo di fame», ha detto il Borrell su X martedì sera. Ha esortato le autorità israeliane a «fermare queste operazioni e ritenere i responsabili responsabili».   La sua condanna arriva dopo che il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha denunciato l’attacco durante la conferenza stampa di lunedì alla Casa Bianca.   «È un oltraggio totale che ci siano persone che attaccano e saccheggiano questi convogli provenienti dalla Giordania diretti a Gaza per fornire assistenza umanitaria», ha detto il Sullivano. «È qualcosa su cui non facciamo mistero: lo troviamo completamente e assolutamente inaccettabile».  

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Nell’incidente di lunedì, un convoglio è stato fermato al checkpoint di Tarqumiya vicino a Hebron e un gruppo di persone ha distrutto parte del cibo dai camion. L’attivista pacifista israeliana Sapir Sluzker Amran, che ha assistito all’attacco, ha identificato gli autori come un gruppo chiamato Tsav 9.   «La maggior parte di loro erano coloni. Vivono anche lì, sono coloni negli insediamenti della zona», ha detto martedì a CBS News. «Il tema comune a tutti loro è che appartengono ai gruppi sionisti di destra».   Le foto e i video ripresi da Amran mostrano gli aggressori salire sui camion, lanciare pacchi di cibo sul ciglio della strada e scaricare la farina dai sacchi.     «Hanno iniziato qualche mese fa, raccolgono molti soldi e hanno molti sostenitori nel governo», ha detto Amran alla CBS, sostenendo che l’esercito e la polizia israeliani hanno fatto trapelare l’ubicazione dei convogli di aiuti destinati al gruppo. Ha anche affermato che uno dei coloni l’ha colpita durante l’incidente di lunedì e che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno invece protetto l’aggressore.   Tsav 9 è un gruppo che si è impegnato a bloccare tutti gli aiuti a Gaza mentre tutti gli ostaggi israeliani rimarranno nelle mani di Hamas, l’organizzazione militante palestinese che ha catturato oltre 200 prigionieri durante l’incursione del 7 ottobre dello scorso anno.   La polizia israeliana ha affermato che stava indagando sull’attacco al convoglio e aveva arrestato «diversi sospetti».   Come riportato da Renovatio 21, dopo che erano state annunziate sanzioni nelle settimane precedenti, lo scorso mese gli Stati Uniti hanno accusato cinque unità dell’esercito israeliano di violazioni dei diritti umani.   Come riportato da Renovatio 21abusi da parte dei militari israeliani sono diffusi sui social, come ad esempio il canale Telegram «72 vergini – senza censura», dove vengono caricati dagli stessi militari video ed immagini di quella che si può definire «pornografia bellica». Vantando «contenuti esclusivi dalla Striscia di Gaza», il canale 72 Virgins – Uncensored ha più di 5.000 follower e pubblica video e foto che mostrano le uccisioni e le catture di militanti di Hamas, nonché immagini dei morti.  

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La polifonia vaticana sulla guerra in Ucraina

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Mentre il conflitto tra Ucraina e Russia entra nel suo terzo anno, nelle dichiarazioni ufficiali della Santa Sede sono emersi diversi punti di vista, sia da parte del Santo Padre che dei servizi diplomatici della Segreteria di Stato.

 

Sinfonia? Cacofonia? Dissonanza intenzionale? Che si sia entusiasti o meno dell’attuale pontificato, varia notevolmente l’apprezzamento delle differenze di tono che si osservano al di là del Tevere nella trattazione del conflitto russo-ucraino.

 

Da parte del Papa, Papa Francesco ripete da mesi costantemente i suoi appelli alla pace per la ragione che «la guerra è sempre una sconfitta» e che coloro che vincono sono i “fabbricanti di armi”. È una posizione che ha il merito di restare immutata.

 

In un’intervista alla televisione svizzera RTS del 2 febbraio 2024, andata in onda a marzo, il Papa ha invitato l’Ucraina ad avere «il coraggio di negoziare»: «credo che il più forte sia chi vede la situazione, chi pensa del popolo, che ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare», ha dichiarato, chiedendo che la mediazione venga effettuata da un paese che lo ha offerto, come la Turchia.

 

Sarà un negoziato necessario per evitare il «suicidio» del Paese. Il Papa ha poi risposto a una domanda sul tema del «bianco», parlando delle virtù del bianco ma anche della «bandiera bianca». Le sue dichiarazioni hanno innescato una crisi diplomatica tra Santa Sede e Ucraina, ma che avrebbero lo scopo di sottolineare la posizione pacifista di un Papa che mette la sacralità della vita al di sopra di ogni altra cosa.

 

Per il capo della diplomazia ucraina, a cui si uniscono le voci più critiche all’interno della Chiesa nei confronti dell’attuale Romano Pontefice, si tratterebbe di un atteggiamento che evoca la «neutralità osservata da Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale».

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Il Vaticano ha tentato di chiudere la polemica: «il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare una cessazione delle ostilità, una tregua raggiunta con il coraggio del negoziato», ha spiegato il direttore della Lo ha affermato la Sala Stampa della Santa Sede.

 

Il 24 aprile Francesco insisteva e affermava in una nuova intervista concessa al canale americano CBS: «cercate di negoziare. Cerca la pace. Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine», sottolinea il Sommo Pontefice, alludendo sia alla guerra in Ucraina che alla situazione a Gaza.

 

Da parte della Segreteria di Stato i toni non sono esattamente gli stessi. Dall’inizio del conflitto, la diplomazia vaticana non ha mai difeso una capitolazione dell’Ucraina. In più occasioni, i suoi due più alti funzionari, il cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Gallagher, hanno ammesso pubblicamente la legittimità di una guerra difensiva, inviando anche armi per realizzarla.

 

In una recente intervista con la rivista America del 25 marzo 2024, l’arcivescovo Gallagher ha affermato di ritenere che «la Russia non stabilisce le condizioni necessarie [per negoziare]. Le condizioni necessarie, che sono nelle mani della Russia, sono fermare gli attacchi, fermare i missili». Afferma anche della Santa Sede che «non sosteniamo che i confini dei paesi debbano essere modificati con la forza».

 

I gesuiti della Civiltà Cattolica – rivista influente in Italia, e teoricamente vidimata dalla Santa Sede prima della pubblicazione – hanno difeso una posizione diversa da quella di Papa Francesco e della Segreteria di Stato, sostenendo una futura controffensiva ucraina e un sostegno più forte dall’Europa e dalla NATO per l’Ucraina. Cosa si può dire di questo concerto a più voci?

 

Un funzionario vaticano, citato in condizione di anonimato da La Croix, riassume la situazione dipingendo un quadro sfumato della più antica diplomazia del mondo: «Siamo neutrali ma senza indifferenza etica. La storia è più complessa di un mondo in bianco e nero. Per noi Ucraina e Russia non sono due realtà sociopolitiche completamente separate…»

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

 

 

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