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Trump valuta il bando dei funzionari dell’UE per l’eurolegge sulla censura

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Il presidente Donald Trump sta valutando l’imposizione di un divieto di viaggio per i funzionari dell’Unione Europea dietro il Digital Services Act (DSA), una regolamentazione online radicale che, secondo la Casa Bianca, è concepita per censurare gli americani.

 

Secondo fonti vicine alla questione citate da Reuters, il Dipartimento di Stato sta valutando l’introduzione di restrizioni sui visti per i principali responsabili politici dell’UE responsabili della legislazione. Non è stata ancora presa una decisione, ma le discussioni all’interno dell’amministrazione si sono intensificate dopo un incontro ad alto livello della scorsa settimana.

 

La mossa punirebbe direttamente i funzionari stranieri per le politiche interne che, secondo Washington, minano la libertà di parola degli Stati Uniti .

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Il DSA dell’UE mira a costringere i giganti della tecnologia a reprimere i contenuti illegali, ma l’amministrazione Trump sostiene che questa politica equivale a una censura imposta dal governo, accusando Bruxelles di costringere le aziende statunitensi a mettere a tacere gli utenti americani con il pretesto di combattere la disinformazione.

 

«Stiamo monitorando con grande preoccupazione la crescente censura in Europa, ma al momento non abbiamo ulteriori informazioni da fornire», ha dichiarato al giornale britannico Telegraph un portavoce del Dipartimento di Stato.

 

Un portavoce della Commissione europea ha replicato, respingendo le accuse come «completamente infondate», insistendo sul fatto che il DSA «stabilisce regole per gli intermediari online per contrastare i contenuti illegali, salvaguardando al contempo la libertà di espressione e di informazione online».

 

I rapporti tra l’ amministrazione Trump e l’ UE sono diventati sempre più tesi, alimentati dalle minacce di tariffe e dalle controversie sulla regolamentazione della tecnologia.

 

Secondo quanto riportato all’inizio di questo mese, il governo degli Stati Uniti ha esortato i diplomatici europei a fare pressioni contro la DSA, intensificando la battaglia su chi stabilisce le regole per la libertà di parola online.

 

Il Segretario di Stato Marco Rubio ha già minacciato di vietare il visto a chi censura la libertà di parola degli americani, anche sui social media, suggerendo che la politica potrebbe colpire direttamente i funzionari stranieri che regolamentano le aziende tecnologiche statunitensi.

 

Anche il vicepresidente JD Vance ha ripetutamente criticato le autorità di regolamentazione europee, accusandole di «censurare» gli americani. In un discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a febbraio, ha accusato i leader dell’UE di aver soppresso le opinioni di gruppi come il partito di destra tedesco AfD.

 

Le tensioni non si limitano a Bruxelles. L’amministrazione Trump ha preso di mira anche l’Online Safety Act del Regno Unito, definendolo «orwelliano», accusa rivolta due mesi fa anche all’UE.

 

Durante la visita di Trump in Scozia il mese scorso, il primo ministro britannico Keir Starmer ha difeso la legge, insistendo sul fatto che Londra rimane impegnata a proteggere la libertà di parola e a contrastare al contempo i danni online.

 

Si prevede che il dibattito si intensificherà il mese prossimo, quando Nigel Farage testimonierà davanti al Congresso sulle minacce alla libertà di espressione in Gran Bretagna. Farage si concentrerà sul caso di Lucy Connolly, condannata a 31 mesi di carcere per un post sui social media relativo agli attacchi di Southport, prima di essere rilasciata all’inizio di questo mese.

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Per ora, non sono state imposte formalmente sanzioni. Ma se l’amministrazione dovesse dare seguito alle sue richieste, si tratterebbe di uno scontro storico tra Washington e Bruxelles su libertà di parola, regolamentazione tecnologica e sovranità.

 

Come riportato da Renovatio 21, oltre al DSA, l’8 agosto l’UE ha pienamente attuato l’European Media Freedom Act (EMFA), che dovrebbe essere concepito per «proteggere il pluralismo e l’indipendenza dei media nell’UE» e che sarà ora applicato in tutti i 27 Stati membri. Il regolamento, che può dar l’impressione di voler proteggere le organizzazioni giornalistiche dall’interferenza statale, consente che i giornalisti vengano detenuti, penalizzati, intercettati o ispezionati per «un motivo imperativo di interesse pubblico»

 

L’espansione delle maglie della censura da parte dell’Europa è risalente, e ha trovato fiato soprattutto durante gli anni pandemici, nei quali sono stati mandati avanti appalti per la realizzazione elettronica del sistema.

 

Come riportato da Renovatio 21, Bruxelles i è mossa verso la formalizzazione del «codice di disinformazione» ai sensi del DSA.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Europa si sta scagliando contro i colossi della pornografia web con il pretesto della protezione dei minori ma con il fine, nemmeno tanto dissimulato, di introdurre sistemi di identificazione digitale di precisione per tutti i cittadini, il famoso portafoglio UE.

 

Sullo sfondol’avvio dell’euro digitale, la piattaforma di controllo che ingollerà mezzo milione di europei comandandone per sempre le esistenze. Il credito sociale della Repubblica Popolare Cinese al confronto sembrerà una mite misura liberale.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Google nega di aver scansionato le email e gli allegati degli utenti con il suo software AI

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Google, colosso tecnologico, nega categoricamente i resoconti diffusi all’inizio di questa settimana da vari media autorevoli, affermando che non impiega e-mail e loro allegati per addestrare il suo nuovo modello di intelligenza artificiale Gemini.   Questa settimana, testate come Fox News e Breitbart hanno pubblicato articoli che illustravano ai lettori come «bloccare l’accesso dell’IA di Google alla propria posta su Gmail».   «Google ha annunciato il 5 novembre un aggiornamento che permette a Gemini Deep Research di sfruttare il contesto di Gmail, Drive e Chat», ha riferito Fox News, «consentendo all’IA di estrarre dati da messaggi, allegati e file archiviati per supportare le ricerche degli utenti».   Il sito di informazione statunitense Breitbart ha sostenuto in modo simile che «Google ha iniziato a scandagliare in silenzio le e-mail private e gli allegati degli utenti Gmail per addestrare i suoi modelli IA, imponendo un opt-out manuale per evitare l’inclusione automatica».   Il sito ha citato un comunicato di Malwarebytes, che accusava l’azienda di aver implementato il cambiamento senza notifica agli utenti.   In risposta al clamore, Google ha emesso una smentita ufficiale. «Queste notizie sono fuorvianti: non abbiamo alterato le impostazioni di nessuno. Le funzionalità intelligenti di Gmail esistono da anni e non utilizziamo i contenuti di Gmail per addestrare Gemini. Siamo sempre trasparenti sui cambiamenti ai nostri termini di servizio e alle policy», ha dichiarato un portavoce al giornalista di ZDNET Lance Whitney.

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Malwarebytes ha in seguito rivisto il suo post sul blog, ammettendo di aver «contribuito a una tempesta perfetta di incomprensioni» e precisando che la sua affermazione «non sembra essere» corretta.   Tuttavia, il blog ha riconosciuto che Google «analizza i contenuti delle e-mail per potenziare le sue “funzionalità intelligenti”, come il rilevamento dello spam, la categorizzazione e i suggerimenti di composizione. Ma questo è parte del funzionamento ordinario di Gmail e non equivale ad addestrare i modelli IA generativi».   Questa replica di Google difficilmente placherà gli utenti preoccupati da tempo per le pratiche di sorveglianza delle Big Tech e i loro legami con le agenzie di intelligence.   «Penso che l’aspetto più allarmante sia stato il flusso costante e coordinato di comunicazioni tra FBI, Dipartimento della Sicurezza Interna e le principali aziende tech del Paese», ha testimoniato il giornalista Matt Taibbi al Congresso USA nel dicembre 2023, in un’udienza su come Twitter collaborasse con l’FBI per censurare utenti e condividere dati con il governo.   L’11 novembre, presso la Corte Distrettuale USA per il Distretto Settentrionale della California, è stata depositata una class action contro Google. La vertenza accusa l’azienda di aver violato l’Invasion of Privacy Act della California attivando in segreto Gemini AI per analizzare messaggi di Gmail, Google Chat e Google Meet nell’ottobre 2025, senza notifica o consenso esplicito degli utenti.  

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Meta avrebbe chiuso un occhio sul traffico sessuale: ulteriori documenti del tribunale

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Ulteriori documenti giudiziari appena desecretati rivelano che Meta, la casa madre di Facebook, avrebbe tollerato per anni la presenza di account coinvolti nel traffico sessuale di minori, applicando una politica incredibilmente permissiva che permetteva fino a 17 violazioni prima di sospendere un profilo.

 

L’accusa emerge da una maxi-causa intentata in California da oltre 1.800 querelanti – tra cui distretti scolastici, minori, genitori e procuratori generali di vari Stati – che imputano ai colossi dei social (Meta, YouTube, TikTok e Snapchat) di aver perseguito «una crescita a ogni costo», ignorando deliberatamente i danni fisici e psicologici inflitti ai bambini dalle loro piattaforme.

 

L’ex responsabile della sicurezza di Instagram, Vaishnavi Jayakumar, ha testimoniato sotto giuramento di essere rimasta sconcertata nello scoprire la regola interna dei «17 avvertimenti»: un account poteva violare fino a 16 volte le norme su prostituzione e adescamento sessuale prima di essere sospeso alla diciassettesima infrazione. «È una soglia altissima, fuori da ogni standard di settore», ha dichiarato.

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I documenti dimostrano che Meta era pienamente consapevole di milioni di contatti tra adulti sconosciuti e minori, dell’aggravamento dei problemi mentali negli adolescenti e della presenza diffusa (ma raramente rimossa) di contenuti su suicidio, disturbi alimentari e abusi sessuali su minori.

 

Solo dopo le denunce Meta ha annunciato a USA Today di aver abbandonato la politica dei 17 avvertimenti, passando a una regola di «una sola segnalazione» con rimozione immediata degli account coinvolti nello sfruttamento umano.

 

L’azienda è sotto pressione crescente negli Stati Uniti: all’inizio dell’anno, dopo le rivelazioni sui chatbot AI di Meta che intrattenevano conversazioni sessuali con minori, sono state introdotte nuove restrizioni per gli account adolescenti, consentendo ai genitori di bloccare le interazioni con i bot.

 

A livello globale la situazione è altrettanto critica: la Russia ha bollato Meta come «organizzazione estremista» nel 2022; nell’UE l’azienda affronta una raffica di procedimenti, tra cui una multa antitrust da 797 milioni di euro per Facebook Marketplace e numerose cause per violazione di copyright, protezione dati e pubblicità mirata in Spagna, Francia, Germania e Norvegia.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli anni si sono accumulate varie accuse e rivelazioni su Facebook, tra cui accuse di uso della piattaforma da parte del traffico sessuale, fatte sui giornali ma anche nelle audizioni della Camera USA.

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Due anni fa durante un’audizione al Senato americano era stato denunciato da senatori e testimoni come i social media ignorano le reti pedofile che operano sulle loro piattaforme.

 

Secondo il Wall Street Journal, che già in passato aveva trattato l’argomento, Meta avrebbe un problema con i suoi algoritmi che consentono ai molestatori di bambini sulle sue piattaforme. La cosa stupefacente è il fatto che ai pedofili potrebbe essere stato concesso di connettersi sui social, mentre agli utenti conservatori no,

 

Le accuse sono finite in una storia udienza a Washington di Mark Zuckerberg, che è stato indotto dal senatore USA Josh Holloway a chiedere scusa di persona alle famiglie di bambini danneggiati dal social. Lo Stato del Nuovo Messico ha fatto causa a Meta allo Zuckerberg per aver facilitato il traffico sessuale minorile.

 

L’ultima tornata di documenti del tribunale aveva mostrato anche che Meta avrebbe insabbiato le ricerche sulla salute mentale degli utenti Facebook.

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Immagine di Minette Lontsie via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Meta ha insabbiato la ricerca sulla salute mentale di Facebook: documenti in tribunale

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Documenti giudiziari recentemente declassificati rivelano che Meta, la casa madre di Facebook, ha occultato i risultati di uno studio interno sugli effetti dannosi per la salute mentale derivanti dall’uso della piattaforma social.   Le comunicazioni interne dell’azienda sono state rese pubbliche venerdì nell’ambito di una causa di lunga data e di alto profilo promossa da vari distretti scolastici USA contro diverse società di social media. L’accusa principale è che le loro piattaforme abbiano provocato dipendenza e danni psicologici tra minori e adolescenti.   In un’indagine del 2020, nota come «Project Mercury», Meta ha invitato un campione di utenti a sospendere l’uso di Facebook per una settimana, confrontandoli con un gruppo di controllo che ha proseguito normalmente. I risultati, a sorpresa dell’azienda, hanno indicato che i partecipanti disattivati hanno segnalato «minori livelli di depressione, ansia, solitudine e confronto sociale».   Invece di approfondire o divulgare i dati, Meta ha interrotto lo studio, attribuendo i feedback dei partecipanti all’«influenza della narrazione mediatica negativa» sull’azienda.

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Nonostante le evidenze interne sul legame causale tra Facebook e i danni psicologici, «Meta ha mentito al Congresso su ciò che sapeva», accusano i documenti.   Negli ultimi mesi, il gigante dei social è al centro di un’attenzione crescente negli USA. A ottobre, Meta ha introdotto nuove protezioni per gli «account adolescenti», permettendo ai genitori di bloccare le interazioni con i chatbot AI dell’azienda, dopo rivelazioni su conversazioni romantiche o sensuali con minori.   L’azienda affronta inoltre le pressioni della Federal Trade Commission, che la accusa di monopolio sui social network.   La scorsa settimana, tuttavia, un tribunale distrettuale di Washington ha dato ragione a Meta nella vertenza antitrust, stabilendo che la FTC non ha provato l’esistenza attuale di un monopolio, «indipendentemente dal fatto che Meta abbia goduto o meno di un potere monopolistico in passato».   Come riportato da Renovatio 21, in passato era stata segnalato che un numero crescente di prove scientifiche suggerisce che potrebbe esserci un legame tra l’uso dei social media e la depressione. Uno studio del 2022 parlava invece di «stato dissociativo» indotto dai social.   Nonostante negli USA vi siano state udienze in Senato sui pericoli dei social – dalla presenza di predatori pedofili alle questioni legate all’anoressia al traffico di esseri umani – in Italia nessun politico sembra voler intraprendere una discussione sulla questione: temono probabilmente che l’algoritmo, che certo contribuisce alla somma dei voti che li fa eleggere e rieleggere, potrebbe punirli.

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