Pensiero
25 aprile e 1° Maggio: ma cosa c’è da festeggiare?
La maggior parte della popolazione italiana sembra essersi abituata a tutto. Ma proprio a tutto. Se gli atti amministrativi del Consiglio dei Ministri, tramutatisi magicamente in obblighi inviolabili, hanno fatto aprire gli occhi a tante persone, allo stesso tempo molti continuano a vedere nell’attuale governo i salvatori della patria.
Certo, non stiamo parlando di chi grazie ai meravigliosi e azzeccatissimi DPCM perderà tutto: lavoro, soldi, risparmi, casa, probabilmente persino famiglia e salute.
Festeggiare la «festa della liberazione» agli arresti domiciliari
Ma aldilà di questo, pensateci, c’è chi con grande entusiasmo ha festeggiato l’irrinunciabile 25 aprile.
Ovviamente lo ha festeggiato chiuso in casa, cioè: ha festeggiato la «festa della liberazione» agli arresti domiciliari, una cum le istituzioni. Le stesse istituzioni che gli italiani li hanno segregati, privati ad oltranza di ogni singola libertà a causa della totale incapacità politica attraverso la quale è stata gestita — o sarebbe più opportuno dire non gestita — l’emergenza COVID-19.
E, mentre il 25 aprile il popolo libero cantava «Bella Ciao» da dietro le sbarre delle proprie finestre, anche 1º maggio il popolo libero, sempre una cum le istituzioni, festeggia la «festa dei lavoratori», e cioè il furto comunista della Festa di San Giuseppe Artigiano, sacra festività abbandonata dalla stessa chiesa conciliare che ha consentito il ladrocinio falce-e-martello senza colpo ferire.
Crediamo che in nessuna delle due date ci fosse qualcosa da festeggiare. Oltre ad esserci un popolo imprigionato e tutt’altro che libero, ci sono morti, ammalati, contagiati, familiari distrutti per la perdita dei propri cari e per i modi con i quali hanno dovuto lasciarli andare
Crediamo che in nessuna delle due date ci fosse qualcosa da festeggiare. Oltre ad esserci un popolo imprigionato e tutt’altro che libero, ci sono morti, ammalati, contagiati, familiari distrutti per la perdita dei propri cari e per i modi con i quali hanno dovuto lasciarli andare. Imprenditori sull’orlo del fallimento, artigiani senza lavoro, attività che devono chiudere la serranda, famiglie con un futuro incerto ed un peggiore pieno di problemi.
Prima di festeggiare la «festa dei lavoratori», forse qualcuno avrebbe fatto bene a guardare i numeri del primo report pubblicato dall’INAIL a proposito delle infezioni sul lavoro da COVID-19.
I contagi di origine professionale denunciati all’istituto tra la fine di febbraio e lo scorso 21 aprile sono ben 28.000.
Il 45,7% di essi riguarda la categoria dei «tecnici della salute», che comprende infermieri e fisioterapisti, seguita da quella degli operatori socio-sanitari (18,9%), dei medici (14,2%), degli operatori socio-assistenziali (6,2%) e del personale non qualificato nei servizi sanitari e di istruzione (4,6%).
In sostanza i sanitari contagiati che hanno avuto diritto a denunciare e ad aprire giustamente l’infortunio sul lavoro sono il 14% degli infettati a livello nazionale. Un numero a dir poco raccapricciante e che grida vendetta, in particolare se si tiene conto di quante famiglie intere sono state di conseguenza infettate — e chi scrive lo può testimoniare direttamente, avendo portato il virus a tutta la famiglia, genitori inclusi.
In sostanza i sanitari contagiati che hanno avuto diritto a denunciare e ad aprire giustamente l’infortunio sul lavoro sono il 14% degli infettati a livello nazionale
Prendendo in considerazione le diverse attività produttive, il settore della Sanità e dell’assistenza sociale – all’interno del quale rientrano ospedali, case di cura e case di riposo per anziani – registra il 72,8% dei casi di contagio sul lavoro da COVID-19 denunciati all’INAIL.
Ovviamente si può presumere che tutti questi numeri siano comunque numeri al ribasso, giacché ci saranno molti casi in cui invece che dichiarare l’infortunio — per ignoranza od altri fattori contingenti — è stata dichiarata la malattia attraverso l’INPS.
Poi ci sono gli operatori sanitari morti dopo essersi infettati sul posto di lavoro, in prima linea: sono 98, di cui 52 in marzo e 46 in aprile, pari a circa il 40% del totale dei decessi sul lavoro denunciati all’INAIL nel periodo preso in esame.
Un dato, anche in questo caso, allucinante, vergognoso.
Domanda per i lettori: c’era davvero qualcosa da festeggiare?
La domanda sorge dunque spontanea, e la rivolgiamo particolarmente ai nostri lettori: c’era davvero qualcosa da festeggiare?
Cristiano Lugli
Pensiero
Biden e Bergoglio, un parallelismo. Parla mons. Viganò
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha affidato a X una breve riflessione sul caso della grazia data dal presidente americano Joe Biden al figlio Hunter.
Lo scandalo non si è ancora spento negli Stati Uniti, Paese nel quale Viganò è stato nunzio apostolico in era Obama.
Il perdono assegnato al figlio presidenziale copre tutti i suoi crimini federali (cioè considerabili come perseguibili a livello centrale, non nei singoli Stati) copre tutto quanto fatto da Hunter dal 2014, anno nel quale, con il colpo di Stato a Kiev chiamato Maidan, inizia anche il suo legame con l’Ucraina, dove diviene membro del board del colosso gasiero Burisma, e dove con il suo fondo sarebbe coinvolto nella questione dei biolaboratori.
Kiev è stata definita dall’ ex politico di opposizione in esilio Viktor Medvedchuk come la «mangiatoia» del clan corrotto dei Biden.
Ora anche molti nel Partito Democratico USA – che aveva vantato il suo presunto rispetto dello «stato di diritto» e del «nessuno sopra la legge» per attaccare Trump – si chiedono dell’opportunità della grazia presidenziale infra-famigliare, soprattutto dopo che appena pochi mesi fa avevano negato, con tanto di ripetute dichiarazioni della portavoce della Casa Bianca Corinne Jean-Pierre, che il presidente potesse graziare il figlio.
Monsignor Viganò vede nella vicenda un parallelo possibile con il Vaticano odierno.
«”Nessuno è al di sopra della Legge”, ha detto Joe Biden durante la campagna elettorale, per confermare che non avrebbe graziato suo figlio Hunter, con il quale è colluso in una serie di crimini gravissimi, insabbiati per anni dai servizi segreti deviati, con la complicità dei media» scrive Viganò.
«Oggi vediamo quanto vale la parola di Biden: nulla. Un “presidente” criminale grazia il figlio criminale, come se fosse la cosa più normale e legittima al mondo» accusa il prelato.
Viganò riferisce di casi di revoca di scomunica a personaggi controversi, mentre Bergoglio «la commina a chi denuncia la corruzione del Vaticano e l’usurpazione del Soglio di Pietro».
Come riportato da Renovatio 21, monsignor Viganò è stato scomunicato per e-mail la scorsa estate.
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Immigrazione
Gli immigrati saranno nostri guardiani e persecutori?
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«Truppe ONU introdotte come migranti rifugiati per reprimere la popolazione nel prossimo lockdown OMS» pic.twitter.com/vK0ieCMcsx
— Renovatio 21 (@21_renovatio) May 27, 2024
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Pensiero
Orban: l’egemonia occidentale lunga 500 anni è finita
L’egemonia globale dell’Occidente, durata 500 anni, è finita e il futuro apparterrà all’Eurasia, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orbán.
L’idea che «il mondo intero dovrebbe essere organizzato su un modello occidentale» e che le nazioni saranno disposte ad aderirvi «in cambio di benefici economici e finanziari» è fallita, ha affermato Orban al Forum Eurasia di Budapest giovedì.
Il mondo occidentale è stato sfidato dall’Oriente, ha dichiarato il leader ungherese, aggiungendo che «il prossimo periodo sarà il secolo dell’Eurasia».
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«Cinquecento anni di dominio della civiltà occidentale sono giunti al termine», ha affermato Orban.
Secondo il leader ungherese, i Paesi asiatici sono diventati più forti e hanno dimostrato di essere capaci di «crescere, esistere e durare come centri indipendenti di potere economico e politico». Ora hanno sia un vantaggio demografico che tecnologico rispetto ai loro pari occidentali, ha affermato.
Di conseguenza, il centro dell’economia mondiale si è spostato a est, dove le economie stanno crescendo quattro volte più velocemente di quelle occidentali, ha detto Orban. «Il valore aggiunto dell’industria occidentale rappresenta il 40% del mondo, e quello dell’industria orientale il 50%. Questa è la nuova realtà».
Mentre l’Asia rappresenta il 70% della popolazione mondiale e ha una quota del 70% nell’economia mondiale, l’UE è emersa come il «perdente numero uno» nella realtà in evoluzione, secondo il primo ministro magiaro, che ha affermato che l’Occidente è «soffocato» nel suo stesso ambiente, affrontando sfide come la migrazione, l’ideologia di genere, i conflitti etnici e la crisi Russia-Ucraina.
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«È comprensibilmente difficile per i leader occidentali rinunciare al senso di superiorità a cui sono abituati, ovvero che siamo i più intelligenti, i più belli, i più sviluppati e i più ricchi», ha sostenuto detto il premier ungherese.
Secondo Orban, le élite occidentali si sono organizzate per proteggere lo «status quo della vecchia gloria», che alla fine porterà a un blocco economico e politico.
Come riportato da Renovatio 21, Orban aveva già esposto il suo pensiero sul tramonto dell’Occidente a inizio anno, sostenendo che l’egemonia occidentale è finita, e chiamando al ruolo salvifico di Donald Trump.
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Immagine di The Left via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
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