Cina
Proteste, economia: prima sconfitta per Xi con marcia indietro su «zero-COVID»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Rimosse alcune restrizioni per il contenimento della pandemia. Il leader cinese ha sempre difeso la sua politica di azzeramento del morbo. Pressioni dalle proteste popolari e dall’andamento preoccupante dell’economia hanno portato al parziale cambio di direzione. La Fondazione Wei Jingsheng premia i manifestanti e «l’eroe solitario» degli striscioni anti-Xi a Pechino.
I contagiati dal COVID-19 asintomatici o con sintomi lievi potranno isolarsi nelle proprie abitazioni, invece di essere obbligati alla quarantena in appositi centri statali; non dovranno più presentare test negativi al virus per accedere alla maggior parte dei luoghi pubblici e sarà permesso loro di viaggiare con maggiore libertà nel Paese.
Sono le misure più importanti di allentamento delle restrizioni anti-pandemia in vigore da quasi tre anni in Cina, annunciate stamane dal Consiglio di Stato.
Nei fatti è la prima vera sconfitta di Xi Jinping, a meno di due mesi dalla chiusura del 20° Congresso del Partito comunista cinese, che gli ha «riconosciuto» un terzo, storico mandato al potere. In quell’occasione il leader supremo difendeva ancora gli sforzi di azzeramento del COVID, in controtendenza con quanto accade nel resto del mondo, dove si è scelto (con successo) di convivere con il morbo: nel resoconto ufficiale di una riunione del Politburo tenuta ieri la sua politica «zero-COVID» non è neanche menzionata.
Osservatori parlano di aperture troppo timide per registrare un cambio deciso di direzione. Le autorità potrebbero reintrodurre le restrizioni in seguito ad aumenti del tasso di mortalità, delle situazioni critiche tra la popolazione anziana, e a problemi di gestione degli ospedali. Tutte sfide che il regime potrebbe vincere solo assicurando una efficace campagna di vaccinazione.
Solo un anno e mezzo fa, festeggiando il centenario del Partito, Xi esaltava la ripresa economica del Paese dalla crisi pandemica. Oggi massicce proteste di piazza contro i lockdown e la crisi economica lo hanno obbligato a una parziale marcia indietro, a rischio di perdere la faccia e uscire indebolito nelle dinamiche interne del PCC. Per rimanere al comando, Xi deve garantire risultati.
L’ondata di manifestazioni nel Paese è scoppiata dopo quelle avvenute a Urumqui, capitale della regione autonoma dello Xinjiang, in cui la popolazione chiedeva la fine della politica «zero-COVID» di Xi. Molti residenti hanno incolpato le autorità per la morte il 24 novembre di 10 persone a causa di un incendio in una palazzina: le draconiane misure anti-pandemia avrebbero ostacolato la loro fuga.
La Fondazione Wei Jingsheng, che fa capo al «padre della democrazia cinese», ora esule negli Usa, ha assegnato ai manifestanti «della Rivoluzione dei fogli bianchi» il suo premio 2022 ai campioni della democrazia in Cina.
Insieme a loro premiato anche Peng Lifa, autore di una clamorosa azione solitaria di protesta alla vigilia del 20° Congresso. Il 48enne originario dell’Heilongjiang aveva esposto su un ponte di Pechino striscioni critici di Xi: la sfida più plateale al regime dal movimento democratico di piazza Tiananmen del 1989.
La polizia ha arrestato subito Peng, diventato una star del web con i soprannomi di «uomo del ponte», «guerriero solitario» e «uomo coraggioso».
Secondo la Fondazione Wei Jingsheng, la sua protesta ha fatto da preludio ai tumulti dei giorni scorsi. Pochi giorni prima del suo atto dimostrativo, Peng aveva inviato all’organizzazione con sede negli Stati Uniti delle lettere che spiegavano la sua posizione.
Oltre a fornire soluzioni per il governo della Cina mentre invoca un’azione contro il «traditore» Xi, l’attivista sottolinea che i «nostri metodi fondamentali partono dalla non violenza e da proteste legali come scioperi nelle scuole e nei luoghi di lavoro, e suonare i clacson. Dobbiamo prima accendere la scintilla della libertà, per poter poi incendiare la prateria».
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Cina
Storie di utero in affitto in Cina
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.
Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.
Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.
La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.
Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.
L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.
Michael Cook
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Cina
Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico
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Cina
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen, la China Rare Earth Resources and Technology ha riferito che l’industria sta affrontando una «fase cruciale» a livello mondiale. La Cina continua a essere leader nell’estrazione e lavorazione dei minerali, ma le difficoltà dell’economia nazionale e la volontà degli altri Paesi di creare nuove catene di approvvigionamento stanno generando ricavi nettamente minori.
Nonostante gli sforzi da parte del governo cinese di dominare a livello mondiale il settore strategico delle terre rare, i ricavi e i profitti delle aziende che si occupano di estrazione e lavorazione di questi minerali essenziali per il mondo digitale hanno registrato una contrazione. Il conglomerato China Rare Earth Resources and Technology, di proprietà statale, ha comunicato un calo del fatturato del 5,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente, mentre l’utile netto è crollato del 45,7%.
I dati relativi al primo trimestre del 2024 sono ancora più gravi: il fatturato è sceso dell’81,9%, portando a una perdita netta di 288,76 milioni di yuan (meno di 40 milioni di dollari), contro un utile netto di 108,97 milioni di yuan nello stesso periodo dell’anno precedente. Anche altre aziende cinesi hanno riportato riduzioni del fatturato tra il 60% e il 79%, in linea con il generale rallentamento dell’economia nazionale.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen della settimana scorsa, la China Rare Earth Resources and Technology ha spiegato che il settore sta affrontando una «fase cruciale» caratterizzata da rapidi sviluppi e adattamenti strutturali su scala globale che hanno determinato un’erosione dei guadagni. In altre parole, nonostante la Cina resti di gran lunga il primo estrattore mondiale di terre rare, altri Paesi hanno cercato di costruire catene di approvvigionamento alternative.
Per alcuni tipi di minerali, nuove catene di approvvigionamento «sono già state create», ha proseguito il comunicato della China Rare Earth Resources and Technology, che ha affermato di aver attuato «aggiustamenti nella strategia di vendita», senza fornire ulteriori dettagli. Inoltre, un numero crescente di aziende cinesi ha importato minerali estratti all’estero (soprattutto dal Myanmar) a causa delle difficoltà economiche interne, e in particolare di un calo della domanda. Una situazione che non vede miglioramenti e potrebbe portare al «rischio» di un ulteriore calo di prezzi, ha sottolineato ancora la società.
I dati ufficiali delle dogane cinesi confermano tali affermazioni, secondo il Nikkei Asia: le importazioni di alcune terre rare sono aumentate di circa il 60% ed è stato rivisto il limite di estrazione delle terre rare, stabilito a livello nazionale, per consentire un aumento della produzione interna del 21%.
Le terre rare sono un gruppo di 17 minerali fondamentali per la produzione di una serie di tecnologie, che vanno dalle batterie delle auto elettriche alle turbine delle pale eoliche ai pannelli solari. Secondo i dati dell’US Geological Survey (USGS), le riserve mondiali di terre rare ammontano a 110 milioni di tonnellate, di cui il 40% si trovano in territorio cinese. Seguono poi, per estensione di giacimenti, il Myanmar, la Russia, l’India e l’Australia.
I dati dell’USGS mostrano anche che nel 2023 la Cina è stata responsabile dell’estrazione di 240mila tonnellate di terre rare, pari a circa due terzi della produzione globale. Gli Stati Uniti si sono piazzati al secondo posto, seguiti dal Myanmar, ed entrambi lo scorso anno hanno triplicato la produzione.
Negli ultimi anni la Cina è diventata leader del settore migliorando le proprie capacità di estrazione e lavorazione, ma anche ottenendo il controllo di diversi giacimenti in altre zone del mondo. Un’indagine della BBC ha individuato almeno 62 progetti destinati all’estrazione di litio, cobalto nichel o manganese (minerali necessari per la realizzazione di tecnologie verdi) in cui le aziende cinesi hanno una partecipazione.
La regolamentazione del settore a livello nazionale è iniziata nel 2010 e nel corso gli anni, a seguito di una serie di fusioni, sono state create quattro società principali, tra cui il gruppo China Rare Earth, controllato direttamente dal Consiglio di Stato cinese.
Anche il mese scorso il presidente Xi Jinping, durante una visita nell’Hunan una delle maggiori regioni produttrici, ha ribadito la necessità di «migliorare ulteriormente» lo sviluppo dell’utilizzo delle terre rare per generare una «crescita di alta qualità» e di fornire un «alto livello di sicurezza» alla nazione.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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