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Le morti in culla improvvise e inspiegate sono state sottostimate: nuovo studio JAMA

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense.

 

 

 

Quando un bambino di 12 mesi o più muore improvvisamente e nessuno riesce a capire perché, la morte viene registrata sotto la generica denominazione di «morte infantile improvvisa e inspiegata» (SUDC, Sudden Infant Death in Childhood).

 

Il Center for Disease Control and Prevention (CDC) afferma che quasi 400 bambini sono morti improvvisamente e senza una causa chiara nel 2017 e 2018, ma un nuovo studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA) mette in discussione i dati del CDC. Secondo i ricercatori universitari e gli esperti medici e forensi che firmano lo studio, le numerose incongruenze nei certificati di morte lasciano pensare che gli ufficiali sanitari americani stanno sottovalutando la frequenza dei decessi.

 

Le numerose incongruenze nei certificati di morte lasciano pensare che gli ufficiali sanitari americani stanno sottovalutando la frequenza dei decessi

I maschi rappresentano la maggior parte dei casi di SUDC, e il rischio è doppio nei bambini afroamericani rispetto agli altri gruppi.

 

Nonostante il CDC monitori i decessi improvvisi fino ai 18 anni, l’età media delle morti è due anni (32 mesi nello studio del JAMA).

 

Quasi tutti i bambini erano nati a termine, sviluppati normalmente e «in stato di buona salute prima del decesso»– che spesso avviene durante il sonno.

I maschi rappresentano la maggior parte dei casi di SUDC, e il rischio è doppio nei bambini afroamericani rispetto agli altri gruppi.

 

Senza elementi su cui lavorare, le morti impreviste «eludono la conoscenza scientifica», afferma l’autore dello studio JAMA.

 

 

Registrazione disfunzionale delle morti 

Secondo i professionisti che si occupano della registrazione delle morti, «il processo per creare e inserire le cause di morte nei pubblici registri è complicato, contorto e politicizzato» che conduce a un «quadro inaccurato e non esaminato di ciò che causa la morte». La revisione da parte di JAMA di 100 autopsie, SUDC Registry and Research Collaborative, per ulteriori indagini (92% degli Stati Uniti, 8% dal Canada o dal Regno Unito) corroborano questa osservazione.

 

Gli autori hanno mostrato che in quattro casi su dieci la causa della morte non coincideva con quella del verdetto originale, con numerosi disaccordi (61% dei casi) su come interpretare gli esiti delle analisi

Dopo aver esaminato attentamente i rapporti medici, il contesto della morte, le autopsie, gli esami supplementari e i dati genetici a disposizione, gli autori hanno mostrato che in quattro casi su dieci la causa della morte non coincideva con quella del verdetto originale, con numerosi disaccordi (61% dei casi) su come interpretare gli esiti delle analisi.

 

Non solo i certificati di morte hanno riportato cause «non confermate da esami successivi», ma i ricercatori hanno definito «inspiegate» 28 morti che i certificati dichiaravano «accidentali» o «naturali».

 

Gli autori del JAMA e altri esperti hanno evidenziato alcune falle nel processo di certificazione dei decessi per quanto attiene al SUDC. Nello specifico:

 

  • Una «carenza cronica» di medici legali disponibili negli USA. Dopo che il National Research Council aveva evidenziato il problema nel 2009, l’epidemia di oppiacei ha creato un «eccesso di casi» che ha aggravato la situazione. A febbraio, il New York Times ha riportato che i primari di medicina legale delle principali città «hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro l’insopportabile carico di lavoro e l’insufficienza di finanziamenti e risorse». Da una recente analisi dei ricercatori del CDC sulle «morti improvvise nei giovani» (SDY, Sudden Death in the Young) è emerso che la rinuncia dei medici legali era una ragione comune per l’assenza dei risultati delle autopsie.

 

Non solo i certificati di morte hanno riportato cause «non confermate da esami successivi», ma i ricercatori hanno definito «inspiegate» 28 morti che i certificati dichiaravano «accidentali» o «naturali»

  • Scarsa attenzione per l’istologia degli organi. Anche se il cervello e il cuore sono frequentemente implicati nella morte improvvisa, gli autori di JAMA hanno scoperto che le analisi su questi due organi erano «al di sotto degli standard», almeno il 28% delle volte nel caso del cervello e del 21% per il cuore. Le scoperte sui tessuti del cuore e del cervello sono state tra i principali motivi di disaccordo tra i patologi e i revisori. Nella revisione dei casi di SDY da parte del CDC, «possibili morti cardiache» era una motivazione frequente per classificare una morte infantile improvvisa come «inspiegata».

 

  • Pressioni per trovare una spiegazione. Gli autori del JAMA suggeriscono che gli esaminatori preferiscono attribuire la morte improvvisa dei bambini a cause accidentali o naturali o a patologie minori come bronchiti, anziché dichiararla «inspiegata», per «evitare il limbo di una certificazione inspiegata» e l’apparenza di una «indagine incompleta» o una in cui «l’informazione è stata trascurata». Citando un medico legale che dice: «Dovevo scrivere qualcosa» osservano che «la pressione reale o percepita per identificare la causa del decesso può portare a determinazioni immotivate».

 

 

Vaccini – informazioni «ignorate»

I ricercatori sulla mortalità infantile hanno notato che, anche se i dati delle autopsie e di esami supplementari erano disponibili, un significativo numero di morti improvvise nei bambini è rimasto inspiegato. Alla fine del 2019, i patologi forensi giapponesi che scrivevano sull’American Journal of Forensic Medicine and Pathology hanno evidenziato una potenziale causa di morte improvvisa che i ricercatori americani avevano ignorato o sottovalutato: i vaccini.

Un significativo numero di morti improvvise nei bambini è rimasto inspiegato

 

Partendo dal fatto che la revisione dei soli certificati di morte era «infruttuosa» per le indagini, gli esperti forensi giapponesi hanno esaminato le autopsie per determinare a potenziale relazione tra morte infantile improvvisa e vaccinazione nei bambini con meno di due anni.

 

Tra i bambini la cui storia vaccinale era disponibile, 22% sono morti entro sette giorni e 25% entro un mese dalla somministrazione di uno o più vaccini.

 

Il vaccino contro l’Haemophilus Influenzae di tipo b (Hib) «era quello più citato come ultima immunizzazione prima del decesso», scoperta coerente con numerosi studi svolti in tutto il mondo che hanno riportato decessi di bambini dopo il vaccino pentavalente o esavalente contenente Hib.

Tra i bambini la cui storia vaccinale era disponibile, 22% sono morti entro sette giorni e 25% entro un mese dalla somministrazione di uno o più vaccini

 

Pur sapendo le difficoltà di giudicare se un decorso fatale sia «veramente determinato dal vaccino» – così come è quasi impossibile individuare quale vaccino sia responsabile in caso di somministrazione multipla – gli autori giapponesi affermano che «esistono casi sospetti» e spingono i patologi forensi a inserire nella loro analisi di routine le vaccinazioni, anziché attendere la richiesta dei genitori.

 

Il COVID-19 ha fornito l’opportunità per un interessante «esperimento naturale» per osservare la correlazione tra vaccinazione e morte improvvisa nei bambini. Come scritto sul Health Choice in giugno, con i lockdown della primavera scorsa, le morti infantili sono diminuite del 30%, nello stesso periodo in cui i sanitari hanno registrato un declino nelle visite pediatriche, quando vengono somministrati i vaccini. Applaudendo il fatto che 200 giovani vite sono state salvate ogni settimana, Health Choice suggerisce che questo risultato «mette in discussione l’azione stessa – obbligo vaccinale per tutti – che le malattie infettive e la comunità medica hanno portato avanti per anni».

 

 

Un segnale d’allarme: le convulsioni febbrili

Nel sottolineare lo stato complessivo di buona salute dei bambini deceduti, gli autori di  JAMA hanno identificato come possibile segnale d’allarme per la morte infantile improvvisa un’anamnesi famigliare o personale di convulsioni febbrili. (Questo contrasta con le rassicurazioni immotivate di molti esperti secondo cui le convulsioni non rappresentino eventi di cui preoccuparsi.)

 

Il vaccino contro l’Haemophilus Influenzae di tipo b (Hib) «era quello più citato come ultima immunizzazione prima del decesso», scoperta coerente con numerosi studi svolti in tutto il mondo che hanno riportato decessi di bambini dopo il vaccino pentavalente o esavalente contenente Hib

In una precedente analisi su 391 casi di SUDC tra 1 e 6 anni (sempre pubblicato su JAMA) lo stesso gruppo di ricerca ha scoperto che il 29% dei bambini aveva sofferto di convulsioni febbrili, «dieci volte di più della popolazione in generale». Nello studio del 2020 si spingono a ipotizzare una correlazione con la morte improvvisa nell’epilessia (SUDEP), citando «uno sviluppo cerebrale lievemente anormale» in alcuni bambini vittime di SUDC (che potrebbe essere la causa o l’effetto delle convulsioni), ma non spendono neanche una parola sui vaccini.

 

Il ruolo dei vaccini come fattore di rischio per le convulsioni febbrili dovrebbe, ormai, essere noto.

 

Uno studio del 2013 condotto da ricercatori italiani, ad esempio, mostra apertamente che i vaccini sono la seconda causa delle convulsioni febbrili e non nasconde le preoccupazioni sull’«apprensione del pubblico» che la scoperta potrebbe causare.

 

Su 391 casi di SUDC tra 1 e 6 anni (sempre pubblicato su JAMA) lo stesso gruppo di ricerca ha scoperto che il 29% dei bambini aveva sofferto di convulsioni febbrili, «dieci volte di più della popolazione in generale»

Il foglio illustrativo dei vaccini mostra che 19 vaccini – tra cui quello per l’influenza e la maggior parte delle formulazioni dei vaccini programmati per l’infanzia – hanno dato luogo a convulsioni febbrili sia durante la sperimentazione sia dopo la commercializzazione. Nel 2010, l’Australia ha sospeso l’utilizzo del vaccino per l’influenza stagionale nei bambini al di sotto dei 5 anni dopo molte «reazioni gravi e impreviste e convulsioni febbrili».

 

È interessante notare come una condizione fatale chiamata «morte per aritmia improvvisa» (SADS, Sudden Arrhythmia Death Syndrome) – un’improvvisa interruzione del ritmo cardiaco che uccide circa 4.000 tra bambini, adolescenti e giovani adulti ogni anno – ha come principale segnale d’allarme gli svenimenti.

 

Come le convulsioni febbrili, lo svenimento (sincope) è una reazione post-vaccino molto frequente, associata a 27 vaccini diversi.

 

Uno studio del 2013 condotto da ricercatori italiani, ad esempio, mostra apertamente che i vaccini sono la seconda causa delle convulsioni febbrili e non nasconde le preoccupazioni sull’«apprensione del pubblico» che la scoperta potrebbe causare

Lo svenimento è particolarmente frequente negli adolescenti e nei giovani vaccinati. Il sito web del CDC descrive «una tendenza crescente delle sincopi che coincide con la diffusione di 3 vaccini per gli adolescenti: papillomavirus (HPV), meningite (MenACWY) e Tdap (tetano, difterite, pertosse)». Il foglio illustrativo collega i tre vaccini al decesso dei bambini e giovani.

 

 

Ragionamento circolare

Dove si parla di morti infantili improvvise e vaccinazioni, il ragionamento circolare abbonda. Ad esempio, i ricercatori del CDC hanno citato il fatto che «molti vaccini vengono somministrati ai bambini (spesso contemporaneamente) durante i controlli di routine» per motivare i decessi che avvengono «in un breve lasso di tempo in seguito alla vaccinazione» alla «mera casualità», ammettendo altresì che la maggior parte dei decessi registrati al Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) si riferisce ai bambini più piccoli.

 

Secondo l’agenzia sanitaria pubblica, anche se il 79% dei bambini i cui decessi sono registrati al VAERS a partire dal 2013 hanno ricevuto più vaccini contemporaneamente, «non si rileva nessun modello degno di preoccupazione».

 

Il foglio illustrativo dei vaccini mostra che 19 vaccini – tra cui quello per l’influenza e la maggior parte delle formulazioni dei vaccini programmati per l’infanzia – hanno dato luogo a convulsioni febbrili sia durante la sperimentazione sia dopo la commercializzazione

La scoperta degli autori di JAMA di una mancanza di certificazione originale del decesso e della relativa revisione è allarmante, dato che le statistiche sulla mortalità del CDC «vengono compilate in base alle informazioni reperite negli uffici dei medici legali».

 

Come scrive il New York Times, «il sistema di indagine medico-legale… è la fonte principale di dati che guida la nostra comprensione di quello che ci uccide, e non dovrebbe».

 

Secondo un operatore delle registrazioni dei decessi, sono solo gli individui «incredibilmente rari» e «integerrimi» –  gente che vada «oltre le regole imposte dal protocollo» e «pensa fuori dagli schemi delle procedure standard»– che registrano una reazione avversa al vaccino sul certificato di morte e, anche allora, non come la causa determinante.

 

Finché la situazione non cambia, «inspiegata» rimarrà l’insoddisfacente parola chiave in molte diagnosi per la morte improvvisa dei bambini.

Finché la situazione non cambia, «inspiegata» rimarrà l’insoddisfacente parola chiave in molte diagnosi per la morte improvvisa dei bambini.

 

 

Il Team di Children’s Health Defense

 

 

Traduzione di Alessandra Boni

 

 

© 5 novembre 2020, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

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L’allattamento al seno è meglio del latte artificiale, ma le mamme devono limitare l’esposizione alle sostanze chimiche: studio

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Secondo un nuovo studio, il latte materno delle madri di tutto il mondo contiene un’ampia gamma di sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino, tra cui bisfenoli, sostanze perfluorurate, pesticidi, ritardanti di fiamma e plastificanti, che possono alterare gli ormoni e potenzialmente danneggiare lo sviluppo.

 

Secondo un nuovo studio, il latte materno delle madri di tutto il mondo contiene un’ampia gamma di sostanze chimiche che interferiscono con il sistema endocrino (IE), come bisfenoli, sostanze perfluorurate, pesticidi, ritardanti di fiamma e plastificanti, che possono alterare gli ormoni e potenzialmente danneggiare lo sviluppo.

 

I ricercatori sottolineano che il latte umano è ancora l’alimento più raccomandato per i neonati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia l’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi di vita, perché il latte umano protegge i neonati dalle infezioni e apporta benefici per tutta la vita, tra cui un minor rischio di disturbi dell’apprendimento, diabete, obesità e ipertensione.

 

«I neonati allattati al seno possono essere esposti a miscele di interferenti endocrini attraverso il latte materno, il che può comportare rischi per lo sviluppo precoce della vita, in particolare per lo sviluppo neurologico e la funzionalità tiroidea», ha affermato la ricercatrice principale, la dottoressa Katherine E. Manz, professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze della Salute Ambientale presso la Facoltà di Sanità Pubblica dell’Università del Michigan.

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Tuttavia, i benefici generali dell’allattamento al seno per la salute sono ancora evidenti e sostanziali. È importante non scoraggiare l’allattamento al seno, ma piuttosto concentrarsi sulla creazione di ambienti che limitino l’esposizione materna a queste sostanze chimiche, ove possibile.

 

I risultati evidenziano la necessità di una migliore comprensione e regolamentazione dell’esposizione alle sostanze chimiche che si accumulano nel corpo delle donne e che possono essere trasmesse ai bambini attraverso l’allattamento al seno, un percorso che, secondo gli autori, è stato a lungo trascurato.

 

La revisione globale di 71 studi sulla lingua inglese, pubblicata il 25 novembre su Current Environmental Health Reports, ha documentato livelli misurabili di sostanze chimiche prodotte dall’industria, note per influenzare gli ormoni coinvolti nella crescita, nello sviluppo del cervello, nel metabolismo e nella funzione immunitaria.

 

I problemi di salute più comuni legati all’esposizione precoce agli interferenti endocrini presenti nel latte materno sono stati gli effetti sullo sviluppo cerebrale e le alterazioni dei normali livelli di ormone tiroideo, come emerge dalla revisione. Gli impatti negativi più significativi sullo sviluppo cerebrale sono stati legati a livelli più elevati di ritardanti di fiamma e pesticidi.

 

Ad esempio:

 

  • Una maggiore esposizione ai ritardanti di fiamma polibromurati è stata associata a punteggi più bassi nei test di sviluppo di Bayley , che misurano il pensiero, il movimento e lo sviluppo socio-emotivo nei neonati e nei bambini piccoli.

 

  • Numerosi pesticidi organoclorurati presenti nel latte materno sono stati associati a peggiori risultati cognitivi e linguistici durante l’infanzia, e alcuni di essi sono stati associati a un rischio maggiore di ADHD.

 

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Oltre alla tossicità neuroevolutiva, numerosi studi hanno riscontrato associazioni tra la quantità di sostanze chimiche presenti nel latte materno e i livelli alterati dell’ormone tiroideo, hanno scritto gli autori.

 

Ad esempio, uno studio ha rilevato un’associazione tra lo squilibrio dell’ormone tiroideo nelle madri e l’accumulo di PBDE (etere di difenile polibromurato), in particolare nel latte materno subito dopo il parto.

 

Un altro studio ha scoperto che alcuni pesticidi presenti nel latte materno erano associati, nel sangue del cordone ombelicale dei neonati alla nascita, a livelli più bassi di ormone stimolante la tiroide e dell’ormone IGF-1, che svolge un ruolo importante nella crescita infantile.

 

Gli interferenti endocrini entrano nell’organismo attraverso l’inalazione, l’ingestione o il contatto cutaneo e sono stati precedentemente rilevati nel sangue del cordone ombelicale e nella placenta. Poiché molti interferenti endocrini si accumulano nell’organismo nel tempo, potrebbero passare nel latte materno durante l’allattamento, suggerisce lo studio.

 

Sebbene le concentrazioni delle sostanze chimiche variassero notevolmente a seconda della regione e del tipo di sostanza chimica, gli scienziati affermano che 13 degli studi hanno riportato che i neonati ingerivano livelli di esposizione agli interferenti endocrini più elevati di quelli raccomandati nel latte materno.

 

Tuttavia, gli studi non hanno valutato l’assunzione giornaliera in modo coerente, affermano i revisori. Solo due hanno applicato i criteri di sicurezza raccomandati per i neonati. Gli altri hanno stimato l’esposizione nei neonati utilizzando gli stessi limiti di sicurezza degli adulti, aggiustando solo per il peso corporeo del bambino.

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Gli studi hanno dimostrato la presenza di:

 

  • I bisfenoli (come il BPA), utilizzati nei rivestimenti delle lattine per alimenti, nei contenitori di plastica e nelle ricevute termiche, sono stati rilevati in tutto il mondo. Queste sostanze chimiche possono imitare gli ormoni e altri studi hanno collegato l’esposizione precoce al BPA a un aumento del rischio di malattie cardiache, ictus, diabete di tipo 2 e obesità in età adulta.

 

  • I pesticidi organoclorurati, molti dei quali utilizzati in agricoltura e nel controllo dei parassiti e persistenti nel suolo e negli alimenti, sono stati rilevati frequentemente, tra cui 36 diverse sostanze chimiche in 11 studi. Ricerche precedenti hanno collegato l’esposizione a tumori infantili, disturbi neurologiciinfertilità, parto prematuro e problemi metabolici e riproduttivi.

 

  • I ritardanti di fiamma polibromurati, utilizzati in schiume per mobili, componenti elettronici e tessuti, e i policlorobifenili (PCB), un tempo utilizzati in apparecchiature elettriche e materiali industriali e ancora presenti nel suolo, nell’acqua e negli alimenti, sono stati rilevati in tutti i 10 studi che li hanno valutati. L’esposizione è stata associata a punteggi più bassi nello sviluppo infantile, a un maggiore rischio di problemi comportamentali e a squilibri ormonali tiroidei.

 

  • Sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS, o «sostanze chimiche perenni»), utilizzate in pentole antiaderenti, tessuti antimacchia, imballaggi alimentari e processi industriali, sono state comunemente rilevate, tra cui PFOA e PFOS. Lo studio suggerisce che queste sostanze chimiche potrebbero essere più concentrate nel latte materno. L’esposizione è stata associata a cancro, malattie della tiroide, danni al fegato, indebolimento del sistema immunitario e problemi di sviluppo.

 

  • Gli ftalati, comunemente presenti nella plastica, nei prodotti per la cura della persona e negli imballaggi alimentari, sono stati rilevati frequentemente, con metaboliti come MEHP, MiBP e MnBP che sono comparsi in tutti gli studi. Sebbene gli ftalati vengano eliminati rapidamente dall’organismo, sono ampiamente presenti nei beni di consumo. L’esposizione precoce è stata collegata a problemi riproduttivi, malattie metaboliche e problemi dello sviluppo neurologico.

 

  • I parabeni, conservanti comuni utilizzati in lozioni, cosmetici, shampoo e alcuni alimenti confezionati, sono stati identificati in 10 studi, e il metilparabene è presente in tutti. In quanto interferenti endocrini, i parabeni possono essere collegati a problemi riproduttivi, cancro al seno, obesità e disturbi della tiroide.

 

  • Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), un tipo di inquinante atmosferico prodotto dalla combustione di combustibili fossili, dai gas di scarico del traffico, dal fumo di tabacco e dalle emissioni industriali, sono stati rilevati frequentemente. L’esposizione agli IPA è stata associata a problemi metabolici, respiratori, riproduttivi e dello sviluppo.

 

Nonostante queste associazioni, i ricercatori affermano che la concentrazione delle sostanze chimiche rilevate negli studi in un dato momento non determina da sola il rischio. Molte si accumulano nell’organismo nel tempo.

 

Inoltre, le soglie di sicurezza variano a livello internazionale e spesso non sono progettate specificamente per i neonati, osservano i ricercatori. Alcuni studi hanno stimato l’esposizione infantile al di sopra dei limiti raccomandati, mentre altri hanno riscontrato livelli inferiori.

 

Le differenze da regione a regione potrebbero essere dovute a normative in continua evoluzione, differenze nell’attività industriale, contaminazione ambientale, occupazione e variazioni naturali nella composizione del latte durante l’allattamento, osservano gli autori. Pochi studi monitorano i neonati nel tempo e i metodi di raccolta dati mancano di coerenza, complicando i confronti.

 

Secondo gli autori, un campionamento standardizzato e una maggiore quantità di dati provenienti da popolazioni diverse potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere meglio in che modo l’esposizione a sostanze chimiche durante l’infanzia possa influenzare la salute a lungo termine.

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Per comprendere veramente i rischi a cui sono esposti i neonati allattati al seno, sostengono che sia essenziale sapere come le sostanze chimiche passano nel latte materno e come il livello di esposizione della madre influisce sulla quantità di interferenti endocrini nel suo latte.

 

«Negli studi futuri, bisognerebbe concentrarsi sul miglioramento delle tecniche di rilevamento, sull’integrazione di misure di controllo della qualità e sulla valutazione dell’esposizione agli interferenti endocrini in più matrici biologiche nel tempo, per ottenere stime di esposizione più precise nei neonati allattati al seno», hanno affermato.

 

«Inoltre, sono necessari dati più solidi per caratterizzare i livelli di EDC sia in base alla popolazione che alla regione e per chiarire le loro associazioni con esiti negativi sulla salute, al fine di formulare raccomandazioni più complete sull’allattamento».

 

Per ridurre l’esposizione agli interferenti endocrini, preferire alimenti freschi a quelli confezionati. Scegliere prodotti per la cura della persona che riportino sull’etichetta la dicitura «senza ftalati». Inoltre, filtrare l’acqua potabile, pulire regolarmente con un aspirapolvere con filtro HEPA o utilizzare un purificatore d’aria ed evitare l’uso di pesticidi non necessari in casa.

 

Pamela Ferdinand

 

Pubblicato originariamente da US Right to Know.

Pamela Ferdinand è una giornalista pluripremiata ed ex borsista del Massachusetts Institute of Technology Knight Science Journalism, che si occupa dei determinanti commerciali della salute pubblica. 

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Immagine di Anton Nosik via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

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Livelli pericolosamente elevati di metalli tossici nei giocattoli di plastica per bambini

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Un recente studio brasiliano ha rilevato concentrazioni allarmanti di metalli tossici nei giocattoli per bambini commercializzati nel Paese. Lo riporta Science Daily.   Ricercatori di due università brasiliane hanno esaminato un vasto campionario di giocattoli di plastica, sia di produzione nazionale che importati, conducendo l’indagine più completa mai realizzata sulla contaminazione chimica di questi articoli.   Il dato più inquietante riguarda il bario: in molti campioni la sua concentrazione è risultata fino a 15 volte superiore al limite di sicurezza previsto dalla normativa brasiliana. L’esposizione prolungata al bario è associata a gravi danni cardiaci e neurologici, inclusa la paralisi.   «Sono state rilevate anche elevate quantità di piombo, cromo e antimonio. Il piombo, associato a danni neurologici irreversibili, problemi di memoria e riduzione del QI nei bambini, ha superato il limite nel 32,9% dei campioni, con alcune misurazioni che hanno raggiunto quasi quattro volte la soglia accettata» scrive Science Daily. «L’antimonio, che può scatenare problemi gastrointestinali, e il cromo, un noto cancerogeno, erano presenti al di sopra dei livelli accettabili rispettivamente nel 24,3% e nel 20% dei giocattoli».

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Attraverso la spettrometria di massa al plasma, lo studio ha identificato ben 21 elementi tossici: argento (Ag), alluminio (Al), arsenico (As), bario (Ba), berillio (Be), cadmio (Cd), cerio (Ce), cobalto (Co), cromo (Cr), rame (Cu), mercurio (Hg), lantanio (La), manganese (Mn), nichel (Ni), piombo (Pb), rubidio (Rb), antimonio (Sb), selenio (Se), tallio (Tl), uranio (U) e zinco (Zn).   «Questi dati rivelano uno scenario preoccupante di contaminazione multipla e mancanza di controllo. Tanto che nello studio suggeriamo misure di controllo più severe, come analisi di laboratorio regolari, tracciabilità dei prodotti e certificazioni più stringenti, soprattutto per i prodotti importati», ha dichiarato uno degli autori principali della ricerca.   Gli studiosi hanno inoltre calcolato i tassi di rilascio delle sostanze: la percentuale che effettivamente passa dal giocattolo al bambino durante l’uso normale (inclusa la pratica di portarli alla bocca). I valori oscillano tra lo 0,11% al 7,33%, quindi solo una piccola parte del contaminante viene assorbita. Tuttavia, le elevatissime concentrazioni iniziali e l’esposizione quotidiana prolungata (per mesi o anni) rendono il rischio sanitario comunque significativo.   I ricercatori ritengono che i metalli pesanti entrino nei giocattoli soprattutto durante la produzione, in particolare con le vernici e i pigmenti utilizzati. Le correlazioni tra gli elementi rilevati suggeriscono, in molti casi, una fonte comune di contaminazione.   In studi precedenti, lo stesso gruppo aveva già documentato la presenza nei giocattoli di interferenti endocrini (sostanze che alterano l’equilibrio ormonale), associati a problemi di fertilità, disturbi metabolici e aumento del rischio oncologico.

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Essere genitori

I bambini con cellulare prima dei 12 anni corrono un rischio maggiore di obesità, depressione e sonno scarso

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Ran Barzilay, MD, Ph.D., autore principale di uno studio pubblicato lunedì su Pediatrics e psichiatra infantile e adolescenziale presso il Children’s Hospital di Philadelphia, ha dichiarato a The Defender che spera che i genitori considerino in che modo la decisione di dare un cellulare ai propri figli possa influire sulla loro salute.

 

Secondo una ricerca pubblicata lunedì su Pediatrics, i bambini che possiedono un cellulare entro i 12 anni corrono un rischio maggiore di obesità, depressione e mancanza di sonno rispetto ai bambini che non ne hanno uno. Inoltre, più sono piccoli quando ricevono il telefono, maggiore è il rischio che diventino obesi e abbiano difficoltà a dormire.

 

Ran Barzilay, MD, Ph.D., autore principale dello studio e psichiatra infantile e adolescenziale presso il Children’s Hospital di Philadelphia, ha dichiarato a The Defender che spera che i genitori considerino in che modo la decisione di dare un cellulare ai propri figli possa influire sulla loro salute.

 

«Non dovrebbe essere qualcosa che fai e poi dimentichi», ha detto Barzilay. «Piuttosto, i genitori dovrebbero comunicarlo ai loro figli e collaborare per capire come il possesso di uno smartphone influisca sul loro stile di vita e sul loro benessere».

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Gli autori dello studio hanno condotto analisi statistiche dei dati su oltre 10.000 dodicenni statunitensi nell’ambito dell’Adolescent Brain Cognitive Development Study, descritto come «la più ampia analisi a lungo termine sullo sviluppo cerebrale dei bambini condotta negli Stati Uniti fino ad oggi».

 

Il team di Barzilay ha riunito ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia, della Penn Medicine, dell’Università della California, Berkeley e della Columbia University.

 

Oltre a prendere in considerazione i dodicenni che già possedevano un cellulare, hanno monitorato anche i dodicenni che non ne avevano uno all’inizio dell’anno, ma che ne avevano ricevuto uno all’età di 13 anni.

 

«Quando hanno compiuto 13 anni», ha detto Barzilay, «quelli che avevano ricevuto uno smartphone in quell’anno avevano maggiori problemi di salute mentale e di sonno rispetto ai ragazzi che ancora non ne avevano uno».

 

Ciò era vero anche quando gli autori tenevano conto della salute mentale e dei problemi di sonno dei bambini dell’anno precedente, ha aggiunto.

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I genitori devono parlare con i loro figli dell’uso del cellulare

Barzilay ha sottolineato che i cellulari non sono intrinsecamente dannosi. «Offrono vantaggi significativi, connettendo le persone e fornendo accesso a informazioni e conoscenze», ha affermato.

 

Ha empatizzato con i genitori che devono decidere per quanto tempo aspettare a dare un cellulare ai propri figli e che devono stabilire dei limiti di tempo una volta che lo fanno.

 

I genitori possono stare tranquilli che i cellulari non sono ammessi nella stanza dei bambini durante la notte e che è opportuno dedicare loro del tempo per socializzare e fare attività fisica, ha affermato.

 

Barzilay ha anche incoraggiato i genitori ad aiutare i propri figli a sviluppare «abitudini tecnologiche sane» parlando regolarmente con loro dell’uso del cellulare e di come li fa sentire.

 

«Quando gli adolescenti capiscono che queste conversazioni nascono da un impegno genuino nei confronti della loro salute, sono più propensi a collaborare con i genitori, riconoscendo che entrambe le parti condividono l’obiettivo comune di sostenere il loro benessere generale», ha affermato.

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I social media sono solo una parte del problema

Lo studio di Pediatrics si è concentrato sul possesso di cellulari, non sul tipo di contenuti a cui i bambini accedono quando li usano.

 

Tuttavia, parte della controversia sull’uso del cellulare da parte dei bambini riguarda l’impatto negativo dei social media su di loro. Ad esempio, The Defender ha recentemente riportato la notizia di una ragazzina di 12 anni che si è tolta la vita appena tre settimane dopo aver iniziato ad assumere Prozac, in seguito ad anni di dipendenza dai social media che, secondo i suoi genitori, avevano contribuito alla sua depressione.

 

Sua madre è ora coinvolta in una causa che accusa TikTok, Snapchat e YouTube di aver preso di mira i bambini vulnerabili con contenuti dannosi.

 

A gennaio, i ricercatori dell’organizzazione no-profit Sapien Labs hanno riferito che sentimenti di aggressività, rabbia e allucinazioni erano in forte aumento tra gli adolescenti negli Stati Uniti e in India, e che tale aumento era collegato all’età sempre più precoce in cui i bambini acquistano i cellulari.

 

Questo mese, l’Australia si prepara a implementare il primo divieto nazionale al mondo sui social media per gli adolescenti. A partire dal 10 dicembre, le aziende di social media dovranno adottare «misure ragionevoli» per garantire che i bambini e gli adolescenti di età inferiore ai 16 anni in Australia non possano creare account sulle loro piattaforme.

 

Entro tale data, le aziende dovranno anche rimuovere o disattivare gli account dei giovani australiani.

 

Ma i cellulari non sono dannosi per i bambini solo a causa dei social media, secondo il dottor Robert Brown, radiologo diagnostico con oltre 30 anni di esperienza e vicepresidente della ricerca scientifica e degli affari clinici per l’Environmental Health Trust.

 

All’inizio di quest’anno, Brown ha pubblicato una ricerca che dimostrava che bastano appena 5 minuti di esposizione al cellulare per far sì che le cellule del sangue di una donna sana si aggregassero in modo anomalo, anche quando il cellulare si trovava a un centimetro dalla pelle.

 

Brown ha dichiarato al The Defender di essere incoraggiato nel vedere istituzioni di alto livello come l’Università della Pennsylvania prestare attenzione alle conseguenze dell’uso dei cellulari sulla salute dei bambini.

 

Tuttavia, vorrebbe anche che la ricerca si concentrasse su come le radiazioni a radiofrequenza (RF) emesse dai telefoni danneggiano la salute dei bambini. «Non è solo la giovane età in cui si acquista un telefono a essere responsabile», ha affermato.

 

Miriam Eckenfels, direttrice del programma sulle radiazioni elettromagnetiche (EMR) e wireless di Children’s Health Defense, è d’accordo.

 

«Lo studio di Pediatrics si aggiunge alla montagna di prove che dimostrano che gli smartphone sono problematici e che i genitori devono proteggere i propri figli. Oltre al contenuto, anche le radiazioni RF sono dannose».

 

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ormai riconosciuto che ci sono prove «altamente certe» che l’esposizione alle radiazioni dei cellulari provoca due tipi di cancro negli animali, ha affermato.

 

«Genitori e pubblico devono avviare un dialogo sensato sulla tecnologia quando si tratta dei nostri figli e smettere di dare per scontato che queste tecnologie siano innocue», ha affermato Eckenfels.

 

Suzanne Burdick

Ph.D.

 

© 2 dicembre, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

Questo articolo è stato aggiornato per chiarire che il bupropione (Wellbutrin) è un antidepressivo, ma non un SSRI. È un inibitore della ricaptazione della noradrenalina e della dopamina, o NDRI.

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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