Cina
Trump aumenta i dazi, la Cina risponde minacciando: pronti alla «guerra commerciale o qualsiasi altro tipo di guerra» contro gli USA

La Cina ha dichiarato di essere pronta a combattere «una guerra commerciale o qualsiasi altro tipo di guerra» contro gli Stati Uniti dopo che il presidente Donald Trump ha imposto tariffe più elevate sui prodotti cinesi.
In risposta all’aumento dei dazi sui prodotti cinesi imposto da Trump, il ministero degli Affari Esteri cinese ha dichiarato: «se ciò che vogliono gli Stati Uniti è la guerra, che si tratti di una guerra tariffaria, commerciale o di qualsiasi altro tipo di guerra, siamo pronti a combattere fino alla fine».
L’agenzia Reuters riferisce che il 4 marzo è entrata in vigore un’imposta aggiuntiva del 10% sui beni provenienti dalla Cina, che si aggiunge al 10% già imposto il 4 febbraio e a un altro 25 percento sulle importazioni cinesi imposto durante il primo mandato di Trump.
«Altri Paesi hanno applicato tariffe contro di noi per decenni, e ora è il nostro turno», ha detto Trump nel suo discorso al Congresso di martedì, citando le elevate tariffe imposte sui beni statunitensi da India, Cina, Corea del Sud, Unione Europea e altri.
Anche i nuovi dazi del 25%di Trump sui beni provenienti da Canada e Messico sono entrati in vigore martedì. Il Segretario al Commercio degli Stati Uniti Howard Lutnick ha affermato che i funzionari statunitensi stanno ancora negoziando con Messico e Canada e che la riduzione dei dazi è ancora possibile se i vicini degli Stati Uniti si impegnano a fare di più per impedire al fentanyl di entrare nel Paese.
La risposta bellicosa del ministero cinese ricorda la diplomazia dei cosiddetti «wolf warrior», diplomatici di grande aggressività (il nome viene dal titoli di un film d’azione cinese), un esponente dei quali era con l’ex portavoce degli Esteri Zhao Lijian, poi rimosso dall’incarico. È considerato un «guerriero-lupo» anche il ministro degli Esteri Qin Gang, già ambasciatore in USA.
Da anni si parla dell’inevitabilità di uno scontro tra USA e Cina, con movimenti specifici da parte dei legislatori, con alla base sempre il nodo di Taiwano.
Xi Jinping, giacchetta alla Mao, tre anni fa aveva annunciato solennemente nel suo discorso per il centenario del Partito Comunista Cinese la volontà di «riunificare» la Cina, cioè invadere quella che definisce una «provincia ribelle».
Le tensioni nell’area riguardano anche Giappone e Australia, con continue frizioni diplomatiche e provocazioni militari.
L’attacco a Formosa da parte di Pechino sarebbe il colpo di grazia per l’economia mondiale, che è totalmente dipendente dalla manifattura dei microchip made in Taiwan. Ciò è definito lo «scudo dei microchip»: fino a che Taipei avrà la primazia sui microprocessori, sarebbe improbabile un attacco della Cina, che spingerebbe gli USA, che dipendono grandemente dai chip cinesi, ad intervenire.
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Cina, Bambini presi di mira da politiche antireligiose

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Cina
COVID, blogger cristiana cinese condannata ad altri quattro anni di carcere

Una blogger cristiana cinese già condannata a quattro anni di carcere per aver documentato le prime fasi della pandemia di COVID da Wuhan è stata condannata ad altri quattro anni di carcere.
Zhang Zhan, 42 anni, è stata condannata in Cina con l’accusa di «aver attaccato briga e provocato disordini», la stessa accusa che ha portato alla sua prima incarcerazione nel dicembre 2020. L’accusa viene spesso utilizzata per perseguire i giornalisti che si esprimono contro il governo cinese o rivelano verità imbarazzanti.
Zhang ha pubblicato i resoconti di testimoni oculari di Wuhan sulla diffusione iniziale del COVID-19, compresi video, di strade vuote e ospedali affollati che dimostravano che la situazione a Wuhan era molto peggiore di quanto affermassero le autorità cinesi. I filmati della Zhanga sono stati visualizzati centinaia di migliaia di volte.
Il suo avvocato dell’epoca, Ren Quanniu, aveva affermato che Zhan credeva di essere stata «perseguitata per aver violato la sua libertà di parola». Dopo la prigionia, aveva iniziato uno sciopero della fame e fu alimentata forzatamente tramite un sondino.
Come riportato da Renovatio 21, cinque anni fa erano emerse notizie della sua cattiva salute e di una sua possibile tortura in carcere.
Era stata rilasciata nel maggio 2024. Secondo Quanniu, è stata nuovamente arrestata perché aveva commentato su siti web stranieri, tra cui YouTube e X.
🚨🇨🇳CHINA TO RELEASE JOURNALIST JAILED OVER COVID REPORTING
After spending four years behind bars for her reporting of the Covid outbreak and lockdowns in Wuhan, Zhang Zhan is set to be released today after completing her sentence.
— Kacee Allen (@KaceeRAllen) May 14, 2024
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Un portavoce del governo cinese ha dichiarato: «il caso riguarda la sovranità giudiziaria della Cina e nessuna forza esterna ha il diritto di interferire. I suoi diritti legittimi saranno pienamente rispettati e tutelati».
«Questa è la seconda volta che Zhang Zhan viene processata con accuse infondate che non rappresentano altro che un palese atto di persecuzione per il suo lavoro giornalistico», ha affermato Beh Lih Yi, direttore per l’area Asia-Pacifico del Comitato per la protezione dei giornalisti con sede a Nuova York.
«Le autorità cinesi devono porre fine alla detenzione arbitraria di Zhang, ritirare tutte le accuse e liberarla immediatamente». La Cina costituisce la prigione per giornalisti più grande del mondo. Si ritiene che attualmente vi siano detenuti oltre 100 giornalisti.
Come riportato da Renovatio 21, il nuovo processo era iniziato sei mesi fa.
Prima della pandemia di COVID, l’attivista e giornalista cristiana era già stata arrestata nel settembre 2019 per aver sfilato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, in segno di solidarietà con le proteste di Hong Kong. Con le prime notizie della pandemia, si era recata a Wuhan per documentare gli eventi, pubblicando circa cento video in tre mesi e rispondendo alle domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020, è stata la prima blogger a essere condannata per le informazioni diffuse sulla pandemia.
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Immagine screenshot da YouTube
Cina
Trump blocca l’accordo sulle armi con Taiwano

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