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Storia
Nazisti in Ucraina: la guerra, la propaganda, la cecità
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La propaganda rende ottusi. Sappiamo che i nazionalisti integralisti hanno commesso massacri abominevoli, in particolare durante la seconda guerra mondiale. Però ignoriamo quello che da trent’anni fanno alle nostre porte, in particolare la guerra civile che alimentano da otto anni. La nostra stupidità ci permette di tollerare le grida battagliere dei nostri responsabili politici schierati con questi criminali.
Quando sopraggiunge la guerra, sempre i governi ritengono necessario supportare il morale della popolazione inondandola di propaganda
La posta in gioco – la vita e la morte – è talmente elevata che il dibattito s’inasprisce e le posizioni estremiste mietono consensi. È esattamente ciò cui assistiamo in questo momento, o meglio è come stiamo cambiando. In questa partita le idee difese dagli uni e dagli altri non hanno alcun rapporto con i loro presupposti ideologici, ma con la contiguità al potere.
In senso etimologico la propaganda è l’arte di convincere, di diffondere delle idee. Nell’epoca moderna invece è un’arte che ricostruisce la realtà al fine di denigrare l’avversario ed esaltare le proprie schiere.
In Occidente si crede siano stati i nazisti o i sovietici a inventarla. Non è così: l’hanno inventata i britannici e gli statunitensi durante la prima guerra mondiale. (1)
Oggi le operazioni dal Centro di comunicazione strategica di Riga (Lettonia) (2) sono coordinate dalla nato , che individua i punti su cui agire e organizza programmi internazionali per condurre in porto i progetti.
Un esempio: la NATO ha individuato Israele come punto vulnerabile. L’ex primo ministro Benjamin Netanyahu era amico personale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky; il successore Naftali Bennett riconosce invece la fondatezza della politica della Russia. Ha persino consigliato agli ucraini di restituire Crimea e Donbass alla Russia e, soprattutto, di denazificare il Paese. L’attuale primo ministro, Yair Lapid, è più irresoluto: non vuole sostenere i nazionalisti integralisti, che durante la seconda guerra mondiale massacrarono un milione di ebrei, ma al tempo stesso vuole mantenere buoni rapporti con l’Occidente.
Per riportarlo sulla buona strada, la NATO cerca di convincere Israele che, se i russi vincessero, Tel Aviv perderebbe la propria posizione in Medio Oriente (3). A questo scopo diffonde il più estesamente possibile la menzogna che l’Iran sarebbe un alleato militare della Russia. La stampa internazionale continua a sostenere che i droni usati in Ucraina dai russi sono iraniani, e presto lo sarebbero anche i missili a media gittata. Eppure Mosca è in grado di fabbricare da sé queste armi e non le ha mai chieste all’Iran. Iran e Russia continuano a smentire le false affermazioni degli Occidentali, ma questi, appoggiandosi alla stampa invece che alla semplice riflessione, già hanno adottato sanzioni contro i commercianti di armi iraniani. Presto Yair Lapid, figlio del presidente del Memoriale Yad Vashem, sarà assediato e costretto a schierarsi con i criminali.
I britannici dal canto loro primeggiano tradizionalmente nella mobilitazione di media in rete e nel reclutamento di artisti. L’MI6 si appoggia a 150 agenzie di stampa che operano all’interno del PR Network (4). I britannici riescono così a convincere tutte queste agenzie a diffondere le proprie accuse e i propri slogan.
Sono i britannici ad aver convinto tutti dapprima che il presidente Vladimir Putin era moribondo, poi in preda alla follia, infine messo al muro da una forte opposizione interna che presto lo avrebbe rovesciato con un colpo di Stato.
Oggi l’attività prosegue con interviste incrociate di soldati in Ucraina. Si ascoltano soldati ucraini affermare di essere nazionalisti e soldati russi dire di aver paura ma di dover difendere la Russia. Si sente affermare che gli ucraini non sono nazisti e che i russi sono conculcati da una dittatura e costretti a combattere. I soldati ucraini non sono maggioritariamente nazionalisti, nel senso di difensori della patria: sono nazionalisti integralisti, nel senso attribuito al termine dai due poeti Charles Maurras e Dmytro Dontsov (6). Non è affatto la stessa cosa.
Fu solo nel 1925 che papa Pio XI condannò il nazionalismo integralista. All’epoca Dontsov aveva già scritto Націоналізм (Nazionalismo) (1921). Maurras e Dontsov definiscono la nazione come tradizione e concepiscono il proprio nazionalismo in contrapposizione ad altri (Maurras contro i tedeschi, Dontsov contro i russi). Entrambi detestano la Rivoluzione francese e i principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza e denunciano instancabilmente ebrei e massoni. Ritengono la religione utile alla società, ma personalmente sembrano agnostici. Posizioni che portarono Maurras a diventare sostenitore di Pétain e Dontsov di Hitler. Quest’ultimo sprofonderà in un delirio mistico variago (variaghi, vichinghi svedesi). Il papa successivo, Pio XII, abrogherà la condanna del predecessore appena prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Alla Liberazione, Maurras sarà condannato per complicità con i nemici (proprio lui che era germanofobo); Dontsov invece sarà recuperato dagli anglosassoni e mandato in esilio prima in Canada, poi negli Stati Uniti.
Quanto ai soldati russi che vediamo intervistati ai telegiornali, non ci stanno dicendo di essere obbligati a combattere, ma che, a differenza dei nazionalisti integralisti, non sono fanatici. La guerra per loro è sempre un orrore, anche quando difendono i compatrioti. Ne travisiamo il senso perché ci ripetono in modo martellante che la Russia è una dittatura. Non accettiamo che la Russia sia una democrazia perché siamo convinti che un regime autoritario non possa essere una democrazia. Eppure, per citare un esempio, la Seconda Repubblica francese (1848-1852) fu una democrazia e al tempo stesso un regime autoritario.
Ci lasciamo facilmente convincere perché non conosciamo la cultura e la storia ucraine. Al più sappiamo che la Novorossia fu governata da un aristocratico francese, Armand-Emmanuel du Plessis de Richelieu, amico personale dello zar Alessandro I, che amministrò nel solco del principe Grigori Potemkin, che voleva foggiare questa regione sul modello di Atene e Roma. Una vicenda storica che spiega perché ancora oggi la Novorossia è di cultura russa (non ucraina) senza tuttavia aver mai conosciuto la servitù della gleba.
Ignoriamo le atrocità commesse in Ucraina nel periodo fra le due guerre e durante la seconda guerra mondiale e abbiamo una vaga idea delle violenze dell’Unione Sovietica.
Ignoriamo che il teorico Dontsov e il discepolo Bandera non esitarono a massacrare chi non rispondeva ai canoni del loro nazionalismo integralista, innanzitutto, in questo Paese khazaro, gli ebrei, poi i russi e i comunisti, gli anarchici di Nestor Makhno e molti altri ancora. I nazionalisti integralisti, diventati ammiratori del Führer e profondamente razzisti, sono saliti sul proscenio con il crollo dell’URSS. (6)
Il 6 maggio 1995 il presidente Leonid Kuchma andò a Monaco, nei locali della CIA, per incontrare la donna a capo dei nazionalisti integralisti, Slava Stetsko, vedova del primo ministro nazista Yaroslav Stetsko. Eletta alla Verkhovna Rada (parlamento), senza poter sedervi perché decaduta dalla nazionalità ucraina. Un mese dopo l’Ucraina adottò la Costituzione ancora oggi in vigore, che all’art. 6 dispone che «è responsabilità dello Stato preservare il patrimonio genetico del popolo ucraino» (sic).
In seguito Slava Stetsko aprì per due volte la sessione della Rada, concludendo i suoi interventi al grido di guerra dei nazionalisti integralisti: «Gloria all’Ucraina!».
L’Ucraina moderna ha pazientemente costruito il proprio regime nazista. Dopo aver proclamato nella Costituzione la difesa del «patrimonio genetico del popolo ucraino», sono state promulgate diverse leggi analoghe.
La prima accorda la tutela dei Diritti dell’Uomo solo agli ucraini, escludendo ogni straniero. La seconda definisce cosa è la maggioranza degli ucraini; la terza, promulgata dal presidente Zelensky, decide chi sono le minoranze. La furbizia consiste nel fatto che queste leggi non menzionano i russofoni, quindi, per difetto, i tribunali non riconoscono loro il beneficio dei diritti dell’uomo.
Dal 2014 una guerra civile oppone i nazionalisti integralisti alle popolazioni russofone, principalmente quelle della Crimea e del Donbass. Dopo 20 mila morti, la Federazione di Russia, applicando la propria «responsabilità di proteggere», ha lanciato un’operazione militare speciale per attuare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza (Accordi di Minsk) e mettere fine al martirio dei russofoni.
La propaganda della NATO ci inonda con le reali sofferenze degli ucraini, ma ignora i precedenti otto anni di torture, uccisioni e massacri. Ci parla «dei valori che abbiamo in comune con l’Ucraina», ma che valori possiamo condividere con nazionalisti integralisti? E dov’è la democrazia in Ucraina?
Non siamo chiamati a scegliere gli uni o gli altri, solo a difendere la pace, quindi gli Accordi di Minsk e la risoluzione 2202.
La guerra ci fa perdere la testa. Così avviene un rovesciamento di valori e trionfano i più estremisti. Alcuni nostri ministri parlano di «asfissiare la Russia» (sic). Non ci accorgiamo di sostenere le idee contro le quali siamo convinti di combattere.
Thierry Meyssan
NOTE
1) «Le tecniche della propaganda militare moderna», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 18 maggio 2016.
2) «La campagna della NATO contro la libertà di espressione», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 7 dicembre 2016.
3) «Iran, Israele e la Russia», Voltaire attualità internazionale, n° 11, 21 ottobre 2022.
4) «La rete di propaganda di guerra anti-Russia», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 marzo 2022.
4) «L’ideologia dei banderisti», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 21 giugno 2022.
6) «Ucraina: la seconda guerra mondiale non è finita», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 aprile 2022.
Fonte: «La guerra, la propaganda, la cecità», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 ottobre 2022.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Intelligence
Gehlen, la superspia da Hitler alla CIA
«È legittimo usare Belzebù per scacciare Satana». Con questa semplice frase, veniva riassunto dal giornalista del New Republic in un articolo dell’aprile 1972, il particolare rapporto venutosi a creare tra i servizi statunitensi e l’intelligence tedesca dalla fine della guerra in avanti. L’uomo che fece da collante tra i due universi prima e dopo la conferenza di Potsdam fu Reinhard Gehlen (1902-1979) o anche conosciuto come la superspia di Hitler.
Iniziò la sua rapida ascesa nell’esercito tedesco sul fronte polacco del 1939. Successivamente prese parte allo staff del generale Franz Halder (1884-1972), comandante in capo del Comando Supremo dell’Esercito Tedesco e ne divenne in breve uno degli assistenti principali. Ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle operazioni in Grecia, Yugoslavia e Unione Sovietica e nella primavera del 1942 venne incaricato di gestire la FHO, Fremde Heere Ost, una nuova entità nata con lo scopo di ottenere informazioni sull’Armata Rossa e sul fronte orientale in generale.
Si ritrovò a lavorare molto vicino alla Abwehr di Willelhm Canaris (1887-1945), l’Intelligence tedesca nata dopo la fine della Grande Guerra e soppressa durante in seguito alla scoperta di un complotto ordito per assassinare Adolf Hitler (1889-1945). Il lavoro preparatorio svolto dalla Abwehr per l’operazione Barbarossa si rivelò essere approssimativo e concorse al disastro di Stalingrado. La fine dei servizi gestiti da Canaris lasciò la strada spalancata al giovanissimo Gehlen che a soli quarantanni si ritrovo in carico della gestione della nuova intelligence tedesca.
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Gehlen rinforzò immediatamente la struttura dei servizi portando professionisti in grado di studiare i nemici sovietici come mai prima era stato fatto. Prima di lui, la hybris della Abwehr sulla convinzione della superiorità ariana sopra quella slava non aveva mai permesso l’approfondimento perché considerato uno sporcarsi le mani ad un livello non consono. Gehlen, tra gli altri, assunse un antropologo, un esperto in slavistica, un geografo, un avvocato, con l’obiettivo di raccogliere più materiale possibile.
Gehlen si ritrovo ben due volte contro il favore di Hitler. La prima quando stilò un prospetto in cui dichiarava perso il fronte orientale e l’armata Rossa militarmente superiore a quella tedesca. La seconda volta quando il suo studio mostrava persa Berlino e proponeva come unico modo di difesa finale l’attivazione dei Werewolf, gruppi paramilitari nazisti che avrebbero dovuto operare in assetto di guerriglia dietro le linee. Con questo documento, nell’aprile 1945, Hitler lo depose con l’accusa di disfattismo.
Da quel momento in avanti, in anticipo sui tempi e sui suoi colleghi, cominciò la sua preparazione personale per il dopo guerra. Radunò, copiò in microfilm e sotterrò in diversi punti delle Alpi bavaresi oltre cinquanta barili stagni, colmi dell’archivio dell’intelligence tedesca. Si arrese agli americani e portato nel campo di concentramento Camp King, dichiarò che avrebbe potuto fornire informazioni fondamentali sull’Armata Rossa sovietica. Oltre ai documenti avrebbe potuto informare su dove si stesse nascondendo la maggioranza degli ufficiali nazisti in ottica di reclutamento per la causa anti comunista.
Nel mondo post conferenza di Potsdam del 2 agosto 1945, la presenza dell’intelligence dell’Asse nei paesi al di là della cortina di ferro era stata completamente azzerata. Gli unici ad avere ancora delle informazioni rimanevano i membri degli apparati nazisti. Gehlen stesso durante la corsa dell’Armata Rossa verso Berlino aveva impiantato una rete di agenti doppi dentro i futuri Paesi a influenza sovietica. In questa situazione di nebbia totale ma anche di grande sopravvalutazione delle forze sovietiche, venne considerato da Allen Dulles (1893.1969), il modo più veloce per recuperare una forma di presenza nell’Europa del dopoguerra. Bedell-Smith (1895-1961) a capo dell’ufficio di Berna in quel momento e futuro direttore della prima CIA, lo reclutò e lo spedì a Washington dove lavorò per formare quella che venne da quel momento chiamata la Gehlen Organization.
Il gruppo di persone, chiamato in seguito dei «realisti» e che comandò la politica estera statunitense per un quarto di secolo, lo portò subito dalla propria parte offrendogli, negli anni e in forma segreta, duecento milioni di dollari. Allen Dulles stesso, quando Gehlen ottenne di tornare in Germania per formare il BND, Bundesnachrichtendienst, i Servizi Segreti Federali, lo incensò con una buonuscita da duecento cinquantamila marchi come ricompensa per tutto ciò che aveva fatto per la CIA.
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L’organizzazione di Gehlen ottenne la vecchia dimora di Martin Bormann (1900-1945), ufficiale e primo consigliere di Hitler, a Pullach, nella Baviera meridionale, quale edificio da dove operare. Da questa base nascerà la BND, i servizi segreti della Germania Ovest, dentro la quale inserì tutti quegli ex SS e membri della Wermacht di sua preferenza. Uno dei ruoli principali di Gehlen, soprattutto grazie ai doppi agenti attivati nei Paesi dell’Est, fu quello di strutturare la rete Stay Behind o anche detta operazione Gladio, gruppi paramilitari coperti antisovietici, messa in piedi in tutta Europa
Una situazione simile accadde anche in Italia. James Jesus Angleton (1917-1987), a capo dell’ufficio italiano della OSS, organizzò la fuga di Valerio Junio Borghese (1906-1974) da Salò assieme all’archivio della SIM, il Servizio d’Informazione Militare italiano. In questo modo pose le basi, per incorporare nell’Italia del dopoguerra gli apparati dell’Intelligence fascista in funzione anti sovietica. Assieme a questo, il fratello maggiore di Reinhard, Johannes, fisico nucleare, venne messo a capo dell’ODEUM una sussidiaria della organizzazione del fratello. Roma divenne centro di diversi interessi e luogo per eccellenza di miscellaneo incontro di spie internazionali.
Nonostante l’impegno profuso da Allen Dulles per ottenere le informazioni sui sovietici attraverso Gehlen e il suo esercito di nazisti, le montagne di documenti e le migliaia di informazioni che la CIA ottenne e lavorò in quegli anni si rivelarono però quasi completamente inutili. Sempre secondo l’articolo del New Republic, la parte ancora più inquietante non fu tanto l’inutilità finale delle informazioni portate ma scoprire in seguito come la sua organizzazione fosse stata infiltrata fin dall’inizio dai Sovietici. Proprio Gehlen una volta in auge a Washington, indicò tra i migliori prospetti a disposizione proprio Igor Orlov (1923-1982), l’uomo che due decenni dopo venne scoperto essere la famigerata talpa «Sasha».
Lev Bezymenskij (1920-2007), giornalista e storico russo di base a Bonn, pubblicò una recensione del libro di memorie di Gehlen. Il russo racconta come la versione iniziale del libro non avendo molto brio e novità da raccontare a fronte di un anticipo dato a Gehlen di un milione e mezzo di marchi si decise in fase editoriale di arricchirlo. Venne inviato David Irving, un giornalista inglese esperto in materia di Seconda Guerra Mondiale che su aiuto di Gehlen stesso organizzò una serie di interviste nella casa del tedesco sulle rive del lago di Starnberg in Baviera. Quello che ne venne fuori, venne considerato altamente non pubblicabile. La versione americana venne mondata dagli aggiornamenti di Irving, una copia invece non si sa come finì tra i tipi dello Spiegel di Amburgo che non perse un secondo a pubblicarlo.
Oltre alla parte in cui si raccontava il fatto che l’organizzazione mantenesse il controllo anche sui fatti interni tedeschi, cosa assolutamente contro il suo senso formale di esistenza. Interessante era la parte in cui veniva spiegato come all’inizio degli anni Cinquanta, l’organizzazione tedesca avesse inviato diversi ufficiali in Egitto per tentare di infiltrare la polizia e i servizi egiziani senza riuscirci. Dopo questo tentativo decisero di puntare dunque sull’addestrare il Mossad ad inviare agenti doppi negli Emirati Arabi. Proprio Gehlen raccontò successivamente che Dulles e la CIA spinsero perché si prendessero in mano il Medio Oriente. In seguito alla guerra di Suez però, l’organizzazione, racconta sempre Gehlen, si concentrò solamente nell’addestrare il Mossad, l’appena nato, piccolo ma efficientissimo, servizio segreto israeliano, in modo da aiutare l’infiltrazione di spie nei Paesi arabi.
Marco Dolcetta Capuzzo
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Immagine di Bundesarchiv, Bild 183-27237-0001 via Wikimedia pubblicata su licenza CC-BY-SA 3.0; immagine modificata
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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha
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Intelligence
Le origini della CIA e la nascita delle operazioni coperte
Nel suo saggio storico Disciples lo scrittore e giornalista Douglas Waller racconta come Richard Helms (1913-2002), agente segreto e futuro direttore della CIA, spiegasse come la lega dei gentleman – come William J. «Wild Bill» Donovan (1883-1959) amava chiamarla – conteneva vari disadattati sociali e diversi annoiati uomini d’affari di Wall Street in cerca d’azione.
Secondo Helms probabilmente il servizio segreto americano OSS aveva avuto un minimo effetto sulla guerra, si sarebbe potuta vincere anche senza di esso ma nonostante questo Donovan aveva dato prova di essere un leader e un visionario. Il generale aveva avuto il merito di far conoscere il Pentagono e gli americani nel difficile mondo della guerra non convenzionale.
Con la fine della seconda guerra mondiale, il presidente Harry S. Truman (1884-1972) sciolse l’OSS. La battaglia per la gestione dell’Intelligence nel mondo tra Donovan e J. Edgar Hoover (1895-1972) si risolse in un pareggio a reti inviolate. Ne trasse vantaggio Allen W. Dulles (1893-1969) che inizialmente formò la parte più clandestina con l’aiuto di Frank Wisner (1909-1965) ed infine ne prese formale controllo diventandone direttore.
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Allen Dulles, assieme anche a suo fratello John Foster Dulles (1888-1959) che ricoprì parallelamente l’incarico di segretario di Stato con Dwight D. Eisenhower (1890-1966), concorse a determinare quasi due decenni di politica estera americana. La sua esperienza come spia però venne plasmata agli ordini di Donovan a capo dell’ufficio svizzero e come molti altri colleghi ebbe un rapporto difficile con Wild Bill nonostante la stima reciproca.
Un editorialista scrisse che Donovan aveva avuto una vita da cavaliere medievale, o forse quello che più poteva avvicinarsi per il mondo americano a quell’ideale romantico di stampo prettamente europeo. Scappato dalla povertà della comunità irlandese di Buffalo, visse gli anni del college come quarterback della squadra di football, si laureò alla Columbia in classe con Franklin Roosevelt (1882-1945), venne insignito della medaglia al valor militare per eroismo durante la Grande guerra e divenne miliardario come avvocato di Wall Street.
All’alba della seconda guerra mondiale Roosevelt gli diede l’incarico di formare i servizi segreti americani, quello che poi venne chiamato OSS. Sotto il suo comando assemblò una macchina da più di 10 mila spie, organizzazioni paramilitari, propagandisti e analisti che combatterono l’Asse ovunque nel mondo.
Donovan considerava Dulles, nell’immediato dopoguerra, la sua migliore spia. Ma allo stesso modo aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di poter gestire meglio l’OSS di quanto non stesse facendo lui, e non a torto. Inoltre Donovan aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di volergli prendere il posto prima o poi, e anche qui non a torto.
Allo stesso modo di Donovan, Dulles, era convinto che il fine giustificasse i mezzi ed era necessario violare le rigide strutture etiche della società per una giusta causa. Dulles reclutò le menti più brillanti, più idealiste, più avventurose d’America e le spedì in giro per il mondo a combattere il comunismo come Donovan aveva fatto per il nazismo qualche anno prima. Li accomunava lo stesso trasporto per le spericolate missioni clandestine e la stessa insofferenza per quelle che non reputavano interessanti. Nonostante non l’avrebbe mai ammesso, l’esperienza nell’OSS durante la guerra l’aveva formato per la vita.
Successivamente alla resa tedesca, Donovan mandò Dulles a Wiesbaden con l’ordine di gestire Germania, Svizzera, Austria e Cecoslovacchia. L’americano stabilì la sede centrale nella fabbrica della Henkell Trocken Champagne a Wiesbaden che, nonostante bombardata, oltre a mantenere attiva la produzione, aveva ancora le cantine sufficientemente gremite di spumante.
Dulles in Wiesbaden portò vari agenti dei servizi e organizzò un sistema di raccolta informazioni e di reclutamento di nuovi agenti esteri a tempo pieno. L’idea dell’americano era quella di mantenere l’intelligence in vita sotto al suo comando. Per questo si circondò di analisti come Arthur M. Schlesinger Jr. (1917-2007) all’epoca agente dell’OSS, vari agenti del controspionaggio e in più tutta una serie di ufficiali esperti in medicina, comunicazioni e amministrazione. Helms e Ides Van der Gracht gestivano la sezione spionaggio, dopo il rifiuto al ruolo di capo dell’intelligence di William J. Casey (1913-1987) la posizione venne affidata a Frank Wisner (1909-1965).
La conferenza di Potsdam nell’estate del 1945 sancì l’inizio della guerra fredda. La paranoia di Stalin sulla rinascita della Germania e delle elezioni libere nei Paesi dell’Est Europa andava di pari passo con la sua profonda sfiducia verso le mosse americane. Gli States non avrebbero potuto capire quel momento senza mantenere una presenza fissa in Europa. Berlino divenne il centro di gravità permanente dell’intelligence del dopoguerra e così da Wiesbaden l’ufficio venne traslocato nella capitale tedesca.
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Spiare i Russi divenne la priorità per tutta l’agenzia di Dulles a Berlino. Ma venne il giorno in cui Truman avvisò che sarebbe stata creata una nuova agenzia e che l’OSS sarebbe stata soppressa. I fondi a Berlino vennero tagliati e il morale allo stesso modo calò in maniera direttamente proporzionale al passare del tempo finché Dulles per primo non rassegnò le dimissioni e ritornò in America.
Allen Dulles ritornato alla sua carriera da avvocato non riuscì ad abbandonare l’entusiasmo per gli affari internazionali. Crebbe la sua vicinanza con Truman che gli offrì un ruolo da ambasciatore ma venne convinto dal fratello Foster a non accettare seguendo in questo modo la sua aspirazione maggiore. In seguito a un rapporto che scrisse per Truman dove delineò i problemi che stava avendo la CIA nella sua breve nuova vita, gli venne richiesto, in risposta, di gestire le operazioni clandestine.
Il passaggio successivo, dopo un breve periodo, divenne quello di ottenere il ruolo di vice direttore della CIA sotto il generale Walter Bedell Smith (1895-1961). La disciplina marziale richiesta ai suoi subordinati non si accostava al giovane Dulles con il quale nacquero diverse incomprensioni. Nel momento in cui Dwight Eisenhower divenne presidente, nominò sottosegretario il generale Bedell Smith sotto John Foster Dulles che divenne il nuovo segretario di stato.
La potenza di fuoco di John Foster consegnò in mano al fratello il ruolo tanto agognato di direttore della CIA. Bedell Smith, si oppose alla nomina di Dulles considerando la sua passione per le operazioni coperte nociva per l’agenzia e l’intera politica estera americana. Donovan, che si era speso moltissimo con «Ike» Eisenhower per ottenere la carica, allo stesso modo predisse che il suo sottoposto al tempo dell’OSS avrebbe mandato tutto all’aria.
Nonostante le gufate dei suoi ex colleghi, Allen assieme al fratello condussero per un’intera decade la politica estera americana fino all’ascesa politica di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza e al disastro della Baia dei Porci del 1962.
Marco Dolcetta Capuzzo
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