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Londra ha il suo primo premier induista. Con origini oscure e mondialiste

Londra ha il suo primo premier di religione non-cristiana. Rishi Sunak, il nuovo primo ministro britannico, ha passato anni a dire che vive il suo essere induista e indiano (cosa che troviamo non del tutto consona, ma va bene) in modo aperto. Non è esattamente così.
Sappiamo con certezza che quando è stato nominato Cancelliere dello Scacchiere – cioè ministro delle Finanze – sotto il governo Johnson, ha giurato non sulla Bibbia ma sulla Baghavad Gita, testo sacro indù.
Si tratta dell’uomo più ricco mai divenuto premier, con in linea teorica una fortuna superiore, hanno scritto, superiore a quella di re Carlo III: circa 800 milioni di sterline. Ha sposato la figlia del fondatore del colosso informatico Infosys NR Narayana Murthy, riccherrimo: l’azienda, la seconda società IT più grande in India e la 602ª al mondo secondo Forbes, è capitalizzata per 100 miliardi di dollari.
Tuttavia, i racconti che girano ci dicono che lui aveva già fatto fortuna da solo nell’altissima finanza. Sunak –come Draghi Monti e tanti altri – ha lavorato per la banca d’affari Goldman Sachs tra il 2001 e il 2004, nel ruolo di analista. Ha poi lavorato per la società di gestione di hedge fund Children’s Investment Fund Management, diventandone partner nel settembre 2006. Società interessante: un fondo nato con enormi ambizioni filantropiche, donando profitti migliorare la vita dei bambini che vivono in condizioni di povertà nei Paesi in via di sviluppo, cosa che lo ha reso nel tempo uno dei più grandi enti di beneficenza nel Regno Unito. Nell’annus horribilis 2008, il fondo subì perdite per il 43%. Il New York Times nel 2014 riporta che l’hedge fund stava terminando i legami con il suo braccio filantropico. Curiosità: al momento in cui in Italia qualche forza tentava di resistere all’ascesa di Renzi, il Corriere della Sera scrisse che The Children’s Fund era domiciliato nel medesimo edificio dell’hedge fund di Davide Serra, che all’epoca appoggiava il rampante rignanese apparendo anche fisicamente alle Leopolde.
Successivamente, avrebbe partecipato con colleghi californiani un nuovo fondo partito con 700 milioni di dollari di asset in gestione, di nome Theleme Partners. La parola «Theleme» richiama l’idea una francesizzazione della parola greca «Thelema», «volontà», un concetto di matrice neotestamentaria di cui si appropriò il noto mago parasatanista inglese Aleister Crowley: ma si tratta forse solo della nostra immaginazione.
Il fondo Theleme fu fondato dall’ex ufficiale di marina francese Patrick Degorce, fondatore a sua volta, assieme all’inglese Chris Hohn, di Children’s Fund, dove fu anche lì boss di Sunak. È interessante notare come il Degorce, due volte capo dell’attuale premier britannico, nel 2011 fu uno dei primi investitori in una piccola azienda farmaceutica chiamata Moderna, che all’epoca aveva circa dieci dipendenti. Il fine, disse, era la speranza di curare la moglie malata di cancro. Il 2011 è anche l’anno nel quale entra in Moderna come CEO un altro francese, Stephane Bancel, il quale fino ad allora era stato il CEO di BioMérieux, l’azienda di Lione che avrebbe poi costruito il famoso laboratorio di Wuhano.
Ma torniamo alle questioni apparentemente più superficiali, che appassionano i giornali e, con qualche ragione, il popolino subcontinentale.
«British Indian è la spunta che metto sul censimento, abbiamo una categoria per questo. Sono completamente britannico, questa è la mia casa e il mio Paese, ma la mia eredità religiosa e culturale è indiana, mia moglie è indiana. Sono aperto sull’essere un indù» aveva detto al Business Standard nel 2015. Il giornale scrive che il giovane finanziere e politico «fa notare, ad esempio, che non mangia carne di manzo “e non è mai stato un problema”».
Quindi, lato cultura indiana tutto OK?
Gli indiani si sono resi subito conto che qualcosa manca nel racconto dato ai giornali, ed è proprio il caso di parlare di elephant in the room. La casta. È illegale da decenni discriminare riguardo l’origine famigliare in India, tuttavia è impossibile trovare un indiano che non faccia menzione, anche solo come retaggio (nei casi, per esempio, dei convertiti al crisitanesimo, religione anti-casta per eccellenza) della propria storia famigliare.
È sospetto, per un indiano, non comunicare apertamente la propria casta. Per cui l’internet indiana è impazzita: di che casta è l’uomo appena divenuto a capo di una potenza nucleare terrestre?
L’Indian Herald scrive che potrebbe esserci un errore di spelling: «molti esperti di nomi indù credono che il nome corretto sia Sounak piuttosto che Sunak. In sanscrito, il nome Sunak è tradotto come “cane”, ma Sounak è il nome di un santo della mitologia indù. Sulle piattaforme dei social media, ci sono diverse discussioni sul nome del nuovo Primo Ministro britannico».
C’è solo un indizio forte: la ricchissima moglie è una bramina. Proviene, cioè dalla casta più alta, quella da cui in origine venivano i sacerdoti indù. I bramini sono noti per essere molto selettivi, e non solo per i matrimoni, cosa che li espone a non poche critiche di discriminazione da parte di certi indiani di altre caste. L’India è ancora un Paese largamente basato sul matrimonio combinato, che avviene all’interno della stessa casta o addirittura della stessa sotto-casta: tuttavia i love marriage, come li chiamano laggiù, pure esistono nel Paese moderno, e le antiche regole a questi quindi non si applicano.
Quindi: se è un bramino, perché lo nasconde? E se non lo è? Non sappiamo: i giornali indiani ammettono di non conoscere la casta del Rishi.
Il dubbio che può assalire è che venga da caste più basse, o addirittura da senza-casta, i paria, gli «intoccabili»…
Quindi abbiamo già una prima menzogna: non è vero che il neopremier vive apertamente la sua origine etnica, culturale e religiosa, come dice. Non sappiamo nulla di quale tipo di induismo segua, cosa che potrebbe aiutare molto a leggere il suo modo di condurre il Regno nei prossimi mesi o anni.
Da un punto di vista occidentale, non ha nulla di cui vergognarsi: nato a Southampton nel 1980, è figlio di un medico e di una farmacista. Entrambe i rami materni e paterni della famiglia vengono dal Punjab, ma attraverso l’Africa, dove i genitori sono cresciuti nelle Colonie e Protettorati britannici in Kenya e Tanganica (oggi Tanzania): fedeli servitori indiani della corona di Londra.
Tuttavia, da un punto di vista indiano, c’è questo buco piuttosto significativo. La casta mai rivelata.
Non è la sola cosa che ci dà da pensare. Renovatio 21 vuole dirigere l’attenzione dei suoi lettori su un altro dettaglio che pochi altri vi faranno notare.
Il Sunak ha studiato a Oxford, come possiamo immaginare, e poi a Stanford, in California, come può capitare con i papaveri della sua generazione, da Chelsea Clinton in giù. Ma è interessante sapere che nella prestigiosa università privata della Silicon Valley Rishi è arrivato con una borsa di studio Fulbright.
Il Fulbright program è un enorme piano di borse di studio di cui posson beneficiare studenti di tutto il mondo. Una sorta di sistema di scambio culturale concepito su scala globale. Il fondatore del programma è il senatore americano James William Fulbright (1905-1995), considerato dai critici come «il Mahatma dei socialisti ed internazionalisti americani». Il Fulbright fu poi con ogni evidenza mentore e protettore di un astro politico nascente proveniente dal suo stesso stato, l’Arkansas: Bill Clinton.
In molti vedono nella dottrina Clinton, che qualcuno ribattezzò come «l’Ulivo mondiale», una diligente continuazione del pensiero politico mondiale di Fulbright. E proprio per facilitare il raggiungimento di siffatte mete globaliste, è evidentemente stato costituito questo fondo miliardario che promuove studenti da tutto il mondo, compresa certamente l’Italia, dove è attiva la U.S.-Italy Fulbright Commission, ente bilaterale che è emanazione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America (cioè il Ministero degli Esteri statunitense, che svolge, oltre che compiti di assistenza agli americani espatriati anche precisi compiti di Intelligence presso i paesi stranieri) e della Direzione generale per la promozione del sistema paese del Ministero degli Affari Esteri italiano.
È molto istruttivo gettare uno sguardo sulla lista dei borsisti italiani. Vi sono, tra gli altri, l’ex primo ministro socialista Giuliano Amato, l’ex primo ministro Lamberto Dini, l’economista ex membro del comitato esecutivo della BCE Lorenzo Bini Smaghi, l’ex divulgatrice ateista Margherita Hack, il banchiere ex ministro Corrado Passera, il potente diplomatico Umberto Vattani, la deputata montian-piddina Irene Tinagli, il giornalista americanista Gianni Riotta, il bestsellerista Umberto Eco, lo storico dell’ebraismo Paolo Bernardini, il giornalista affiliato alla Loggia Massonica P2 Roberto Gervaso, l’ex deputato catto-montiano Pier Luigi Gigli, il banchiere ex ministro Corrado Passera, e ancora Marcello Pera, Federico Zeri, Lamberto Dini . Nel listone, tra i nomi inaspettati come quelli dell’artista Mimmo Rotella o del Nobel Carlo Rubbia, scorgiamo anche il nome del professore Ugo Mattei.
Sulla Fulbright, questa borsa di studio che aiuta gli studenti ad avere una maggiore consapevolezza del contesto globale, nessuno ha fatto davvero qualche pensiero cattivo – questo a differenza della borsa di studio Rhodes, un programma simile, si sprecano i commenti, compreso quello di Mel Gibson che nel 1995 dichiarò alla rivista Playboy che essa era solo un veicolo per imporre «un nuovo ordine mondiale» di stampo marxista.
Eppure, da qualche parte, ad un certo punto, qualcuno avanzò l’idea che anche il fine del programma Fulbright non fosse completamente innocente. A far suonare il campanello d’allarme fu – guarda caso – proprio il paese che più di tutti ebbe attriti, finanche bellici, con l’«Ulivo mondiale» retto dal fulbrightiano Clinton: la Yugoslavia.
Nell’aprile 1995 compare presso il quotidiano di Belgrado Politika Ekspres un articolo dal titolo «Il Network Fulbright – la Fondazione Scientifica Americana come sponsor di una guerra speciale contro la Repubblica Federale di Yugoslavia». L’occhiello è ancora più chiaro: «Un corso di spie». Nel pezzo l’autore, tale A. Vojvodić rileva come i servizi segreti yugoslavi sapessero dall’inizio che il programma Fulbright fosse un «affare dubbio» e che gli agenti di Belgrado «tentarono di dimostrare agli organi competenti dello Stato che tra gli studenti Fulbright vi fossero alcuni che poi vennero indottrinati con la politica Occidentale e con la filosofia del Nuovo Ordine Mondiale».
Anche l’allora direttore dei Servizi yugoslavi Obren Đorđević (1927-1997) in un testo uscito in Yugoslavia nel 1986 e chiamato Leksikon bezbednosti («Lessico della sicurezza») metteva in guardia contro i «possibili rischi e abusi» del programma Fulbright. Il quotidiano yugoslavo prosegue con una lista di studenti Fulbright: vi sono, oltre che poeti e sociologi, anche diversi fisici nucleari e ingegneri di tecnologia militare. Vi sono, anche qui, scrittori, registi, direttori di museo, storici, politici.
«La loro intelligenza sociale può essere usata molto più efficacemente nel loro stesso paese [in questo caso, La Repubblica socialista federale di Yugoslavia, ndr] specialmente quando essi non abbiano cambiato il proprio impegno politico» dice Vojdović, disegnando così un vero e proprio quadro di infiltrazione: persone che continuano a dirsi socialiste (o cattoliche…) ma in realtà perseguono un’altra agenda.
Si dirà, quella dei Serbi era una tardiva paranoia da Guerra Fredda, una reazione americanofoba stressata dai bombardamenti.
Questo è certamente un modo di vederlo. I serbi, come Putin, so’ pazzi – è un pattern psicologico slavo, eccerto.
Poi però, ti sale alla mente un film di Roman Polanski, Ghost Writer, dove tutto un oscuro network americano viene svelato dietro ad un problematico primo ministro britannico, che di fatto ne è solo una marionetta nemmeno troppo consapevole.
La pellicola, come il romanzo di Robert Harris da cui era tratta, sembra indicare senza far nomi un caso preciso, che con ogni evidenza potrebbe essere quello del premier che appoggiò le guerre americane in Iraq e in Afghanistan.
Ora la guerra che Albione deve appoggiare, o financo provocare, non è contro Paesi islamici del Terzo Mondo: è contro la prima superpotenza nucleare globale, la Russia. Un antico nemico di Londra…
Il lettore può capire, ora, perché l’oscuro induista sia stato piazzato lì. E, probabilmente, cosa farà: magari un diluvio di fiamme termonucleari sul mondo non è nemmeno incompatibile con un suo eventuale credo shivaita, ma della sua religione, contrariamente a quanto dice lui e a quanto ripetono i giornali, non sappiamo nulla.
Ci viene in mente uno strano racconto della storia recente, quello del fisico atomico Robert Oppenheimer, che assistette alla prima esplosione atomica della storia ad Alamogordo, nel Nuovo Messico.
Davanti alla visione della potenza dell’atomo, dice Oppenheimer, gli spettatori reagirono in vari modi.
«Sapevamo che il mondo non sarebbe stato lo stesso. Alcune persone ridevano, alcune persone piangevano, la maggior parte delle persone rimaneva in silenzio. Ho ricordato il verso delle scritture indù, la Bhagavad-Gita. Vishnu sta cercando di persuadere il principe che dovrebbe fare il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma multi-armata e dice: “Ora, sono diventato la Morte, il distruttore di mondi”. Suppongo che tutti lo pensassimo in un modo o nell’altro».
Coincidenza: Sunak, come avete letto sopra, ha giurato proprio sulla Bhagavad-Gita.
Pregate il Dio della Bibbia che quel verso induista ricordato da Oppenheimer non si realizzi sopra le vostre città. Perché non è escluso che Sunak lo abbiano messo lì proprio per quello.
Roberto Dal Bosco
Immagine di HM Treasury via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0)
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Trump conferma l’autorizzazione delle operazioni della CIA in Venezuela

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha confermato di aver autorizzato operazioni della CIA in territorio venezuelano. Lo riporta il New York Times.
Secondo il quotidiano neoeboraceno, la decisione consentirebbe agli agenti dell’intelligence di condurre operazioni letali contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro, accusato dall’amministrazione Trump di gestire cartelli «narco-terroristici» e di inondare gli Stati Uniti con cocaina e fentanyl.
Durante un incontro nello Studio Ovale, un giornalista ha chiesto a Trump: «Perché hai autorizzato la CIA a operare in Venezuela?»
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«Ho dato il via libera per due ragioni, in realtà», ha risposto Trump. «Primo, loro [il Venezuela] hanno svuotato le loro carceri mandando i detenuti negli Stati Uniti».
«L’altro problema sono le droghe. Dal Venezuela arriva una grande quantità di droga, molta della quale via mare, ma la fermeremo anche via terra», ha aggiunto.
Trump ha evitato di specificare se la CIA abbia l’autorizzazione a «eliminare Maduro».
«Non voglio rispondere a una domanda simile. Non sarebbe assurdo per me farlo?», ha dichiarato. Durante il suo primo mandato, Trump ha imposto dure sanzioni al Venezuela e di recente ha aumentato a 50 milioni di dollari la ricompensa per informazioni che portino all’arresto di Maduro.
Come riportato da Renovatio 21, Stati Uniti hanno schierato una flotta navale nei Caraibi orientali e, da settembre, hanno distrutto almeno cinque imbarcazioni sospettate di contrabbandare droga dal Venezuela.
Maduro ha smentito le accuse di collaborare con i cartelli e ha accusato gli Stati Uniti di volerlo destituire, sottolineando che l’esercito venezuelano è pronto a contrastare un’eventuale invasione.
Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione washingtoniana ha rotto le relazioni diplomatiche con Caracas, che a sua volta ha avvertito della possibilità di attacchi da parte di estremisti contro l’ambasciata.
Secondo il NYT negli scorsi mesi Maduro avrebbe fatto ampie concessioni economiche agli USA, che epperò sarebbero fermi sull’idea che il presidente venezuelano lasci l’incarico.
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Il Venezuela ha denunziato voli «illegali» di caccia F-35 americani nei suoi spazi aerei negli ultimi giorni. Si moltiplicano intanto le notizie di preparativi di ulteriore attacchi al narcotraffico venezuelano, con minaccia diretta di Trump agli aerei di Caracas che avevano sorvolato una nave da guerra USA mandata nell’area.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Trump ha dichiarato che «gli attacchi degli Stati Uniti alle imbarcazioni venezuelane sono un atto di gentilezza» e che il Paese è in «conflitto armato» con i cartelli della droga.
Secondo alcuni analisti, la nuova «guerra alla droga» altro non è che una copertura della riattivata Dottrina Monroe, che prevede l’egemonia assoluta degli USA sul suo emisfero – qualcosa del resto di detto apertamente quando si parla della cosiddetta «difesa emisferica» dell’amministrazione Trump, con varie opzioni di annessioni di Panama, Groenlandia, Canada, e perfino il Messico.
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Immagine screenshot da Twitter
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Il vertice del KGB bielorusso parla dei colloqui con gli USA

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La Danimarca vuole vietare i social agli adolescenti

Il governo danese ha annunciato l’intenzione di vietare l’uso di diverse piattaforme di social media ai minori di 15 anni, come dichiarato dal primo ministro Mette Frederiksen.
Nel suo discorso al parlamento di martedì, Frederiksen ha espresso preoccupazione per l’impatto dei social media sui giovani. «I telefoni cellulari… stanno rubando l’infanzia dei nostri figli», ha affermato, aggiungendo che «abbiamo scatenato un mostro», notando che quasi tutti gli studenti danesi di seconda media, generalmente tra i 13 e i 14 anni, possiedono già un cellulare.
Tuttavia, il primo ministro non ha fornito dettagli specifici sul divieto proposto, né su come sarà implementato o quali piattaforme saranno coinvolte.
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La decisione arriva in concomitanza con un rapporto sul benessere commissionato dal governo, che ha rivelato che il 94% dei giovani danesi aveva un profilo sui social media prima dei 13 anni, nonostante le restrizioni sull’età minima di molte piattaforme. Il rapporto ha anche evidenziato che i bambini tra i 9 e i 14 anni trascorrono in media circa tre ore al giorno su TikTok e YouTube.
Un rapporto del 2025 dell’Autorità danese per la concorrenza e i consumatori ha mostrato che il 10% dei giovani utenti spesso si pente del tempo trascorso online, il 21% ha difficoltà a disconnettersi e il 29% supera il tempo che intendeva dedicare alle piattaforme preferite.
Secondo Statista, nel 2024 Facebook è rimasto il social network più utilizzato in Danimarca, con l’83% della popolazione, seguito da Instagram al 65%, Snapchat al 51% e TikTok al 34%.
Nel 2024, un’iniziativa popolare, sostenuta da 50.000 firme, ha proposto di vietare TikTok, Snapchat e Instagram ai minori. A febbraio, seguendo le raccomandazioni della Commissione per il benessere, la Danimarca ha introdotto misure per vietare i telefoni cellulari nelle scuole.
Come riportato da Renovatio 21, uno studio emerso pochi mesi fa prova che i social danneggiano soprattutto il sonno e la salute mentale delle bambine.
Uno studio sui comportamenti salutari nei bambini in età scolare, supportato dall’OMS, ha rilevato che nel 2022 l’11% degli adolescenti in Europa, Asia centrale e Canada ha riportato un uso problematico dei social media, in netto aumento rispetto al 7% del 2018. Questo comportamento simile alla dipendenza, caratterizzato da perdita di controllo, sintomi di astinenza e conseguenze negative sulla vita, era più comune tra le ragazze (13%) rispetto ai ragazzi (9%).
Come riportato da Renovatio 21, vari studi hanno mostrato che gli smartfoni sono collegati ad ansia e depressione negli adolescenti.
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Come riportato da Renovatio 21, in questi ultimi mesi sono stati condotti anche studi sulla confisca degli smartphoni a giovani con personalità narcissitica.
Come riportato da Renovatio 21, un altro studio sul tema di pochi anni fa spiegava che il tempo che trascorriamo sul telefono potrebbe minacciare la nostra salute a lungo termine. Un numero crescente di prove suggerisce che il tempo che passiamo sui nostri smartphone interferisce con il sonno, autostima, relazioni, memoria, capacità di attenzione, creatività, produttività e capacità di risoluzione dei problemi e decisionali.
Uno studio condotto dall’autorità governativa di regolamentazione delle comunicazioni nel Regno Unito ha rilevato che un quarto dei bambini di soli 3-4 anni possiede uno smartphone.
Vi è da considerare anche il problema del tracciamento delle attività dei ragazzi, perché lo spionaggio permesso alle app è, secondo CHD, di «scala scioccante».
Curiosamente, anche il governo italiano ha definito lo smartphone per gli studenti come una droga «non diversa dalla cocaina».
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