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Scontro tra Pechino e Tokyo sulla clausola sullo «Stato nemico» nella Carta delle Nazioni Unite

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Il Giappone ha censurato la Cina per aver evocato una clausola della Carta ONU che autorizza azioni contro le ex potenze dell’Asse senza il consenso del Consiglio di Sicurezza, ribadendo che tale disposizione è superata e priva di attualità.

 

Il governo del primo ministro Sanae Takaichi è al centro di un’escalation di tensioni diplomatiche con Pechino, innescatasi dalle sue dichiarazioni di inizio novembre a sostegno dell’autonomia di Taiwan. La Cina ha interpretato le sue parole – secondo cui un conflitto nello Stretto di Taiwan rappresenterebbe una «situazione che minaccia la sopravvivenza» del Giappone – come un’allusione a un possibile intervento armato nipponico e come segnale di un risveglio militarista.

 

La scorsa settimana, l’ambasciata cinese a Tokyo ha diffuso un estratto della Carta ONU che menziona gli «Stati nemici», ovvero le nazioni avversarie delle potenze alleate nella Seconda guerra mondiale. L’articolo 53 permette misure coercitive regionali contro questi stati in caso di «rinnovata politica aggressiva», senza previa approvazione del Consiglio di Sicurezza.

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Pechino ha così inoltrato un reclamo formale all’ONU sulle affermazioni di Takaichi, esortando il Giappone – «in quanto nazione sconfitta nella Seconda guerra mondiale» – a «riflettere sui suoi crimini storici» e a mutare posizione su Taiwan.

 

Il ministero degli Esteri giapponese ha respinto l’argomento, accusando la Cina di aver frainteso «clausole obsolete» non più allineate alla prassi ONU. Sebbene l’Assemblea Generale avesse raccomandato l’eliminazione dei riferimenti agli «stati nemici» nel 1995, la revisione formale non è mai avvenuta.

 

Nel fine settimana, il ministro della Difesa Shinjiro Koizumi ha visitato una base militare a Yonaguni, isola a circa 110 km da Taiwan, confermando i progetti per il dispiegamento di missili terra-aria a medio raggio, nell’ambito di un potenziamento delle isole meridionali giapponesi.

Come riportato da Renovatio 21, gli USA hanno effettuato la settimana scorsa la prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump, che nelle ultime settimane ha concluso accordi importanti con Tokyo, tra cui quello sui minerali essenziali.

 

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Immagine di n: 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International 

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Tucker Carlson: il WSJ dei Murdoch ha notizie sulla corruzione del braccio destro di Zelens’kyj ma non le pubblica

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Il giornalista Tucker Carlson ha accusato il Wall Street Journal di censurare informazioni che proverebbero come Andriy Yermak, capo di gabinetto del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, abbia distolto centinaia di milioni di dollari di aiuti americani.   In un post su X di lunedì, Carlson ha rivelato che il quotidiano custodisce da mesi un’inchiesta dettagliata sulla «corruzione personale» di Yermak. «Yermak ha sottratto centinaia di milioni di dollari dalle tasse americane destinate agli aiuti per l’Ucraina. I redattori del Journal possono dimostrarlo. Ma non lo fanno. Al contrario, lo stanno proteggendo», ha scritto Carlson.   Secondo Carlson, il motivo della reticenza sarebbe geopolitico: Yermak, in quanto negoziatore chiave di Kiev, starebbe «guidando gli sforzi per affossare» il piano di pace statunitense per l’Europa orientale. La famiglia Murdoch, proprietaria del WSJ, «vuole continuare la guerra con la Russia», ha aggiunto, accusando il quotidiano di agire come un’«agenzia di intelligence» anziché come organo di stampa.    

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All’inizio di novembre, gli enti anticorruzione ucraini NABU e SAPO hanno svelato un sistema di tangenti da 100 milioni di dollari nel settore energetico, presumibilmente orchestrato da Timur Mindich, stretto alleato e ex socio d’affari di Zelensky. Il presidente ha quindi imposto sanzioni a Mindich, fuggito dal Paese per eludere l’arresto.   Yermak non è stato ancora formalmente accusato, ma il deputato dell’opposizione Yaroslav Zheleznyak ha dichiarato che era «ben consapevole» delle appropriazioni indebite e che figura nelle intercettazioni audio rese pubbliche dagli investigatori.   Lunedì il quotidiano di Kiev Ukrainska Pravda ha riportato che Yermak avrebbe istruito i procuratori a fabbricare capi d’imputazione contro Oleksandr Klimenko, capo della SAPO. Zelens’kyj aveva cercato di sminuire i poteri di NABU e SAPO a luglio, ma ha dovuto recedere di fronte alle proteste di Kiev e alle pressioni occidentali.   Come riportato da Renovatio 21, in settimana lo Zelens’kyj aveva rifiutato di licenziare l’influente capo di gabinetto.   Come riportato da Renovatio 21, a giugno un gran numero di funzionari statunitensi, da Capitol Hill all’amministrazione del presidente Donald Trump, aveva fatto emergere una profonda frustrazione nei confronti dello Yermak. Secondo dieci persone a conoscenza delle sue interazioni che hanno parlato con Politico, le ripetute visite dello Yermak a Washington dopo l’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina nel 2022 sono state considerate sempre più improduttive e persino controproducenti.   I funzionari statunitensi hanno descritto Yermak come «abrasivo», incline a insistere su richieste poco chiare e «disinformato» sulla realtà della politica statunitense. Il suo ultimo viaggio a Washington, all’inizio di questo mese, ha incluso briefing scarsamente frequentati, cancellazioni dell’ultimo minuto – tra cui quella con il Segretario di Stato Marco Rubio – e confusione tra i collaboratori riguardo allo scopo della sua visita in città.   Come riportato da Renovatio 21, il nome dello Yermacco era ricorso anche in dichiarazioni infastidite da parte del ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che in un’intervista dello scorso dicembre all’emittente pubblica Kossuth Radio aveva dichiarato di essersi rivolto al ministro degli Esteri ucraino Andrey Sibiga e allo Yermak, chiedendo l’autorizzazione per una conversazione telefonica tra Orban e il leader ucraino.

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Nel giugno 2024 diversi funzionari ucraini si erano lamentati con il quotidiano britannico The Times del crescente potere del capo dello staff Yermak, che secondo loro di fatto governa l’Ucraina. «L’autorità di Yermak ha superato quella di tutti i funzionari eletti dell’Ucraina, escluso il presidente», ha scritto il Times. «Alcune fonti sono arrivate al punto di descriverlo come il “capo di Stato de facto” o il “vicepresidente dell’Ucraina” in una serie di interviste».   Lo Yermak, era stato indicato dai servizi russi come uno dei possibili rimpiazzo dell’attuale presidente ucraino voluto dall’Occidente.   Tucker Carlson, all’epoca la star del canale Fox News e protagonista del programma di commento politico più seguito di tutti gli USA, fu licenziato in tronco due anni fa dalla famiglia Murdoch, senza che gli fosse data una spiegazione. Lui, piuttosto nobilmente, ha sempre rifiutato di accusare la famiglia di origini ebraico-israeliane, sostenendo, le poche volte che ne ha parlato, che era loro diritto farlo. Riguardo al Wall Street Journal, tuttavia, il Carlson non è stato così tenero.   Renovatio 21 all’epoca ha ipotizzato che dietro al licenziamento di Tucker (considerato «filorusso») vi fosse il programma di un’imminente guerra diretta alla Russia che l’amministrazione Biden potrebbe aver fatto filtrare alla famiglia Murdoch.  

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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La CIA si è «vantata» di aver ingannato il Congresso nell’indagine su JFK

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Alcuni funzionari della CIA avrebbero volutamente ingannato il Congresso statunitense nascondendo informazioni sui movimenti di Lee Harvey Oswald a Città del Messico poche settimane prima dell’assassinio del presidente John F. Kennedy, e uno di loro se ne sarebbe addirittura vantato. A dirlo è l’ex storico della CIA e del Dipartimento di Stato Thomas Pearcy, diventato «gola profonda». Lo riporta Axios.

 

Per oltre sessant’anni ricercatori e attivisti chiedono la declassificazione totale dei documenti sull’omicidio di JFK del 22 novembre 1963, mettendo in dubbio che l’Oswald abbia agito da solo o che sia stato davvero lui l’esecutore.

 

Pearcy sostiene di aver scoperto casualmente nel 2009, in una stanza protetta della CIA, un rapporto riservato dell’ispettore generale dell’agenzia: un’analisi interna sui danni d’immagine subiti dalla CIA dopo che la Commissione speciale della Camera sugli assassinii (HSCA), negli anni Settanta, aveva riaperto il caso concludendo che Kennedy era stato «probabilmente assassinato nell’ambito di una cospirazione», senza però riuscire a identificare i complici.

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Nel documento sarebbe contenuto un memorandum del 1978 in cui un agente della CIA si vantava con due colleghi di aver fornito al capo investigatore dell’HSCA, Robert Blakey, versioni censurate e manipolate dei file della stazione di Città del Messico relativi all’Oswaldo, che alla fine di settembre 1963 aveva cercato visti per Cuba e URSS presso le rispettive rappresentanze diplomatiche, sorvegliate dalla CIA.

 

Pearcy ricorda inoltre di aver visto riferimenti a foto, riprese e forse filmati etichettati «Oswald in Messico», materiale che l’agenzia ha sempre negato di possedere.

 

Con l’approssimarsi del 62° anniversario dell’assassinio, i ricercatori stanno facendo pressione sulla CIA affinché renda pubblico quel rapporto. Un portavoce dell’agenzia ha fatto sapere ad Axios che cercherà di recuperarlo.

 

Subito dopo il suo insediamento, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per la completa declassificazione di tutti i file su JFK, che aveva promesso in campagna elettorale, includendo nella promessa anche i file sull’11 settembre e su Epstein. Visti gli ultimi sviluppi, questi due ultimi punti non sembrano essere stati mantenuti.

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente aveva dichiarato anche l’intenzione di pubblicare i documenti riguardanti l’assassinio dell’attivista razziale protestante Martin Luther Kingo.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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J.D. Vance: la vittoria dell’Ucraina sulla Russia è una «fantasia»

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Il vicepresidente statunitense J.D. Vance ha difeso con vigore il piano di pace di Washington per l’Ucraina, contestando chi crede che un’escalation di pressioni su Mosca – tramite più aiuti o sanzioni – possa alterare gli equilibri militari sul terreno.   Venerdì l’ex leader repubblicano del Senato Mitch McConnell ha definito su X la proposta – consegnata dall’amministrazione Trump sia a Mosca che a Kiev all’inizio della settimana – una «capitolazione» e «disastrosa» per gli interessi americani. La senatrice democratica Jeanne Shaheen, senior della Commissione Esteri del Senato, ha ribadito alla CNN che si tratta di un «piano di Vladimir Putin per l’Ucraina», esortando la Casa Bianca a intensificare sanzioni secondarie contro i partner commerciali russi e a fornire a Kiev armi a lungo raggio.   Sabato Vance ha replicato su X: «Ogni critica al quadro di pace in elaborazione dall’amministrazione o fraintende il piano stesso o distorce una realtà cruciale sul campo». «C’è la fantasia che con più soldi, armi o sanzioni la vittoria sia imminente», ha aggiunto. Per il vicepresidente, un’intesa tra Mosca e Kiev è possibile solo grazie a «persone intelligenti che vivono nel mondo reale», non a «diplomatici falliti o politici immersi in un mondo di fantasia».  

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Il piano USA non è stato divulgato ufficialmente, ma i media riportano che inviterebbe Kiev a ritirare le truppe dalle aree del Donbass russo ancora in suo possesso, a ridurre le forze armate e a rinunciare alle ambizioni NATO, in cambio di garanzie di sicurezza occidentali.   Venerdì il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha ammesso che il suo Paese è costretto a optare tra i «28 punti difficili» della proposta o il rischio di perdere il principale alleato, gli Stati Uniti. Trump ha insistito che Zelens’kyj «dovrà accettarlo» o affrontare un «freddo inverno» di guerra con la Russia. Secondo il Financial Times, Washington ha posto un ultimatum a Kiev per approvare la roadmap entro giovedì.   Il presidente russo Vladimiro Putin ha precisato che il piano non è stato ancora esaminato «in dettaglio», ma ha lasciato intendere che potrebbe «costituire la base per un accordo di pace definitivo».

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