Economia
Wall Street cambia idea: ammesse le compagnie di Pechino
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
In precedenza la Borsa di New York aveva annunciato l’esclusione di tre giganti cinesi delle telecomunicazioni. Timori legali e l’imminente insediamento di Joe Biden dietro il cambio di direzione. Trump ha imposto limiti agli investimenti nelle aziende tecnologiche della Cina. Pechino accusa Washington di «reprimere» le proprie aziende per motivi politici.
Wall Street non escluderà più dalle proprie quotazioni tre giganti cinesi delle telecomunicazioni
Wall Street non escluderà più dalle proprie quotazioni tre giganti cinesi delle telecomunicazioni. L’annuncio è arrivato ieri sera; i dirigenti della piazza finanziaria newyorchese hanno spiegato di aver rovesciato una decisione precedente dopo “ulteriori consultazioni” con le autorità dell’Ufficio di controllo dei capitali stranieri.
Lo scorso 31 dicembre la Borsa di New York (NYSE) aveva annunciato il «delisting» di China Mobile, China Telecom, and China Unicom. Le tre compagnie sono quotate a Wall Street da più di 20 anni; esse sono scambiate anche nei listini di Hong Kong, e non hanno una significativa presenza nel mercato Usa. Al momento ci sono 200 aziende cinesi quotate negli indici statunitensi, per un valore di 2.200 miliardi di dollari.
Secondo gli analisti, la mossa del NYSE sembrava dettata dalla necessità di attenersi a un recente ordine esecutivo del presidente Donald Trump. Esso vieta agli investitori Usa di avere quote di partecipazione in 35 società (e relative sussidiarie) cinesi. Washington sostiene che esse siano di proprietà o siano controllate dalle Forze armate di Pechino.
La marcia indietro del NYSE appare un gesto distensivo nei confronti della Cina
Oltre a timori di natura legale, la marcia indietro del NYSE appare un gesto distensivo nei confronti della Cina, in attesa che il nuovo presidente Joe Biden – in carica dal prossimo 20 gennaio – delinei la sua strategia verso il gigante asiatico.
Le autorità della Borsa hanno precisato però che continueranno a «valutare» l’applicabilità del provvedimento firmato da Trump, che entrerà in vigore l’11 gennaio; dunque esse non escludono di rimuovere in futuro le compagnie cinesi.
Dal 2018 Trump ha lanciato una campagna di boicottaggio delle aziende tecnologiche cinesi, parte di un più ampio conflitto geopolitico con il gigante asiatico; le più colpite sono quelle impegnate nello sviluppo della rete internet 5G (Huawei), dell’intelligenza artificiale e dei microchip.
In una dichiarazione rilasciata stamane, il ministero cinese degli Esteri ha dichiarato di aver «preso nota» del cambio di direzione del NYSE; le autorità cinesi hanno ribadito le critiche all’amministrazione Trump, accusata di «reprimere» per motivi politici aziende straniere quotate negli USA.
Dal 2018 Trump ha lanciato una campagna di boicottaggio delle aziende tecnologiche cinesi, parte di un più ampio conflitto geopolitico con il gigante asiatico; le più colpite sono quelle impegnate nello sviluppo della rete internet 5G (Huawei), dell’intelligenza artificiale e dei microchip.
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Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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