Economia
I sauditi pronti a farsi pagare il petrolio in yuan cinesi
Il Wall Street Journal riporta che «l’Arabia Saudita è in trattative attive con Pechino per valutare in yuan parte delle sue vendite di petrolio alla Cina».
Il WSJ mette insieme varie ragioni per: l’Arabia Saudita pensa di non aver ottenuto abbastanza sostegno dagli Stati Uniti nella sua guerra contro lo Yemen; non gli piace il JCPOA; è rimasto scioccato dal ritiro della NATO dall’Afghanistan.
«Non è inclusa la vera ragione: l’uso del dollaro per rubare le riserve finanziarie nazionali e attaccare l’economia russa è un boomerang, spingendo le nazioni a ridurre le proprie riserve in dollari e cercare di utilizzare altre valute per il commercio» sostiene EIRN.
«L’Arabia Saudita vende circa 2 milioni di barili di petrolio al giorno alla Cina. Se tutto ciò fosse stabilito in yuan, l’Arabia Saudita (assumendo all’incirca l’attuale prezzo del petrolio) accumulerebbe 6 miliardi di yuan ogni settimana, 300 miliardi di yuan all’anno in riserve».
«Avrebbe incentivi per investire quelle riserve di yuan in Eurasia, in particolare nella Belt and Road Initiative e progetti correlati e nell’economia cinese».
Se la Russia riprendesse le esportazioni di grano, i sauditi potrebbero pagarle in questo modo e aumentare le riserve russe di yuan; etc.
Fatta eccezione per l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, nessun altro grande produttore OPEC è in grado di soddisfare la sua attuale quota di produzione, per non parlare di superarla.
La Nigeria, ad esempio, ha una quota OPEC di 2 milioni di barili al giorno e attualmente sta producendo 1,25 milioni di barili al giorno, essendo stata a 1,4 milioni di barili al giorno qualche tempo prima. Il motivo è la mancanza di investimenti nell’industria petrolifera nigeriana.
«In altre parole, il motivo è il Green Deal o “Great Reset” e ha colpito gli investimenti petroliferi e la conseguente produzione in tutto il mondo. Quei produttori a cui non è stato permesso di vendere affatto, Iran e Venezuela, sono felici di vendere in Cina e anche loro saranno pagati in yuan» riporta EIRN.
In pratica, la guerra in Ucraina sta aprendo alla de-dollarizzazione globale, la fine del biglietto verde come riserva valutaria internazionale.
Si tratta, questo, di un danno che andrebbe molto al di là delle frustrazione democratiche ucraine di entrare nella NATO e nella UE…
Gli americani sono disposti a perdere lo scettro economico mondiale per attaccare la Russia?
Cina
La ristorazione smentisce il PIL cinese in crescita: 459 mila chiusure nel primo trimestre 2024
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Piccoli ristoranti ma anche nuovi ambiziosi brand costretti a gettare la spugna dal calo dei consumi: le cessazioni delle attività sono aumentate del 232% rispetto a dodici mesi fa. Le riaperture dopo la politica Zero Covid si sono scontrate con l’aumento dei prezzi e la minore disponibilità economica delle famiglie.
Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica, in Cina nel primo trimestre di quest’anno sono state cancellate o soppresse 459mila imprese di ristorazione, con un aumento di circa il 232% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Di questi ristoranti 180mila hanno chiuso nel solo mese di marzo, quando l’anno scorso furono 140mila nell’intero primo trimestre.
Si tratta di un indicatore «dal basso» che mostra un panorama decisamente diverso rispetto all’ottimismo «ufficiale» sull’economia cinese, che appena pochi giorni fa sbandierava per lo stesso arco di tempo una crescita del Prodotto interno lordo del 5,3%, addirittura superiore agli obiettivi fissati per il 2024.
Al dato sulla chiusura delle imprese della ristorazione ha dedicato un approfondimento Radio Free Asia, che ha raccolto alcune voci di operatori locali secondo cui il mercato dei consumi in Cina non si è affatto ripreso dopo la fine della politica Zero COVID. «Alti costi di affitto, alti costi di manodopera, aumento dei prezzi e diminuzione dei consumi dei clienti», ha riassunto il quadro della situazione un ristoratore di Wuhan. «Ci sono ancora alcune attività di catering che vanno molto bene, ma gli affari dei ristoranti più grandi no». All’inizio di quest’anno anche brand considerati in ascesa nella pasticceria cinese come ad esempio Hutou sono stati costretti a gettare la spugna.
La signora Yao, residente a Jingdezhen, nella provincia di Jiangxi, ha raccontato all’emittente che molti dei suoi amici che gestivano ristoranti hanno chiuso e faticano ad arrivare alla fine del mese: «I residenti non hanno più soldi, è difficile portare avanti qualsiasi attività».
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Economia
Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani
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Economia
FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»
I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.
L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».
L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».
«Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».
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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.
Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.
Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.
Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazione, superinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.
Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.
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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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