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Geopolitica

584° giorno di guerra

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– La Gran Bretagna pensa di mandare uomini in Ucraina (nel pezzo di parla di addestratori, ma anche di un ruolo per la marina).

 

– Il partito di Robert Fico, contrario agli aiuti all’Ucraina, ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni parlamentari in Slovacchia e dovrà trattare la formazione di un governo di coalizione.

 

– Per evitare il blocco dei servizi amministrativi, il parlamento USA ha approvato un progetto di finanziamento governativo per 45 giorni, che non prevede l’assistenza all’Ucraina.

 

– 100.417 abitanti del Karabakh sui 120mila che, secondo le autorità armene, vivevano lì prima dell’ultima escalation del conflitto, si sono trasferiti in Armenia.

 

– La Romania ha schierato forze antiaeree al confine fluviale con l’Ucraina. Nelle settimane passate i numerosi attacchi russi contro infrastrutture portuali sul Danubio hanno provocato ripetutamente la caduta di detriti in territorio romeno.

 

– Il ministro degli Esteri britannico James Cleverley ha affermato che fornire assistenza militare ed economica all’Ucraina si è rivelata una «decisione difficile e dolorosa» per Londra. Allo stesso tempo, ha promesso che il sostegno a Kiev continuerà fino al completamento delle operazioni militari sul territorio ucraino.

 

– Zelens’kyj ha annunciato la creazione di un conglomerato industriale della difesa, che dovrebbe essere realizzato con assistenza tecnica internazionale e finanziato con i beni di cittadini e imprese russi sequestrati in Occidente.

 

– In un messaggio in occasione dell’anniversario dell’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina meridionale Putin ha detto ai russi che difendendo quelle regioni difendono la sovranità di tutto il paese «siamo un solo popolo, vinceremo ogni sfida».

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– L’Ucraina ha sospeso lo status di «sponsor di guerra» per la banca ungherese OTP. Era la condizione di Orban per lo sblocco di 500 milioni di euro in aiuti UE.

 

– Il Parlamento ungherese non ha un «desiderio irrefrenabile» di votare per l’ammissione dell’Ucraina all’UE, ha detto il primo ministro Orban. “Non sappiamo quale sia il territorio del Paese, perché c’è una guerra in corso. Non sappiamo quale sia la popolazione, perché stanno fuggendo. Accogliere un paese nella UE senza conoscerne i parametri sarebbe un evento senza precedenti. Quindi penso che dobbiamo rispondere a domande molto lunghe e complesse fino a quando non arriveremo a una decisione effettiva sull’avvio dei negoziati di adesione”

 

– Peskov sulla possibilità di estendere la missione delle forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh: questo è il territorio dell’Azerbaigian, la questione sarà discussa con Baku.

 

– Il presidente Putin ha incontrato il vice ministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov e uno dei comandanti del gruppo Wagner Andrei Troshev.
Yevkurov ha recentemente completato un giro nelle regioni dell’Africa dove il gruppo Wagner è più presente, e Troshev attualmente è a capo di parte del gruppo che ha accettato l’offerta delle autorità russe dopo la ribellione di Evgenij Prigozhin. Si ipotizza che Yunus-Bek Yevkurov  guiderà le forze Wagner in Africa e Medio Oriente, e Andrei Troshev  in Ucraina e in Bielorussia. Inoltre, probabilmente saranno subordinati direttamente al Cremlino.

 

– Oggi l’Abkhazia celebra il 30° anniversario della vittoria nella guerra georgiano-abkhaza del 1992-1993.

 

– L’Italia partecipa indirettamente al conflitto ucraino a fianco del regime di Kiev, ma il punto di non ritorno nei rapporti con la Russia non è ancora stato superato, ha dichiarato l’ambasciatore in Italia Alexey Paramonov in un’intervista a RIA Novosti.

 

– La ratifica dello Statuto di Roma da parte dell’Armenia avrà le conseguenze più negative per le relazioni bilaterali, ha dichiarato il ministero degli Esteri russo.

 

– Un ospedale dell’esercito americano in Germania ha iniziato ad accogliere i feriti nei combattimenti in Ucraina, ha riferito il New York Times. Attualmente nel centro medico di Landstuhl sono in cura 14 persone, la maggior parte sono americani. Secondo il NYT, questo è «un nuovo passo verso il coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto». Secondo il giornale, centinaia di americani sono coinvolti nel conflitto russo-ucraino dalla parte di Kiev e «probabilmente diverse centinaia sono ancora lì». Non si sa quanti di loro siano rimasti feriti; circa 20 persone sono morte.

 

– Bild: Le sanzioni contro la Russia hanno fatto crollare l’industria chimica tedesca- L’industria chimica tedesca, la terza più grande in Germania, versa in gravi difficoltà. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha incontrato i rappresentanti delle imprese chimiche. Secondo loro, l’industria è sull’orlo del disastro. Nel 2023 la produzione dell’industria chimica tedesca è diminuita del 16,5% rispetto allo scorso anno. Nel 2022 il calo è stato ancora maggiore, circa il 20%. Al cancelliere è stato consegnato un documento preparato dai funzionari regionali, secondo il quale l’industria chimica si trova ad affrontare massicci tagli di posti di lavoro, perché molti impianti di produzione intendono trasferirsi all’estero. L’industria chimica dipende fortemente dai prezzi dell’energia: sono aumentati da quando i tedeschi hanno imposto sanzioni contro la Russia. Inoltre, ciò si è sovrapposto alla politica energetica del governo tedesco, che difficilmente può essere definita efficace.
L’industria chimica impiega attualmente più di 1,1 milioni di lavoratori in più di ottomila imprese. «Il calo della produzione e la perdita di ordinazioni privano il nostro settore della fiducia in se stesso. I politici non dovrebbero restare a guardare e limitarsi a seguire ciò che accade», si legge nella lettera aperta dell’associazione dell’industria chimica VCI.

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– Il capo del Servizio migrazione dell’Ucraina, Natalya Naumenko, chiede ai paesi europei di non creare programmi di integrazione per i rifugiati ucraini. «Non li consideriamo rifugiati. Li consideriamo come persone costrette a lasciare l’Ucraina. Fortunatamente, anche i colleghi dei servizi migrazione di altri Paesi mi sostengono quando chiedo di non considerare i nostri cittadini come rifugiati e di non creare programmi per la loro integrazione nel Paese ospitante».

 

– L’Istituto Americano per lo Studio della Guerra (ISW) scrive nel suo rapporto quotidiano che Iran e Russia stanno negoziando nuove forniture di droni, nonché di missili balistici Fateh-110 e Zulfiqar. Il 18 ottobre 2023 scade una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che limita la capacità dell’Iran di vendere legalmente missili con una gittata superiore a 300 chilometri.

 

– Uno dei dirigenti dell’azienda turca produttrice di UAV Baykar Makina, Haluk Bayraktar, ha annunciato investimenti in Ucraina per un importo di 100 milioni di dollari e l’inizio della costruzione di un impianto di produzione di UAV.

 

– In occasione di un vertice con Scholz il presidente kazako Tokaev ha detto che il Kazakistan osserverà il regime di sanzioni contro la Russia e che la Germania non ha ragione di preoccuparsi per questo.

 

– Visita senza preavviso di Borrel a Odessa. L’altro rappresentante UE ha parlato del restauro del patrimonio culturale danneggiato, fra cui la cattedrale della Trasfigurazione.

 

– Nella regione di Ivano-Frankovsk in Ucraina è esploso un gasdotto. Secondo le autorità locali, l’esplosione è stata provocata da una rottura, ma non è stato specificato cosa l’abbia causata.

 

– Decreto di Putin conferma che i cittadini ucraini possono entrare in Russia senza visto, anche muniti del solo passaporto.

 

– Dopo la decisione della UEFA di consentire le partite alle squadre giovanili di calcio russe nei tornei continentali un certo numero di federazioni nazionali si è dissociata, annunciando che le proprie squadre non giocheranno.

 

Rassegna tratta dal canale Telegram La mia Russia.

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Geopolitica

Missili Hezbollah contro basi israeliane

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Hezbollah ha preso di mira diverse installazioni militari israeliane, inclusa una base critica di sorveglianza aerea sul Monte Meron, con una raffica di razzi e droni sabato, dopo che una serie di attacchi aerei israeliani avevano colpito il Libano meridionale all’inizio della giornata.   Decine di missili hanno colpito il Monte Meron, la vetta più alta del territorio israeliano al di fuori delle alture di Golan, nella tarda notte di sabato, secondo i video che circolano online. I quotidiani Times of Israel e Jerusalem Post scrivono tuttavia che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno affermato che tutti i razzi sono stati «intercettati o caduti in aree aperte», senza che siano stati segnalati danni o vittime.   Il gruppo militante sciita libanese ha rivendicato l’attacco, affermando in una dichiarazione all’inizio di domenica che «in risposta agli attacchi del nemico israeliano contro i villaggi meridionali e le case civili» ha preso di mira «l’insediamento di Meron e gli insediamenti circostanti con dozzine di razzi Katyusha».   Il gruppo paramilitare islamico ha affermato di aver anche «lanciato un attacco complesso utilizzando droni esplosivi e missili guidati contro il quartier generale del comando militare di Al Manara e un raduno di forze del 51° battaglione della Brigata Golani», sabato scorso. L’IDF ha affermato di aver intercettato i proiettili in arrivo e di «aver colpito le fonti di fuoco» nell’area di confine libanese.     Ieri l’aeronautica israeliana ha condotto una serie di attacchi aerei nei villaggi di Al-Quzah, Markaba e Sarbin, nel Libano meridionale, presumibilmente prendendo di mira le «infrastrutture terroristiche e militari» di Hezbollah. Venerdì l’IDF ha colpito anche diverse strutture a Kfarkela e Kfarchouba.   Secondo quanto riferito, gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno tre persone, tra cui due combattenti di Hezbollah. I media libanesi hanno riferito che altre 11 persone, tra cui cittadini siriani, sono rimaste ferite negli attacchi.   Il gruppo armato sciita ha ripetutamente bombardato il suo vicino meridionale da quando è scoppiato il conflitto militare tra Israele e Hamas lo scorso ottobre. Anche la fondamentale base israeliana di sorveglianza aerea sul Monte Meron è stata attaccata in diverse occasioni. Hezbollah aveva precedentemente descritto la base come «l’unico centro amministrativo, di monitoraggio e di controllo aereo nel nord dell’entità usurpatrice [Israele]», senza il quale Israele non ha «alcuna alternativa praticabile».

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Geopolitica

Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati

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Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.

 

In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».

 

Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.

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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.

 

Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.

 

L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.

 

«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».

 

Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».

 

Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.

 

«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.

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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato

 

Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.

 

L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.

 

Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.

 

Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.

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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

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Geopolitica

Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.   Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.   Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».   La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.   Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.   Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.   The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».   Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.   La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.   Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.   Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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