Arte
Vari Paesi vietano il film «Barbie» per tematiche LGBT e femministe che contraddicono «fede e morale»
Alcune nazioni del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia si stanno opponendo al successo del film Barbie, pellicola americana con protagonista la famosa bambola per bambine, che qui compare in un percorso di consapevolezza che la trasforma in una leader femminista paladina del gender.
L’organo di stampa ufficiale dello stato Kuwait News Agency (KUNA) ha annunciato mercoledì che «il comitato del Ministero dell’Informazione del Kuwait sulla censura cinematografica decide mercoledì di vietare la proiezione in Kuwait dei film Barbie e Talk to me».
Talk to Me è un film horror che racconta di adolescenti che diventano dipendenti dall’evocazione degli spiriti. È uscito una settimana dopo Barbie. Come riportato da Renovatio 21, l’occultismo infantile, spinto da cinema, cartoni e serie TV così come da case produttrici di giochi, è un fenomeno che ha generato incidenti inquietanti in varie parti del mondo, oltre che in Italia.
«La decisione è scaturita dall’interesse per la protezione dell’etica pubblica e delle tradizioni sociali», l’annuncio cita Lafy Al-Subei’e, sottosegretario del ministero per la stampa e la pubblicazione. «Il comitato ha notato che entrambi i film promulgano idee e convinzioni che sono estranee alla società e all’ordine pubblico kuwaitiani».
La dichiarazione ha enfatizzato l’«etica pubblica» che porta alla «censura delle scene» che contraddicono la bussola morale della Nazione.
Se una pellicola «porta concetti, messaggi o comportamenti inaccettabili alieni, il comitato decide di escludere le cose in questione nel loro insieme», siano esse produzioni nazionali o internazionali.
All’inizio dello stesso giorno, anche il ministro della cultura libanese Mohammad Mortada ha spinto a vietare la Barbie nel suo Paese, citando punti di vista opposti alle credenze religiose della nazione.
Il film, ha affermato Mortada, attacca la famiglia tradizionale attraverso i suoi temi progettati per «promuovere l’omosessualità e la trasformazione sessuale» e che «contraddice i valori della fede e della moralità».
La domenica successiva, il paese nordafricano dell’Algeria ha bandito Barbie dopo che era stato proiettato nei cinema sin dalla sua uscita internazionale. Secondo un articolo del notiziario 24H Algérie, «il ministero della Cultura e delle Arti ha inviato avvisi ai cinema che proiettano il film ad Algeri, Orano e Costantina per ritirarlo “immediatamente” dai loro programmi». Il motivo ufficiale fornito per vietare il film è che è ritenuto l’«offesa la morale».
La testata algerina sottolinea che il film ha registrato «il tutto esaurito ogni giorno» dalla data di uscita del 19 luglio. Durante quel periodo il film sarebbe «stato visto da oltre 40.000 spettatori in 20 giorni».
Anche in Pakistan il film è stato bloccato dal Comitato di Censura del Punjab. In Vietnam la pellicola è stata proibita a causa del fatto che si vede per qualche secondo una mappa che assegna acque territoriali alla Repubblica Popolare Cinese invece che ad Hanoi: si tratta della famosa nine dash line, una disputa che coinvolge, oltre al Vietnam e Cina, anche Taiwan, Malesia, Brunei e Filippine.
Negli USA commentatori conservatori hanno accusato il film di non poter essere adatto ai bambini, in quanto, sostiene la scrittrice Peachy Keenan, il film normalizzerebbe il transgenderismo in un modo che potrebbe rivelarsi una forma di «preparazione psicologica [dei bambini] ad accettare» l’ideologia omotransessualista.
Secondo altri il film sarebbe un attacco diretto al patriarcato, considerato tossico e alla fine rovesciato quando questo si innesta nel mondo di Barbie con un golpe dovuto al revanscismo del compagno sottomesso Ken – ciò cui si deve aspirare, pare dire il film, è un sistema di uguaglianza totale basato sul patriarcato.
Come riportato da Renovatio 21, in precedenza anche la parlamentare russa Maria Butina, passata per le carceri americane a causa del Russiagate, ha chiesto che il film venisse bandito nel suo Paese.
Immagine di Eva Rinaldi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0); immagine tagliata
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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix
Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.
Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».
«I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.
Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.
Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA
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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa
La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.
L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.
È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.
Amazon had digitally removed all of the guns from James Bond movie art.
Next … they will probably eliminate any scenes from the movies with guns.
Ridiculous. pic.twitter.com/PdMgKIKY2e
— Wall Street Mav (@WallStreetMav) October 3, 2025
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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).
Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.
Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.
Notice in these Amazon #JamesBond digital posters they’ve removed all the guns and given awkward poses?
Welcome to a world where promoting James Bond 007 needs to be done without his sidearm. pic.twitter.com/3NGkxXShcn
— Chris (@GelNerd) October 2, 2025
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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.
Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.
La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.
In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della serie, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.
No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.
La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.
Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.
Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.
Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.
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Immagine da Twitter
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