Connettiti con Renovato 21

Scienza

Scienziati scattano immagini di un «Tornado quantistico»

Pubblicato

il

Un studio recentemente pubblicato ha raccontato che un team di scienziati del Massachusetts Institute of Technology ha catturato immagini di atomi superfreddi nel processo di passaggio dalla fisica classica a quella quantistica.

 

L’idea era di congelare questi atomi  per osservare le loro interazioni e comportamenti a livello quantistico.

 

Durante la transizione, la serie di particelle si è trasformata in un pattern di «tornado quantistici».

 

Nel mondo quantistico, le particelle non hanno una posizione prestabilita come gli oggetti intorno a noi, bensì gli atomi sono governati dal misterioso principio per cui la posizione data di una particella è una probabilità. Un atomo ha la possibilità di trovarsi in due posizioni contemporaneamente, quindi le regole tipiche della fisica non si applicano, spiega il sito Futurism.

 

L’idea era di congelare questi atomi  per osservare le loro interazioni e comportamenti a livello quantistico. Durante la transizione, la serie di particelle si è trasformata in un pattern di «tornado quantistici»

«Questa cristallizzazione è guidata esclusivamente dalle interazioni e ci dice che stiamo andando dal mondo classico al mondo quantistico», ha affermato Richard Fletcher, assistente professore di fisica al MIT e coautore dello studio.

 

Quando le particelle interagiscono in questo modo dovrebbero mostrare un comportamento strano, ma osservare la meccanica quantistica mentre si opera nel mondo «classico» non è esattamente facile.

 

Per superare questa limitazione, gli scienziati del MIT hanno ruotato rapidamente un fluido quantistico di atomi ultrafreddi. Inizialmente, la nuvola rotonda di atomi formava una struttura sottile a forma di ago.

 


 

Quando la meccanica quantistica ha iniziato a prendere il sopravvento, l’ago si è rotto in uno schema cristallino di tornado quantistici in miniatura. I risultati sono la prima documentazione diretta di un gas quantistico in rapida rotazione in evoluzione, secondo quanto sostenuto da questo team di ricerca.

 

«Anche nella fisica classica, questo dà origine a intriganti modelli di formazione, come le nuvole che si avvolgono intorno alla Terra in splendidi movimenti a spirale», ha affermato Martin Zwierlein, professore di fisica e coautore del MIT, nella dichiarazione. «E ora possiamo studiarlo nel mondo quantistico».

La fisica quantistica è una disciplina che guiderà – o meglio, sta già guidando – la prossima grande rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni: i supercomputer quantistici e la cosiddetta Quantum Communication

 

La fisica quantistica è una disciplina che guiderà – o meglio, sta già guidando – la prossima grande rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni: i supercomputer quantistici e la cosiddetta Quantum Communication.

 

I computer quantistici sono in grado di eseguire in pochi minuti calcoli – per esempio, la fattorizzazione dei numeri primi – che ad un computer basato l’informatica classica potrebbero richiedere tempi simili all’età dell’universo. Tutte le più grande aziende informatiche del mondo, da Google a IBM a Microsoft etc., stanno lavorando alacremente per arrivare alla cosiddetta Quantum Supremacy, la supremazia quantistica (o vantaggio quantistico), che è appunto la dimostrazione che un dispositivo quantistico  può risolvere un problema che nessun computer classico può risolvere in un qualsiasi lasso di tempo fattibile.

 

Secondo alcuni, la potenza del Quantum Computing è tale da mettere le password di tutti a rischio.

 

Nel campo della Quantum Communication, la Cina un anni fa ha mandato in orbita un satellite in grado di effettuare comunicazioni basate sulla fisica quantistica, che sono al momento ritenute non decrittabili e non intercettabili da agenti esterni all’emittente e al ricevente.

 

 

 

 

Immagine di Hadron via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

Continua a leggere

Quantum

Viaggio nel tempo con esperimento quantistico?

Pubblicato

il

Da

La meccanica quantistica è il regno della scienza in cui nulla è normale e tutto sembra minare le basi della nostra comune comprensione della realtà. Tuttavia i fisici quantistici, che si vantano di scrutare l’abisso e carpirne i segreti inquietanti, hanno scoperto un altro fenomeno sconcertante: il «tempo negativo».

 

Come descritto in uno studio ancora in fase di revisione paritaria pubblicato da Scientific American, un team di ricercatori afferma di aver osservato fotoni che presentano questo bizzarro comportamento temporale come risultato di quella che è nota come eccitazione atomica.

 

Ciò che è successo in sostanza, come spiega Scientific American, è che quando i fotoni sono stati irradiati in una nube di atomi, sembravano uscire dal mezzo prima di entrarvi.

Sostieni Renovatio 21

«Un ritardo temporale negativo può sembrare paradossale, ma significa che se si costruisse un orologio “quantistico” per misurare quanto tempo gli atomi trascorrono nello stato eccitato, la lancetta dell’orologio, in determinate circostanze, si sposterebbe all’indietro anziché in avanti», ha spiegato alla rivista Josiah Sinclair dell’Università di Toronto, i cui primi esperimenti hanno costituito la base dello studio, anche se non è stato direttamente coinvolto.

 

I fotoni – particelle prive di massa che formano quella che conosciamo come luce visibile – possono essere assorbiti dagli atomi che attraversano. Quando ciò accade, l’energia che trasportano fa sì che gli elettroni degli atomi saltino a uno stato energetico superiore. Questa è l’eccitazione atomica a cui abbiamo accennato prima.

 

Ma gli atomi possono anche de-eccitarsi, tornando allo stato fondamentale. Uno dei modi in cui ciò accade è che l’energia viene riemessa sotto forma di fotoni. A un osservatore, questo sembra come se la luce che ha attraversato il mezzo fosse ritardata.

 

I ricercatori erano sconcertati dal fatto che non ci fosse un «consenso tra gli esperti» su cosa accadesse realmente a un singolo fotone durante tale ritardo. «All’epoca non eravamo sicuri di quale fosse la risposta e pensavamo che una domanda così elementare su qualcosa di così fondamentale dovesse essere facile da rispondere», ha detto il Sinclair a Scientific American.

 

Negli esperimenti condotti, impulsi di fotoni venivano sparati attraverso una nube di atomi a temperature prossime allo zero assoluto. Ed è qui che è successo il fenomeno più strano: nei casi in cui i fotoni li attraversavano senza essere assorbiti, si è scoperto che gli atomi ultrafreddi rimanevano eccitati per l’esatto periodo di tempo in cui li avevano effettivamente assorbiti.

 

Al contrario, nei casi in cui i fotoni venissero assorbiti, verrebbero riemessi senza ritardo, o prima che gli atomi ultrafreddi potessero diseccitarsi.

 

Ciò che accade realmente è che i fotoni viaggiano in qualche modo attraverso la nube atomica più velocemente quando eccitano gli atomi – o quando dovrebbero essere assorbiti da essi – rispetto a quando gli atomi rimangono inalterati. Poiché i fotoni non trasportano informazione, la causalità rimane intatta, si legge nella rivista scientifica.

Aiuta Renovatio 21

Le incertezze intrinseche a livello quantistico hanno l’effetto di confondere l’intero processo. In particolare il fenomeno della sovrapposizione, in cui particelle quantistiche come i fotoni possono trovarsi in due stati diversi contemporaneamente. Per un rivelatore che misura quando entrano ed escono da un mezzo, questo significa che i fotoni possono produrre un valore positivo così come uno negativo. E quindi, un tempo negativo.

 

Questo non cambia la nostra comprensione del tempo, affermano i ricercatori. D’altra parte, almeno per quanto riguarda il campo dell’ottica, che il tempo negativo abbia «un significato fisico più profondo di quanto si sia generalmente ritenuto» per quanto riguarda la trasmissione dei fotoni, hanno poi scritto nello studio.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Bizzarria

Scienziati analizzano gli spazzolini da denti e rimangono scioccati dalle centinaia di virus trovati

Pubblicato

il

Da

Alcuni scienziati hanno individuato più di seicento virus diversi dopo aver tamponato gli spazzolini da denti e i soffioni della doccia delle persone, ma fortunatamente la stragrande maggioranza di essi è più utile che dannosa.   La microbiologa della Northwestern University Erica Hartmann, autrice principale di un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Microbiomes, ha dichiarato a Gizmodo di essere rimasta allo stesso tempo scioccata e affascinata quando ha scoperto che questi oggetti di uso quotidiano pullulavano di virus mangia-batteri, noti come batteriofagi.   «Ci sono così tante cose del mondo che ci circonda che non comprendiamo, comprese le cose che possono sembrare familiari», ha spiegato. «Abbiamo iniziato a guardare cose come spazzolini da denti e soffioni della doccia perché sono importanti fonti di microbi a cui siamo esposti, ma non sappiamo quali microbi trasportano o quali fattori li influenzano».  
 

Sostieni Renovatio 21

L’ultimo studio è un aggiornamento del progetto del 2021 del team della Northwestern University, denominato «Operation Pottymouth», che prevedeva l’indagine sulle fonti dei batteri presenti sugli spazzolini da denti.   Sebbene ci fosse un’incredibile diversità tra gli oltre seicento campioni di virus avvistati, un tipo che uccide i micobatteri patogeni era leggermente più comune di qualsiasi altro, ha detto la Harmann. Dato che i micobatteri possono causare gravi infezioni come la lebbra e la tubercolosi, è una buona cosa che fossero presenti anche virus che li uccidono.   «Gli spazzolini da denti e i soffioni della doccia ospitano fagi diversi da qualsiasi cosa avessimo mai visto prima», ha detto la microbiologa. «Non solo abbiamo trovato fagi diversi sugli spazzolini da denti e sui soffioni della doccia, ma ne abbiamo trovati diversi su ogni spazzolino da denti e su ogni soffione della doccia».   Negli ultimi anni i fagi sono stati studiati e utilizzati come trattamenti per le infezioni batteriche, in particolare quelle che sono mutate per resistere agli antibiotici. Mentre la Hartmann insiste sul fatto che queste scoperte sono accattivanti di per sé, sapere che potrebbero essere utilizzate in trattamenti medici le rende molto più utili.   «Potrebbe essere che il prossimo grande antibiotico sarà basato su qualcosa che cresce sul nostro spazzolino da denti», ha concluso la scienziata.

Iscriviti al canale Telegram

Come riportato da Renovatio21, il mondo rischia di tornare all’era precedente alla scoperta della penicillina con l’aumento di patogeni resistenti agli antibiotici. «Gli antibiotici sono stati la più grande conquista della medicina di sempre», ha affermato la professoressa Yvonne Mast, microbiologa e ricercatrice presso il Leibniz Institute di Braunschweig. «Il fatto che stia emergendo sempre più resistenza e che manchino nuovi antibiotici è una minaccia importante».   Come riportato da Renovatio 21, anche l’ONU ci mette in guardia da questo potenziale pericolo: i batteri resistenti agli antibiotici uccideranno tanto quanto il cancro entro il 2050.   A questo punto qualcuno potrebbe affermare l’utilità dei batteriofagi che sedimentano nei nostri spazzolini da denti, perché non sia mai che ci possano essere d’aiuto nella scoperta di nuovi antibiotici.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Chimere

Scienziati ripristinano la vista di una scimmia con cellule staminali umane

Pubblicato

il

Da

Alcuni scienziati hanno utilizzato cellule staminali umane per riparare un buco nella retina di una scimmia, ripristinando la vista del primate.

 

Come dettagliato in uno studio pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports, il team guidato da Michiko Mandai presso il Kobe City Eye Hospital in Giappone, si è concentrato sulla correzione di quello che viene chiamato foro maculare, una condizione oculare associata all’invecchiamento. Invecchiando, il vitreo, il fluido gelatinoso che riempie i bulbi oculari umani e mantiene le loro forme arrotondate, si restringe allontanandosi dalla retina, il che a volte può causare una lacerazione nella macula.

 

Queste lesioni sono consequenziali. La macula si trova al centro della retina ed è la parte più attiva dell’occhio, responsabile della visione centrale e dell’elaborazione della luce.

 

Pertanto, ha scritto New Scientist, i fori maculari causano la visione offuscata e il declino nel tempo e le attuali soluzioni, che sono un’opzione solo nel novanta percento circa dei casi, hanno un costo: la perdita della visione periferica.

 

Per trattare i fori maculari, i dottori trasferiranno cellule dalla periferia della retina al centro. Ma se si prelevano cellule dalla periferia dell’occhio, le lacune della visione periferica sono in qualche modo inevitabili. È noto anche che le lacrime si ripresentano.
Ecco perché i ricercatori sono interessati a impiantare cellule staminali per riparare il problema. Invece di rattoppare il foro maculare con le cellule limitate già presenti nell’occhio, le cellule staminali offrono l’opzione di introdurre nuove cellule completamente.

 

 

Per questo studio, gli scienziati hanno iniziato coltivando uno strato di precursori delle cellule retiniche, derivati da un embrione umano.

 

Tali cellule sono state poi trapiantate nella retina destra di una scimmia affetta da foro maculare che aveva difficoltà a superare i test della vista.

 

Dopo sei mesi, i ricercatori hanno riesaminato la vista della scimmia. Prima del trapianto, la scimmia era in grado di focalizzare lo sguardo solo sull’1,5 percento dei punti in una serie di test. Tuttavia dopo sei mesi dal trapianto, il primate è stato in grado, in tre test, di fissare lo sguardo su una percentuale compresa tra l’11% e il 26%dei punti, un netto miglioramento.

 

Sfortunatamente, ci sono alcune considerazioni etiche spinose: per esaminare in modo esaustivo l’efficacia del trattamento con cellule staminali oltre i test dei punti, gli scienziati hanno dovuto rimuovere completamente l’occhio dell’animale. Nel farlo, però, gli scienziati hanno scoperto che la retina aveva sviluppato nuove cellule visive.

 

Tuttavia, non sono riusciti a stabilire se quelle cellule fossero cresciute dalla cellula staminale impiantata o dalla retina nativa della scimmia, il che significa che gli scienziati non sono sicuri di come le cellule staminali funzionassero effettivamente all’interno dell’occhio della scimmia delle nevi.

 

Le domande che ora si pongono sono: come hanno fatto germogliare nuove cellule da sole? O hanno innescato la rigenerazione nelle cellule originali del primate?

Aiuta Renovatio 21

La promessa dello studio delle cellule staminali come un possibile trattamento per una serie di problemi oculari, tra cui il declino della vista correlato all’età.

 

Il punto di vista etico dell’esperimento è totalmente ignorato. Iniettare cellule umane in una scimmia, quindi, in senso scientifico, «umanizzarla», significa di fatto creare quello che si chiama in biologia una «chimera», cioè un essere con più codici genetici.

 

Si tratta di problemi bioetici che politica e giornali hanno decidere di non discutere più: il risultato è la presenza di chimere nei nostri laboratori, a partire dai cosiddetti «topi umanizzati» (con innesti, spesso, da feto abortito), oramai onnipresenti negli esperimenti scientifici, o i suini bioingegnerizzati con geni umani per poter poi fornire organi da trapianto.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Più popolari