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Renovatio 21 saluta Ichiro Mizuki
È morto Ichiro Mizuki, cantante giapponese notissimo per aver prestato l’ugola a miriadi di serie di cartoni nell’arco di decenni.
Mizuki, al secolo Hayakawa Toshio (i giapponesi, come i cinesi, mettono significativamente prima il nome di famiglia, rispetto al nome…) aveva 74 anni ed è morto in ospedale dove era in cura per tumore ai polmoni, Il 27 novembre tuttavia era sul palco a cantare, esibendosi eroicamente in sedia a rotelle.
Il Mizuki aveva all’attivo qualcosa come 1.200 canzoni. La sua voce risuonava nelle sigle nipponiche del pessimo cartone di robottoni Mazinga Z, la storia spaziale della casa di produzione Tatsunoko Tekkaman, gli ultronei robbotoni Mechander Robot, Combattler V, Gackeen, Ken Falco, Balatak, Vultus V, Astroganga, il sopravvalutato e fastidioso Capitan Harlock, il fantasy preistorico Ryu il ragazzo delle caverne, l’esoterico Babil Junior, il Lupin della serie con giacca rossa (la sigla che in italiano aveva la fisarmonica sul tramonto oceanico), e Golion, che fu reimportato in Italia con il nome deciso dalla distribuzione americana, Voltron. In aggiunta c’è da citare il suo lavoro musicale nei tokusatsu, cioè film e telefilm di mostri giganti che son in realtà uomini in costume, come Megaloman.
In quasi nessuno di questi casi la trasposizione italiana rendeva l’energia e la dedizione canora del Mizuki.
Uno dei suoi pezzi più conosciuto fu tuttavia quello per Kotetsu Jeeg no Uta, cioè «la canzone di Jeeg Robot d’acciaio, che fu ridoppiato da un cantante italiano nella versione nostrana, cantante che non è, come vuole la leggenda metropolitana, il Pietro Pelù. Il pezzo con la voce originale di Mizuki spopolò anche in Italia a fine anni Novanta perché, per qualche motivo, faceva da colonna sonora dello spot di un’auto francese.
L’introduzione della versione italiana di Jeeg cantata da Mizuki ad un concerto con sfondo di arpeggi di chitarra è, riconosciamolo, da pelle d’oca.
Renovatio 21 segnala tuttavia quello che è probabilmente il suo capolavoro, epico ancorché sconosciuto, dove con uno stile sovietico travolgente il nostro canta «Ima ga sono toki da», «Questo è il momento», sigla di una qualche riedizione del cartone Getter Robot, un’altra roba di Go Nagai che non abbiamo visto e che non vedremo mai, perché non ci interessa anche se la canzone è semplicemente grandiosa.
Renovatio 21 parrebbe infetta da questa tendenza a italianizzare alcune parole straniere, ma non è proprio così: secondo alcuni osservatori si tratterebbe invece di un’influenza tutta yamatologica, dovuta alla troppa esposizione di parte del personale di Renovatio 21 alla lingua giapponese, la quale nipponizza le parole straniere con i suoi fonemi, quindi piazzando sempre delle sillabe a desinenza vocalica dentro a parole che ci sembrano famigliari. Per esempio: poshetto per «pochette», faito per «fight», furonto desuku per «front desk», panerisuto per «panelist», Toranpu per «Trump», etc.
Quest’ultima teoria sul linguaggio di questo sito non è universalmente accettata, tuttavia sentire il Mizuki cantare «suupaa lobotto / Mazinga Zetto!» può aiutare a capire il brio di cui stiamo parlando (anche se Mazinga e quasi tutto il lavoro di Go Nagai ci fa personalmente schifo).
Sayonara Ichiro!
Immagine di Georges Seguin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic e 1.0 Generic.
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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix
Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.
Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».
«I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.
Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.
Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA
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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa
La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.
L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.
È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.
Amazon had digitally removed all of the guns from James Bond movie art.
Next … they will probably eliminate any scenes from the movies with guns.
Ridiculous. pic.twitter.com/PdMgKIKY2e
— Wall Street Mav (@WallStreetMav) October 3, 2025
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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).
Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.
Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.
Notice in these Amazon #JamesBond digital posters they’ve removed all the guns and given awkward poses?
Welcome to a world where promoting James Bond 007 needs to be done without his sidearm. pic.twitter.com/3NGkxXShcn
— Chris (@GelNerd) October 2, 2025
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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.
Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.
La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.
In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della serie, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.
No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.
La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.
Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.
Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.
Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.
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