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Persecuzioni

Nigeria, la Chiesa denuncia le persecuzioni

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Nel nord della Nigeria la gerarchia cattolica denuncia le estorsioni di cui i cristiani sono le prime vittime da parte degli islamisti. In alcuni stati, le autorità impongono la sharia e arrivano al punto di impedire ai cristiani di insegnare la loro fede e praticarla.

 

«La comunità cristiana vive in uno stato di servitù». L’osservazione dell’arcivescovo di Kaduna è amara. In questa diocesi situata al centro della Nigeria – come in quelle di Kano, Sokoto, Katsina e Zamfara più a nord – i cristiani sono letteralmente «perseguitati», spiega il vescovo Matthew Man-oso Ndagoso.

 

Perché nelle zone a maggioranza musulmana dello Stato di Kaduna, la Sharia è stata imposta dalle autorità locali: «non possiamo più insegnare ai bambini cristiani la religione del loro battesimo. (…) Il governo usa denaro pubblico per insegnare l’Islam. Si tratta di un flagrante atto di discriminazione volto a indebolire il morale della comunità cristiana».

 

In questo contesto costruire una chiesa è un miracolo: «in sessant’anni non è stato concesso alcun permesso di costruzione per costruire una chiesa, se non nei primi anni ’90, grazie a un governatore che era di fede cattolica. Così, in questa parte del nostro Paese, i cristiani non sono liberi di praticare la propria fede come prevede la Costituzione: perché se non si può ottenere un terreno per edificare un luogo di culto, ciò dimostra che non si è liberi» lamenta l’Arcivescovo di Kaduna.

 

Per non parlare degli attacchi diretti di cui i cristiani sono il bersaglio privilegiato: «le persone vengono rapite, alcune sono sfollate e non possono più tornare nelle loro comunità; ora dobbiamo affrontare la situazione di coloro che sono stati esiliati dai loro villaggi ancestrali e che ora sono profughi nel loro stesso Paese» ha denunciato Mons. Ndagoso.

 

L’intervento dell’Arcivescovo di Kaduna è parte di un webinar organizzato l’8 marzo 2023. In questa occasione, due seminaristi rapiti dall’organizzazione terroristica Boko Haram l’8 gennaio 2020, hanno preso la parola per raccontare l’agghiacciante storia della loro prigionia: «gli islamisti ci frustavano ogni giorno, senza alcuna pietà».

 

«La sera ci chiedevano di muggire come mucche o belare come pecore, solo per intrattenerli. Durante i pasti ci servivano del riso in un contenitore molto sporco che usavano per riempire di carburante le loro moto» racconta padre Pius Tabat.

 

Un altro seminarista, il diciottenne Michael Nnadi, è stato ucciso per aver chiesto ai suoi carcerieri di pentirsi e abbandonare le loro vie malvagie. Dopo il suo assassinio, i miliziani di Boko Haram hanno detto ai loro prigionieri che presto avrebbero incontrato la stessa sorte:

 

«Quella notte è stata una delle più lunghe della mia vita. Quando è arrivata la mattina, ci hanno dato dei telefoni per chiamare i nostri genitori per salutarci. Lo abbiamo fatto e siamo tornati alla tenda mettendo la nostra vita nelle mani di Dio», ricorda commosso Pius Tabat.

 

«Ma quel giorno non siamo stati uccisi», ha detto il seminarista che sarebbe stato rilasciato pochi giorni dopo: «non credo che la morte di Michael sia stata una coincidenza; era come se avesse pagato il prezzo della nostra libertà», denuncia il sopravvissuto.

 

Da parte sua, il vescovo Ndagoso vuole sperare che il nuovo presidente nigeriano Bola Tinubu – la cui elezione il 25 febbraio è ancora contestata dall’opposizione politica e dall’episcopato cattolico – riesca a far uscire il Paese dal terrorismo, tenendo conto delle sue origini etniche: è uno Yuruba, una tribù dove i musulmani sono generalmente moderati.

 

«Nella terra degli Yuruba puoi trovare all’interno della stessa famiglia cattolici, musulmani, protestanti. La moglie di Tinubu è cristiana e pratica ancora la sua fede a casa del marito. Quindi, in questo contesto, abbiamo ancora speranza», ha confidato l’Arcivescovo di Kaduna.

 

Il 18 marzo 2023 i nigeriani sono stati nuovamente chiamati alle urne per nominare i loro governatori: un’elezione i cui risultati saranno cruciali per il futuro dei cristiani nel nord del Paese.

 

 

 

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

 

Immagine di Anasskoko via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

 

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Famosa suora croata accoltellata: possibile attacco a sfondo religioso

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VUna suora  di 34 anni è stata gravemente ferita a coltellate nel quartiere Malešnica di Zagabria, in Croazia. L’aggressione, avvenuta il 28 novembre, è al centro di un’indagine penale della polizia che non esclude la matrice religiosa.

 

La vittima, Suor Marija Tatjana Zrno delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, è stata colpita più volte all’addome con un oggetto appuntito. Rientrata per pochi istanti in convento, è stata poi immediatamente trasportata al Centro Ospedaliero Universitario delle Suore della Carità, dove i medici l’hanno sottoposta a cure e accertamenti. Le sue condizioni sono serie ma stabili: non è più in pericolo di vita.

 

Secondo fonti giornalistiche e informazioni circolate immediatamente dopo l’attacco, l’aggressore sarebbe un migrante che avrebbe urlato un inevitabile «Allahu akbar» durante l’aggressione. Il giornalista croato Marin Vlahović, primo a dare la notizia, ha parlato di una fonte attendibile secondo cui l’uomo avrebbe pronunciato slogan di natura religiosa.

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La polizia, pur confermando di aver aperto un fascicolo per lesioni gravi, non ha ancora reso pubblico il movente, limitandosi a dichiarare che sta «verificando tutte le circostanze». Fonti citate dall’agenzia cattolica IKA riferiscono però che gli inquirenti stanno valutando con attenzione eventuali «elementi di motivazione religiosa o ideologica».

 

Suor Marija Tatjana, originaria di Šujica (Bosnia ed Erzegovina) e residente nel convento di via Frankopanska a Zagabria, è molto conosciuta e amata in Croazia.

 

Insegna religione in una scuola elementare ed è divenuta celebre per la sua passione per il calcio, vissuta con gioia e senza mai nasconderla sotto l’abito religioso. Conduttrice su Laudato TV di programmi dedicati allo sport, è una grande tifosa del centrocampista Luka Modrić (che ha sempre difeso per la sua fede ostentata) e durante i Mondiali ha promosso l’iniziativa «Rosario per il Fuoco», coinvolgendo migliaia di persone – compresa la nonna di Ivan Perišić – in preghiera per la nazionale croata.

 

In un’intervista rilasciata in passato aveva spiegato: «Per essere un buon calciatore bisogna allenarsi ogni giorno; lo stesso vale per la vita spirituale: senza costanza nella preghiera si diventa tiepidi».

 

I media cattolici croati hanno lanciato un appello alla preghiera per la sua completa guarigione, mentre le indagini proseguono per fare piena luce sull’accaduto.

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Difensore dei diritti umani nigeriano: il cardinale Parolin sta «incoraggiando» gli attacchi dei musulmani contro i cristiani

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Il presidente del consiglio direttivo di un’importante organizzazione nigeriana per i diritti umani ha accusato duramente il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di fornire «copertura diplomatica» ai terroristi islamici e di incoraggiare nuovi massacri di cristiani in Nigeria, sminuendo apertamente il carattere religioso del genocidio in corso nel Paese.   In un’intervista rilasciata la scorsa settimana a Crux e pubblicata il 27 novembre, Emeka Umeagbalasi, presidente della International Society for Civil Liberties and the Rule of Law (Intersociety), ha definito «devastanti» le parole di Parolin, che a ottobre aveva descritto la violenza contro i cristiani nigeriani come un semplice «conflitto sociale» e non come persecuzione religiosa, nel corso di un evento in Vaticano dedicato al Rapporto 2025 sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).   «Quando il Segretario di Stato vaticano presenta la crisi come un “conflitto sociale” invece che come persecuzione religiosa, demoralizza i cattolici e gli altri cristiani nel mondo che guardano alla Chiesa come guida e sostegno», ha dichiarato Umeagbalasi. «Questa impostazione diplomatica attenua la gravità della situazione e offre copertura a chi compie la violenza».

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L’attivista ha aggiunto che minimizzare la dimensione religiosa del conflitto non solo indebolisce l’autorità morale storica della Chiesa cattolica, ma «incoraggia gli islamisti a proseguire questi attacchi feroci». «La Chiesa è sempre stata un faro di speranza e di autorità morale. Quando i suoi alti rappresentanti sembrano contraddire o attenuare dichiarazioni chiare sulla persecuzione, ciò indebolisce la posizione della Chiesa e incoraggia chi vuole continuare la violenza», ha sottolineato.   Umeagbalasi ha anche respinto l’argomentazione di Parolin secondo cui in Nigeria vengono uccisi anche musulmani: «È vero che muoiono musulmani, ma questo non cancella la natura mirata della persecuzione contro i cristiani. Le statistiche indicano che circa sette vittime su dieci per motivi religiosi sono cristiane. I musulmani uccisi lo sono generalmente da altri musulmani in Stati a maggioranza islamica come Zamfara, Sokoto o Katsina, e non certo da “jihadisti cristiani”».   Il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha inserito la Nigeria tra i 24 Paesi peggiori al mondo per persecuzione religiosa, sottolineando la combinazione di «governo autoritario ed estremismo religioso» e il ruolo della criminalità organizzata. La Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha nuovamente chiesto che Abuja venga designata «Paese di particolare preoccupazione», denunciando l’impunità di cui godono gli aggressori.   Le parole di Parolin hanno già suscitato dure reazioni anche all’interno della Chiesa. L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico in Nigeria (1992-1998), le ha definite «vergognose» e sintomo di «tradimento» verso i cattolici perseguitati.   «No, Eminenza: i Cattolici nigeriani sono uccisi in odio alla Fede che essi professano, da parte di mussulmani e in obbedienza al Corano. Quegli stessi mussulmani che stanno trasformando le vostre chiese in moschee, con la vostra vile e cortigiana complicità, e che presto rovesceranno i governi per imporre la sharia agli “infedeli”» ha scritto il prelato lombardo.   Secondo Umeagbalasi, la posizione del Segretario di Stato vaticano finisce per «rispecchiare pericolosamente la narrazione del governo nigeriano», che da anni nega che i cristiani siano presi di mira specificamente per la loro fede, nonostante l’intensificarsi degli attacchi jihadisti dopo l’introduzione della sharia in dodici Stati del nord nel 1999 e l’ascesa di Boko Haram nel 2009.   Come riportato da Renovatio 21, contrariamente al cardinale Parolin, il presidente americano Donaldo Trump ritiene che in Nigeria sia in atto una persecuzione anticristiana, che potrebbe risolvere con un’azione militare. L’ambasciatore americano all’ONU  Mike Waltz ha dichiarato che la persecuzione dei cristriani nigeriani costituisce un «genocidio».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Il Quebecco propone di vietare la preghiera pubblica e di inasprire le leggi contro i simboli religiosi

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Il governo del Quebecco ha introdotto un progetto di legge innovativo che, in caso di approvazione, proibirà la preghiera in pubblico e i sussidi alle scuole confessionali, intensificando altresì i divieti sull’esibizione di emblemi religiosi in contesti pubblici. Lo riporta LifeSite.

 

La provincia ha di recente nominato Jean-François Roberge come ministro della Laicità. Il 27 novembre, Roberge ha sottoposto all’Assemblea Nazionale il disegno di legge 9, intitolato «Legge sul potenziamento della laicità in Quebecco». Gli oppositori lo hanno bollato come un assalto alle prerogative religiose dei residenti. Tuttavia, il Quebeccoha preannunciato l’impiego della clausola di non obstante per preservarne la vigenza, neutralizzando potenziali impugnative giudiziarie.

 

Sei anni or sono, la regione aveva emanato una norma che impediva a docenti, magistrati, poliziotti e altri incaricati pubblici di sfoggiare simboli religiosi. Roberge, tuttavia, ha confidato ai cronisti che l’aggiornamento normativo si impone poiché la società è «evoluta».

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«I quebecchesi hanno compiuto passi avanti dal 2019, rendendo imprescindibile il consolidamento del nostro paradigma laico», ha argomentato, specificando che il testo sarà «audace, ma temperato».

 

Ad agosto il Quebecco aveva ventilato il bando della preghiera negli spazi aperti; comunità musulmane avevano preso a recitare nelle vie e nei giardini della provincia.

 

Nei primi mesi del 2025, il divieto sui cosiddetti emblemi religiosi è stato esteso all’intero corpo docente, precludendo l’uso di crocifissi o croci a chiunque operi in ambito scolastico.

 

Il nuovo provvedimento interdirà pure l’indosso di hijab e turbanti per il personale di scuole, asili e atenei. Potrebbe altresì precludere agli educatori la portatura di monili con croce, pure in istituti cattolici, e proscrivere l’apparizione di qualsivoglia segno confessionale nelle missive emesse da enti pubblici. Vieterebbe inoltre l’allestimento di stanze per la preghiera in sedi statali.

 

Il premier provinciale François Legault appoggia con fermezza l’iniziativa, dichiarando all’inizio di novembre che nella sua giurisdizione aleggia una minaccia da parte di «islamisti estremisti».

 

All’inizio del 2025 l’arcivescovo cattolico di Montréal, Christian Lépine, ha stigmatizzato il divieto di preghiera abbozzato dal Quebecco, equiparandolo a un’interdizione del pensiero.

 

«La preghiera, nella sua essenza più pura, è un moto interiore», ha scritto. «Rappresenta un’intenzione rivolta a Dio, che è benevolenza, una manifestazione nel creato, un mezzo per anelare la serenità. D’altronde, talune recenti iniziative per proscrivere la preghiera collettiva destano gravi interrogativi sul rispetto delle libertà basilari in una democrazia».

 

Come riportato da Renovatio 21, pochi mesi fa il Quebecco ha proposto una legge per sancire un apparente «diritto» all’aborto nella bozza di costituzione della provincia canadese.

 

La provincia ha registrato un aumento del 17% dei decessi per eutanasia nel 2023 rispetto al 2022, con il programma che ha causato la morte di 5.686 persone. Questa cifra elevata rappresenta un impressionante 7,3% di tutti i decessi nella provincia, collocando il Québec in cima alla lista a livello mondiale. Di conseguenza, si è avuto anche il rivoltante record per la predazione degli organi, con la triplicazione dei trapianti da vittime di eutanasia.

 

Come riportato da Renovatio 21, ad agosto l’Ordine dei medici del Quebecco ha dichiarato che l’eutanasia è un «trattamento appropriato» per i bambini nati con gravi problemi di salute. L’eutanasia per i neonati era stata sostenuta dai medici quebecchesi ancora tre anni fa, mentre è discussa apertamente l’eliminazione eutanatica dei malati di demenza.

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Il Quebecco provincia della Necrocultura aveva dato il meglio di sé durante la pandemia, proponendo una tassa per i non vaccinati (come gli islamici per i dhimmi, i non credenti) e proibendo i negozi di alcolici ai non punturati.

 

Gli effetti del fondamentalismo necroculturale furono pienamente visibili persino alla TV quebecchese, dove si videro dei bambini dire che contro i non vaccinati bisognava «chiamare la polizia» e «togliere loro ogni cosa».

 

 

Ad un canale TV del Quebec era apparso qualche giorno prima anche il premier Justin Trudeau, che aveva enigmaticamente definito i non vaccinati come «misogini» e «razzisti», per poi arrivare a chiedersi se era il caso di «tollerare queste persone».

 


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