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Vaccini

Hanno mentito sui vaccini. Ma perché?

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La Commissione che indaga sul COVID-19 al Parlamento Europeo ha scoperchiato una questione che milioni di cittadini si erano posti fin dal prima ora della campagna vaccinale.

 

«Sui vaccini hanno sempre mentito» ha giustamente titolato La Verità del 13 Ottobre.

 

Il giornale milanese ricostruisce quanto accaduto.

 

«Gli onorevoli di stanza a Bruxelles volevano conoscere il contenuto dei negoziati confidenziali intercorsi tra la presidente della commissione UE e i vertici della multinazionale del farmaco. In particolare, da Bourla si attendevano la consegna degli sms che lui e Ursula von der Leyen si sono scambiati durante le trattative per la fornitura di un lotto da 1,8 miliardi di dosi vaccinali e che la presidente UE dice di aver – guarda caso – inavvertitamente cancellato. Vi chiedete perché gli eurodeputati vogliono ficcare il naso nella corrispondenza privata tra il manager multimilionario e la presidente UE? A causa della secretazione degli atti della maxi-fornitura»

 

«Già, il colossale affare gestito dalla Ue è coperto da segreto e dunque l’unico modo per conoscere che cosa sia stato pattuito è scoprirlo tramite i messaggi riservati che il vertice della multinazionale si è scambiato con quello dell’Unione. Però, come detto, il numero uno della Pfizer si è sfilato con una scusa, declinando l’invito a sedersi sulla poltrona scottante in veste di “audito”, evidentemente per evitare domande scomode» scrive il giornale di Maurizio Belpietro.

 

«Dunque, per non dare la sensazione di avere molto da nascondere, Bourla ha mandato una sua sottoposta, appunto Janine Small che, per dirla tutta, è la capa dell’area commerciale di Pfizer e non proprio l’usciere della casa farmaceutica, ma per lo meno non scambia SMS con la Von der Leyen. Ma, venendo al dunque, che cosa ha detto la top manager? Incalzata da Rob Roos, onorevole olandese che fa parte del gruppo conservatore del Parlamento Europeo, la vice Bourla si è lasciata sfuggire che il vaccino non è mai stato testato come strumento per impedire la trasmissione del virus».

 

«Il deputato, a un certo punto della deposizione, le ha fatto una domanda precisa che non lasciava scappatoie, chiedendole se il siero fosse stato sperimentato, e dunque ritenuto efficace, per fermare la trasmissione del COVID prima della sua immissione sul mercato. La Small, in chiara difficoltà, ha ammesso con un secco no, che nessun test era stato effettuato in tal senso e poi, dopo aver ridacchiato, si è giustificata dicendo che «noi», cioè la Pfizer, «dovevamo muoverci alla velocità della scienza».

 

 

L’ammissione per bocca di Pfizer è devastante: hanno approvato un farmaco sperimentale e avviato una campagna vaccinale mondiale senza sapere se il farmaco funzionasse per contrastare i contagi.



Fermiamoci un attimo a pensare. Non solo hanno avviato una campagna vaccinale mondiale usando un farmaco di cui non si conoscono gli effetti avversi nel medio-lungo termine. E di cui forse stanno pure nascondendo gli effetti avversi nel breve-medio termine (vedasi il boom di malori e il misterioso aumento della mortalità under 40).



No, la vicenda è ancora più oscura: infatti ora Pfizer (tramite Janine Small)  ammette  che si sono presi questo rischio nemmeno sapendo se ne potesse almeno valerne la pena in vista di benefici certi. In sostanza, non sapevano (e non sanno tutt’ora) se i farmaci mRNA avranno effetti avversi in futuro, ma – per loro ammissione – non sapevano nemmeno se servissero per impedire il contagio.

 

Nei mesi successivi si è poi scoperto che i vaccini mRNA non servivano per bloccare i contagi e che, anzi, dopo un certo periodo dalla inoculazione il vaccinato diventa più contagioso dei non vaccinati. Di qui la necessità di fare i richiami (i famosi booster).



Su Renovatio 21 siamo stati tra i primi – anche rispetto alla stampa internazionale – a rilevare tutto questo.

 

Per accorgersene non serviva studiare i dati sanitari in compagnia di Einstein e Von Neumann, era sufficiente leggereli pubblicati dai ministeri della salute occidentali. Dopodiché, bastava applicare le proporzioni matematiche, argomento delle scuole medie. Giova ripeterlo ogni volta che si vedono premi Nobel fare spot televisivi a favore della campagna vaccinale.

 

L’ammissione che iniziarono nel  dicembre 2020 una campagna vaccinale globale senza sapere se il farmaco sperimentale servisse almeno per impedire il contagio è imbarazzante e provoca arrampicate sugli specchi altrettanto imbarazzanti dei sedicenti fact-checker.

 

Ad esempio, su Open del 12 ottobre si giocano la tipica «supercazzola» e sostengono che la parlamentare belga Rob Roos «non sa a cosa servono i vaccini».

 

Open dice che si tratta di «ovvietà» e ci mette pure un link. Peccato che in questo studio uscito nell’aprile del 2021 a cui fa riferimento Open a noi sembra dimostri l’opposto.

 

Qui Open cita un suo stesso articolo del 25 aprile del 2021 dove loro stessi scrivevano:

 

«Allora possiamo affermare che i vaccini approvati da EMA hanno mostrato di saper impedire anche la trasmissione del virus? No, ma è quanto si spera che salti fuori in studi epidemiologici più ampi».

 

In pratica i sedicenti fact-checker di Open vanno oltre all’autogol. Proprio Open ci confermava ad aprile 2021 che non si sapeva ancora se i vaccini avessero qualche utilità consistente contro i contagi. Erano loro stessi a scriverlo candidamente.

 

Dopotutto, effettivamente, il governo inglese iniziò a porsi il problema dell’utilità vaccini rispetto ai contagi soltanto a maggio del 2021 e iniziò contestualmente a pubblicare i report che qui su Renovatio 21 abbiamo poi sempre usato. Ma a maggio 2021 la campagna vaccinale inglese era iniziata da 6 mesi; anzi, diciamo bene, era quasi già terminata!

 

Ora, qui arrivano le domande inquietanti.

 

La campagna vaccinale era, appunto, già iniziata a dicembre 2020. Domandiamoci, è verosimile che i produttori dei farmaci sperimentali  e i governi committenti non si chiedessero se i vaccini servissero per contrastare i contagi?

 

Chiediamo: quando le case farmaceutiche come AstraZeneca, Moderna e Pfizer avevano predisposto nel 2020 i gruppi di controllo per verificare se i vaccini servissero per abbassare gli effetti gravi del COVID,  non avrebbero semplicemente potuto (e dovuto) predisporre dei tamponi periodici sui gruppi di controllo per verificare se i vaccini servissero anche ad abbattere i contagi e in che misura?

 

Di questo banalissimo monitoraggio nei trial che pubblicarono da novembre 2020 non ci pare esservi traccia.

 

Siccome i tamponi erano oltretutto prassi quotidiana da mesi per tutti i cittadini, il fatto che nei trial nessuno abbia predisposto uno screening con tamponi sui gruppi di controllo è credibile?

 

Sarebbe incredibile perché andrebbe oltre ogni possibile dilettantismo scientifico. Ma se così fosse, è possibile parlare di dilettantismo se abbiamo di fronte l’intero apparto sanitario del G7 unito a multinazionali biotech miliardarie? Non ci sembra credibile.

 

D’altra parte, se avessero voluto dimostrare che i vaccini servivano a eliminare i contagi sui gruppi di controllo, avrebbero avuto un argomento formidabile, incontrovertibile per imporre l’obbligo vaccinale totale. Si tratta tuttavia dell’unico argomento – che comunque, come ricorda l’eurodeputato Ross, hanno usato comunque ad abundantiam per imporre green pass e passaporti vaccinali.

 

Qualcuno a questo punto si può chiedere quindi se già fosse stato scoperto che i vaccini non impedivano i contagi sui gruppi di controllo. A noi la cosa non è nota. Tuttavia siamo certi vi siano in giro maliziosi disposti a fare il cattivo pensiero che tali dati siano stati omessi.

 

Alla storia rimane che incredibilmente paiono aver cominciato a porsi la questione solo dopo 6 mesi che ormai l’80% della popolazione era vaccinato. Incredibile. Letteralmente: non credibile.

 

Ma non basta. Perché a questo punto le domande inquietanti aumentano. Domandiamo: se hanno verosimilmente sempre saputo che i vaccini non servono per eliminare i contagi, per quale motivo hanno obbligato «grandi e piccini» a farsi iniettare il siero?



Qui –l’attenzione deve farsi massima – subentra il solito malizioso con un pensiero irricevibile: «è perché volevano obbligare tutti a sottomettersi al green pass?» domanda il complottista.



In altri termini: hanno omesso o fatto finta di non avere indagato circa l’utilità dei vaccini nel contrasto ai contagi?

 

Non è che ci hanno condotto alla piattaforma di controllo verde con la scusa del contenimento dei contagi, di cui però sapevano l’inutilità?

 

Ancora: tutto questo era già noto a luglio 2021, quando il governo italiano introduceva l’obbligo secondo la logica draghista «non ti vaccini, contagi gli altri e muoiono»?

 

Abbiano dei dubbi anche su questa teoria.

 

Il green pass non può essere il fine ultimo: perché se avessero voluto imporre l’identità digitale via certificato vaccinale elettronico  non avrebbero inflitto alle masse un farmaco sperimentale mRNO: avrebbero potuto inventarsi dei sieri contenenti acqua fresca, o fare dei vaccini tradizionali in supervelocità, come hanno fatto i cinesi.

 

A quel punto, le resistenze di molti oppositori  alla vaccinazione sarebbero state probabilmente meno. Milioni di persone che hanno perso il lavoro per evitare la vaccinazione, si sarebbero magari sottomesse al ricatto dell’indentità digitale se – si fosse trattato di un normale siero  anti-influenzale. Io stesso ho speso migliaia di euro in cause legali per evitare a mio figlio la vaccinazione mRNA, ma non lo avrei fatto se lo avessero obbligato a farsi l’antitetanica; per un motivo molto semplice: purtroppo come milioni di miei connazionali non ho risorse economiche da spendere per questioni di principio contro le prevaricazioni dello Stato.

 

Rebus sic stantibus, lasciamo il lettore con un’osservazione importante. Se si ripercorre la storia di questa campagna vaccinale occidentale, si osserva che sono stati di fatto ridotti – anche sui mass media – tutti quei sieri che non erano mRNA.

 

I giornali hanno subito pacificamente riconosciuto l’esistenza di effetti collaterali o di inefficacia, ma soltanto quelli dei vaccini non mRNA, quali AstraZeneza, Johnson e Novavax. Per non parlare del vaccino italiano, il Reithera, che non è mai stato terminato.

 

A sintonizzarsi sulla narrativa mainstream, la campagna vaccinale mondiale ha lasciato in circolazione praticamente soltanto i sieri mRNA di Moderna e di Pfizer.

 

A che pro hanno quindi imposto a tutti la vaccinazione con farmaci mRNA, se verosimilmente sapevano in partenza che non servivano nemmeno per contenere i contagi e se da luglio 2021 potrebbero aver saputo che non era efficace contro i contagi?

 

Perché –per qualche motivo – volevano che tutti ricevessero un siero specificamente a base mRNA?

 

È pensabile che il fine non fosse il green pass, bensì la somministrazione a tappeto del mRNA? Il Green Pass era il mezzo di pressione per somministrare a tutti un farmaco a RNA messaggero?

 

I motivi di una tale operazione, ovviamente, ci sarebbero ignoti.

 

Lo scopo poteva essere la sperimentazione di massa della tecnologia mRna? Purtroppo non sembra razionale come risposta: perché – anche assumendo il piano di lanciare una sperimentazione di massa della tecnologia mRna – gli sarebbe bastato vaccinare il 20 % della popolazione per avere i numeri sufficienti a un trial di massa. Mentre hanno insistito per raggiungere quasi il 90% della popolazione, neonati inclusi.

 

In conclusione, l’ammissione da parte di Pfizer che sia stata lanciata una marchiatura obbligatoria per ricevere farmaci sperimentali mRNA di cui era in partenza ignota (o nota, ma taciuta) l’inefficacia, solleva delle ombre che vanno oltre la portata di quanto sia attualmente nel campo visivo.

 

E non lascia presagire nulla di buono.

 

 

Gian Battista Airaghi

 

 

 

Le opinioni di questo articolo potrebbero non corrispondere con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

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Epidemie

Epidemia di morbillo riaccende il dibattito sul vaccino MPR

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

I funzionari sanitari della Carolina del Sud hanno lanciato l’allarme questa settimana: un’epidemia di morbillo, che colpisce principalmente i bambini, sta «accelerando». Hanno attribuito l’aumento dei casi alla crescente esitazione vaccinale. Alcuni organi di informazione hanno puntato il dito contro la politica sanitaria federale, e in particolare contro il segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr. – un collegamento che alcuni medici e scienziati hanno respinto.

 

Questa settimana, i funzionari sanitari della Carolina del Sud hanno lanciato l’allarme: un’epidemia di morbillo, che colpisce soprattutto i bambini, sta “accelerando”. Hanno attribuito l’aumento dei casi alla crescente esitazione nei confronti dei vaccini.

 

Alcuni organi di informazione hanno puntato il dito contro la politica sanitaria federale, e in particolare contro il Segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr., un collegamento che alcuni esperti hanno respinto.

 

Emily G. Hilliard, addetta stampa del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS), ha dichiarato a The Defender che sono stati segnalati 120 casi nella Carolina del Sud, «principalmente in una comunità sotto-vaccinata, di cui 43 segnalati dal 5 dicembre».

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Il Washington Post ha citato la dottoressa Linda Bell, epidemiologa del Dipartimento della Salute Pubblica della Carolina del Sud (DPH), la quale ha affermato che dei 111 casi di morbillo segnalati mercoledì, 105 persone non erano vaccinate e tre erano parzialmente vaccinate.

 

Il DPH ha riferito che 254 persone sono in quarantena e 16 in isolamento.

 

Mercoledì, durante una conferenza stampa, Bell ha affermato che «accelerazione è il termine più appropriato» per riferirsi alla traiettoria dell’attuale epidemia. Ha aggiunto che lo Stato ha una copertura vaccinale MPR (morbillo-parotite-rosolia) «inferiore alle aspettative».

 

Hilliard ha affermato che l’aumento dei casi recenti nella Carolina del Sud «è dovuto alle esposizioni avvenute durante grandi raduni religiosi tra comunità sotto-vaccinate e nelle scuole, tra cui una scuola internazionale a Greenville, nella Carolina del Sud». Ha aggiunto che si prevedono altri casi nella prossima settimana.

 

Secondo il DPH, 16 casi sono stati causati dall’esposizione alla chiesa Way of Truth di Inman, mentre 43 studenti della scuola media di Inman sono in quarantena.

 

I dati del DPH mostrano che la maggior parte dei casi è stata identificata nei bambini, compresi 75 casi in bambini di età compresa tra 5 e 17 anni e 20 casi in bambini di età inferiore ai 5 anni.

 

Bell ha affermato che l’impennata dei casi in tutto lo Stato è stata causata dai viaggi durante il fine settimana del Ringraziamento e dalla mancanza di vaccinazioni.

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Il vaccino MPR responsabile di lesioni «catastrofiche»

I dati del DPH mostrano che la copertura vaccinale contro il morbillo, la parotite, il morbillo e la rosolia tra gli scolari della Carolina del Sud è diminuita da circa il 96% nel 2020 al 93,5% quest’anno.

 

Secondo NBC News, la vaccinazione contro morbillo, parotite, rosolia e morbillo nella contea di Spartanburg, una delle aree più colpite dall’ultima epidemia, è stata del 90% per l’anno scolastico 2024-25.

 

Nella conferenza stampa di mercoledì, Bell ha attribuito «l’elevata copertura vaccinale» all’eliminazione della trasmissione in corso nel Paese. Ha esortato il pubblico a «considerare l’efficacia del vaccino e la possibilità che questa malattia scompaia sostanzialmente». Ha affermato che l’epidemia potrebbe concludersi se più persone si vaccinassero.

 

Il Post ha riferito che anche un «piccolo calo delle vaccinazioni può aumentare significativamente la probabilità di un’epidemia», citando i dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) che indicano che una dose del vaccino MPR è efficace al 93% contro il morbillo e la serie di due dosi è efficace al 97%.

 

Hilliard ha affermato: «Il modo migliore per proteggersi dal morbillo è la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia (MPR). Il CDC incoraggia le persone a consultare un medico per sapere qual è la vaccinazione più adatta a loro».

 

Brian Hooker, Ph.D., direttore scientifico di Children’s Health Defense (CHD), concorda sul fatto che il vaccino MPR sia il modo migliore per prevenire il morbillo, ma si chiede se sia necessario prevenirlo in primo luogo.

 

«Prima dell’introduzione del vaccino, la mortalità per morbillo era di 2 casi su 10.000», ha affermato Hooker. «Non credo che sia necessario evitare di contrarre il morbillo, a differenza del rischio correlato al vaccino».

 

Polly Tommey, conduttrice del programma «Good Morning CHD» su CHD.TV, ha intervistato genitori i cui figli sono rimasti feriti o sono morti a causa di una reazione avversa al vaccino MPR. «La devastazione causata da questo particolare vaccino è catastrofica», ha affermato.

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«Abbiamo visto così tanti bambini e adulti che hanno ricevuto diversi vaccini MPR e hanno comunque avuto il morbillo», ha detto Tommey. «Non solo il vaccino non funziona quasi per niente, ma può anche uccidere dei bambini. Lo so perché ho intervistato i genitori… Tanti danni cerebrali, problemi intestinali che hanno cambiato la vita, per citarne alcuni».

 

Tommey ha aggiunto che, sebbene il morbillo «non sia molto divertente», i suoi sintomi non durano a lungo e che «con le cure adeguate e il riposo, i bambini si riprendono molto rapidamente».

 

La dottoressa Michelle Perro, pediatra, ha affermato che l’infezione da morbillo può fornire un’immunità naturale che dura tutta la vita.

 

«È ampiamente dimostrato che l’infezione naturale da morbillo produce un’immunità duratura e permanente, una caratteristica riconosciuta nell’epidemiologia classica delle malattie infettive. Sebbene nessuno raccomandi di ricercare l’infezione, è inesatto affermare che l’immunità dall’infezione sia debole o transitoria», ha affermato Perro.

 

Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che il vaccino MPR contiene il virus vivo del morbillo, in particolare il genotipo A, che viene allevato in cellule di pollo ed è considerato poco adatto a proliferare negli esseri umani.

 

«In teoria, questo dà al nostro sistema immunitario il tempo di imparare a combatterlo, insieme agli altri ceppi selvaggi del morbillo», ha affermato. Ma la teoria «non sempre si traduce in pratica, e i virus del morbillo originati dal vaccino possono persistere e infettare altri».

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Gli esperti mettono in discussione la narrativa «spaventosa» dei media tradizionali sul morbillo

Il Post ha riportato che il peggioramento della crisi del morbillo in Carolina del Sud è la prova che gli Stati Uniti stanno «vacillando per la recrudescenza di una malattia prevenibile e altamente contagiosa». L’organizzazione giornalistica ha citato le epidemie di morbillo di quest’anno nel West Texas e in altre regioni, che sarebbero costate la vita a tre persone non vaccinate, come prova del prezzo da pagare per l’esitazione vaccinale.

 

Ma Hooker ha affermato che «la narrativa “spaventosa” nei media tradizionali è alimentata dall’evidente impennata del 2025 e dalle false notizie sui tre decessi erroneamente attribuiti al morbillo».

 

«Sappiamo che le due ragazze decedute nel West Texas sono morte a causa di una polmonite batterica curata in modo improprio. E nel terzo caso, un adulto del New Mexico, l’individuo ha negato ogni trattamento medico ed è stato diagnosticato con il morbillo solo tramite RT-PCR durante l’autopsia», ha detto Hooker.

 

Jablonowski ha affermato che le due ragazze del Texas «non sono morte di morbillo, ma a causa degli ospedali, delle infezioni contratte in ospedale e della fatale parzialità degli operatori sanitari».

 

Secondo la CNN, in Texas non sono stati segnalati nuovi casi di morbillo da agosto. Il CDC ha registrato 1.912 casi di morbillo negli Stati Uniti quest’anno.

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«Nessun vaccino garantisce un’immunità del 100%»

Perro ha affermato che, sebbene l’attuale epidemia venga attribuita ai non vaccinati, tali epidemie «hanno storicamente coinvolto sia persone vaccinate che non vaccinate».

 

«Nessun vaccino garantisce un’immunità al 100%, e in letteratura è stato documentato un fallimento secondario del vaccino, ovvero la perdita dell’immunità anni dopo la vaccinazione. I casi di recrudescenza sono generalmente più lievi, ma si verificano, e comprendere questi modelli è essenziale per un quadro epidemiologico completo», ha affermato Perro.

 

Hooker ha citato preoccupazioni sulla sicurezza del vaccino MPR, osservando che nel 1999 la Merck «ha iniziato ad aumentare segretamente il contenuto di virus nel vaccino MPR a livelli che potrebbero eclissare quelli che erano stati adeguatamente testati sulla sicurezza».

 

Ciò ha coinciso con un «drammatico aumento delle segnalazioni di decessi e anafilassi dovuti al vaccino» inviate al Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS), il sistema governativo statunitense.

 

Il National Childhood Vaccine Injury Act del 1986 prevede una copertura di responsabilità per i produttori di vaccini inclusi nel programma di immunizzazione infantile del CDC. Di conseguenza, i produttori hanno meno incentivi a produrre vaccini sicuri, ha affermato Perro.

 

«Negli ultimi quarant’anni i produttori avrebbero potuto puntare su formulazioni più pulite, come prodotti senza alluminio, stabilizzanti migliorati o sistemi di distribuzione alternativi, ma senza responsabilità e supervisione normativa, l’incentivo semplicemente non c’era», ha affermato Perro.

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È «assurdo» dare la colpa a RFK Jr. per le epidemie di morbillo

I resoconti dei media hanno anche suggerito che le politiche di Kennedy come segretario dell’HHS abbiano contribuito all’«esitazione vaccinale» e all’aumento della diffusione del morbillo.

 

Secondo il Post, «un aumento della disinformazione sui vaccini che, a volte, si è propagata sui social media e tra alcuni funzionari pubblici, tra cui il presidente Donald Trump e il suo candidato per il segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr.» ha contribuito alle epidemie.

 

Ma Perro ha affermato che i dati del CDC mostrano che i casi di morbillo negli Stati Uniti «sono in aumento da diversi anni, da 59 casi nel 2023 a 285 nel 2024, e ora sono oltre 1.900 i casi segnalati nel 2025 in 43 giurisdizioni». Ha affermato che queste tendenze «sono antecedenti all’attuale leadership dell’HHS».

 

«L’idea che una sola figura politica abbia ‘causato’ tutto questo non è supportata dai dati a lungo termine», ha affermato Perro.

 

Secondo Hilliard, i 1.912 casi di morbillo segnalati finora quest’anno negli Stati Uniti sono significativamente inferiori al numero di casi segnalati in Canada (5.298) e Messico (5.089). Entrambi i paesi hanno una popolazione sostanzialmente inferiore a quella degli Stati Uniti.

 

Tommey ha affermato che è «assurdo» incolpare Kennedy per le epidemie di quest’anno. «I genitori non vaccinano perché vedono la carneficina totale di chi di noi si è vaccinato. L’hanno vissuta o vista in prima persona… Una volta che sai, sai: ecco perché i tassi di vaccinazione sono in calo», ha affermato.

 

Michael Nevradakis

Ph.D.

 

© 11 dicembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

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Intelligence

Il Congresso USA potrebbe costringere le agenzie di spionaggio a declassificare le prove sulle origini del COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Nascosto nel vasto National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2026, c’è un testo che richiede al direttore dell’intelligence nazionale di condurre una revisione di declassificazione con i responsabili delle agenzie di intelligence federali delle informazioni su coloro che hanno finanziato la ricerca sul coronavirus e su ciò che si sa sul rischioso lavoro di «acquisizione di funzione» svolto presso il Wuhan Institute of Virology.   Per quasi sei anni, la battaglia per scoprire cosa sanno realmente le agenzie di spionaggio statunitensi sulle origini del COVID-19 si è svolta nelle aule dei tribunali, nelle lunghe file del Freedom of Information Act (FOIA) e nei PDF pesantemente censurati.   Ora è inserito in un disegno di legge sulla difesa.   Nascosta nel vasto National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2026 c’è una disposizione breve ma incisiva: «Declassificazione dei dati di intelligence e ulteriori misure di trasparenza relative alla pandemia di COVID-19».

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Il testo chiave del disegno di legge, che sarà votato questa settimana alla Camera e al Senato, incarica il Direttore dell’intelligence nazionale (DNI) di condurre congiuntamente una revisione della declassificazione con i responsabili delle agenzie di intelligence federali su due fronti principali: informazioni sulla ricerca sul coronavirus nei laboratori cinesi, comprese informazioni su coloro che l’hanno finanziata e ciò che si sa sul rischioso lavoro di «acquisizione di funzione» svolto presso il Wuhan Institute of Virology (WIV), e informazioni sul controllo da parte di Pechino delle informazioni sulla pandemia, incluso il modo in cui i funzionari cinesi potrebbero aver bloccato, ritardato o plasmato le prime narrazioni sulle origini della pandemia e sulla sua diffusione iniziale.   La revisione della declassificazione deve essere effettuata entro 180 giorni dall’approvazione del disegno di legge.   Successivamente, il DNI deve «rendere pubblici i prodotti di Intelligence» identificati per la divulgazione, apportando solo le modifiche necessarie a proteggere le fonti e i metodi di intelligence, e che sono concordate con l’ agenzia da cui provengono i prodotti di Intelligence.   Il DNI deve inoltre presentare una versione non censurata dei prodotti di intelligence declassificati alle commissioni di intelligence del Congresso.   Scoprire cosa sa la comunità di intelligence statunitense su come è iniziata la pandemia potrebbe aiutare a definire tutto, dalla regolamentazione dei laboratori al modo in cui viene supervisionata la rischiosa ricerca virologica, fino alla serietà con cui i governi prendono la possibilità che la prossima epidemia possa iniziare dietro le porte chiuse di un laboratorio di ricerca.   Secondo alcuni esperti di biosicurezza, la divulgazione pubblica di tali informazioni potrebbe aiutare i decisori politici a stabilire quali misure di sicurezza adottare per impedire che si verifichi una prossima pandemia.   Per anni, organismi di controllo e redazioni hanno indagato sulle tracce lasciate dalla comunità dell’intelligence sulla pandemia, cercando cablogrammi, analisi genomiche, rapporti di allerta precoce e deliberazioni interne, tra una lista di documenti segreti. Hanno presentato richieste FOIA a quasi tutte le principali agenzie di intelligence, per poi seguire tali richieste fino ai tribunali federali, quando le agenzie hanno risposto con ritardi, smentite o pagine piene di omissioni.   Anche quando il Congresso approvò il COVID-19 Origin Act del 2023, ordinando al DNI di declassificare le informazioni sui possibili collegamenti tra il WIV e l’inizio della pandemia, il pubblico ottenne poco più di un breve riassunto dell’Office of the Director of National Intelligence (ODNI) che delineava la posizione di ciascuna agenzia di intelligence sulla questione.   Il rapporto li divideva in due schieramenti: la maggior parte delle agenzie sosteneva l’ipotesi di un’origine naturale, mentre altre erano favorevoli allo scenario secondo cui il SARS-CoV-2, il virus che ha causato la pandemia, sarebbe fuoriuscito da un laboratorio.   Ma le prove di base, le valutazioni, le email degli analisti e le analisi tecniche sono rimaste per lo più nascoste al pubblico.   Ora, con l’attesa proposta di legge sull’autorizzazione alla difesa, il Congresso è pronto a riprovarci, chiedendo alle agenzie di intelligence di rivelare pubblicamente ciò che sanno sull’inizio di una pandemia che, secondo alcune stime, ha ucciso più di 20 milioni di persone in tutto il mondo.

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Declassificazione delle registrazioni grezze Il linguaggio operativo sulla declassificazione delle informazioni di Intelligence sulle origini del COVID-19 è contenuto in più di 2.200 pagine del disegno di legge, all’interno della sezione che stabilisce le regole e gli ordini di marcia per la comunità di intelligence degli Stati Uniti e dove il Congresso approva i budget per le spie, le politiche sull’intelligenza artificiale e le tutele dei whistleblower.   Quest’autunno, le commissioni di intelligence sia della Camera che del Senato hanno prodotto rispettivi progetti di legge di autorizzazione all’intelligence, che hanno elaborato gran parte del linguaggio che ora popola quella sezione nascosta nel disegno di legge sulla difesa.   Una delle principali differenze tra le due versioni iniziali era che la proposta della Camera conteneva una disposizione volta a garantire che l’ambito delle informazioni declassificate includesse «la possibilità di origini zoonotiche del COVID-19», una clausola che è sopravvissuta nel testo finale compromesso in vista delle votazioni in aula.   Ciò che non è sopravvissuto è stato l’obbligo, nella versione del Senato, di rendere pubblici al DNI «i nomi dei ricercatori che hanno condotto ricerche sui coronavirus, nonché le loro attuali sedi di lavoro».   La versione di compromesso che ora è pronta per l’adozione inasprisce anche l’obbligo di rendere pubblici i prodotti classificati delle agenzie di intelligence, anziché un rapporto su di essi, come inizialmente richiesto dal disegno di legge del Senato.   Ciò significa che il Congresso non chiede più un altro riassunto rifinito, ma chiede alla comunità dell’intelligence di tornare alla documentazione originale e decidere cosa può essere declassificato.   Finora, l’unica valutazione completa da parte di un elemento dell’intelligence statunitense ad essere resa pubblica è stata fatta all’inizio di quest’anno, quando l’organizzazione statunitense Right to Know ha estratto una valutazione genomica del SARS-CoV-2 risalente a cinque anni prima, preparata dal National Center for Medical Intelligence della Defense Intelligence Agency.   Ottenuta tramite una causa FOIA, l’analisi di giugno 2020 si è presentata sotto forma di una presentazione tecnica di diapositive preparata da tre scienziati governativi che hanno esaminato le caratteristiche genetiche del virus e hanno esposto le capacità di ricerca del WIV per concludere che era plausibile che il SARS-CoV-2 fosse «un virus progettato in laboratorio» che «è sfuggito al contenimento».   Questa opinione non è mai apparsa nel rapporto pubblico dell’ODNI ai sensi della legge del 2023, che si basava sui livelli di fiducia dell’agenzia e minimizzava l’idea che il SARS-CoV-2 potesse essere stato progettato. È rimasta invece in un canale riservato, accessibile ad alcuni decisori politici ma non al pubblico le cui vite sono state sconvolte dal virus.   L’ultima richiesta di declassificazione è, per molti versi, una risposta al divario tra ciò che esiste sulla carta e ciò che le persone esterne al sistema sono autorizzate a vedere.   E non è l’unica parte del disegno di legge che guarda agli insegnamenti tratti dalla pandemia.   Un’altra disposizione incarica il direttore dell’intelligence nazionale di stabilire una politica per «semplificare la declassificazione o il declassamento e la condivisione delle informazioni di intelligence relative agli sviluppi e alle minacce biotecnologiche», compresi gli sforzi da parte di avversari stranieri di trasformare la ricerca biologica in un’arma.   Rivolto a future pandemie e minacce biologiche, riecheggia la clausola COVID-19, secondo cui il Congresso vuole che queste informazioni vengano tenute meno segrete ai decisori politici e all’opinione pubblica.

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Arrivare a vedere le prove

A sei anni dai primi casi di Wuhan, le origini del COVID-19 restano incerte.   Sebbene all’inizio di quest’anno l’amministrazione Trump abbia creato una pagina web accattivante sul sito della Casa Bianca intitolata Lab Leak: The True Origins of COVID-19, non ha pubblicato alcuna nuova prova sostanziale che dimostri che il virus sia emerso da un laboratorio e la posizione ufficiale della comunità dell’Intelligence rimane quella secondo cui l’origine del COVID-19 è incerta e controversa.   Alcune agenzie propendono ancora per una ricaduta naturale, altre per un incidente di laboratorio, e molte si collocano a metà strada, esprimendo scarsa fiducia nelle proprie valutazioni.   Ma la questione non è più solo quale ipotesi vincerà. È se il pubblico avrà mai accesso alle prove e ai dibattiti che hanno plasmato quei giudizi interni. Tali informazioni potrebbero essere utili per elaborare nuove politiche in grado di prevenire la prossima pandemia, affermano alcuni esperti.   Delle oltre 200 richieste di accesso ai documenti pubblici presentate negli ultimi sei anni dall’organizzazione statunitense US Right to Know su questo argomento, decine sono ancora aperte presso le agenzie di intelligence statunitensi.   Diverse richieste hanno dato luogo a cause legali contro l’FBI, la CIA, la DIA, l’ODNI e il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. Anche quando i giudici ordinano a queste agenzie di consegnare i documenti, molti di questi arrivano sepolti sotto censura.   Fino alla scorsa settimana, sette mesi dopo aver richiesto alla DIA la «valutazione più recente» sulle origini del COVID-19, l’agenzia ha prodotto solo 12 pagine. Inizialmente aveva affermato che non esistevano tali documenti. Solo dopo una causa legale ha restituito quelle 12 pagine, 11 delle quali sono così pesantemente censurate che non si riesce quasi a leggere nulla di sostanziale.   Lewis Kamb   Pubblicato originariamente da US Right to Know. Lewis Kamb è un giornalista investigativo specializzato nell’uso delle leggi sulla libertà di informazione e dei registri pubblici per scoprire illeciti e chiamare i potenti a risponderne.

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Immagine di Ureem2805 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Vaccini

Il comitato consultivo del CDC vota per porre fine alla raccomandazione di vaccinare i neonati contro l’epatite B

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Il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (ACIP) ha deliberato per revocare la raccomandazione storica che imponeva la vaccinazione contro l’epatite B a tutti i neonati subito dopo la nascita. Questa decisione rappresenta un trionfo significativo per la campagna «Make America Healthy Again» promossa dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., mirata a una revisione del calendario vaccinale pediatrico, in un’epoca di crescenti interrogativi sull’impennata dei casi di autismo tra i bambini.

 

Con 8 voti a favore e 3 contrari, l’ACIP ha indicato che le madri risultate negative al test per l’epatite B possano concordare con il proprio pediatra «quando o se» somministrare il vaccino ai loro neonati. Le direttive per i piccoli nati da madri positive o con status ignoto al virus restano immutate.

 

Si prevedono ulteriori revisioni alla politica vaccinale nei mesi a venire, mentre il panel valuta l’intero protocollo di immunizzazioni infantili. Diversi oratori intervenuti all’assemblea, e almeno parte degli esperti consultati, sono noti per le loro riserve sul tema dei vaccini.

 

Kennedy si definisce «pro-sicurezza», non «anti-vaccini», ma i media mainstream – pesantemente influenzati dai contributi pubblicitari delle multinazionali farmaceutiche – hanno ritratto il titolare dell’HHS come un «anti-vaccinista». Tale immagine è lontana dalla realtà, come ha ribadito di recente lo stesso Kennedy: «Credo che i vaccini abbiano salvato milioni di vite e svolgano un ruolo fondamentale nell’assistenza sanitaria».

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Il Ssegretario sta esaminando un potenziale nesso tra il vaccino e l’aumento dei disturbi autistici, evidenziando come il piano vaccinale per l’infanzia sia passato da poche somministrazioni a un ventaglio di decine di dosi.

 

Il vaccino contro l’epatite B ha provocato danni così estesi nella popolazione americana che nel 1999 ABC News gli dedicò un’inchiesta e il Congresso indisse un’audizione. Eppure, gli specialisti allineati alla narrazione ufficiale hanno negato l’esistenza di legami provati. È sufficiente rammentare che le contestazioni più accese alla riforma vaccinale di RFK Jr. proverranno dai media corporate e dai parlamentari, che dipendono in misura preponderante dai finanziamenti dell’industria farmaceutica.

 

L’Italia è stata il primo Paese europeo a rendere obbligatoria la vaccinazione per i nuovi nati e per gli adolescenti di 12 anni con la legge 27 maggio 1991, n. 165, entrata in vigore dal 1992.

 

I giornali riportano che la decisione fu presa dal ministero dove direttore generale e ministro della Sanità stesso ricevettero una tangente di 600 milioni di lire da GlaxoSmihKline, produttrice del vaccino Engerix B contro l’epatite B per i neonati.

 

In Italia l’obbligo è rimasto per i nati dal 1992 in poi (coorti 1981-2000 anche per la dose adolescenti) fino al 2017, quando la legge Lorenzin (119/2017) lo ha confermato estendendolo a 10 vaccinazioni. Oggi resta obbligatorio 0-15 anni.

 

Va ricordato che l’epatite B si trasmette per via sessuale o scambio di siringhe tra tossicodipendenti: perché, quindi, vaccinare un neonato per tale morbo?

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