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Tokyo: i cinque candidati per la leadership del Partito liberaldemocratico

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Al via la corsa per sostituire il primo ministro Shigeru Ishiba alla guida della forza conservatrice giapponese, che ha quasi sempre guidato il governo. Riflettori puntati sul giovane ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi, dell’ala liberale, e su Sanae Takaichi, nazionalista vicina all’ex premier Shinzo Abe, che potrebbe diventare la prima donna premier. Al centro della campagna restano inflazione e caro vita, mentre i candidati discutono su come ricostruire la base elettorale erosa dai nuovi movimenti di estrema destra.

 

È ufficialmente iniziata in Giappone la corsa alla guida del Partito Liberal Democratico (LDP), dopo l’annuncio, il 7 settembre, del premier Shigeru Ishiba di voler lasciare l’incarico. Le elezioni interne si terranno il 4 ottobre: il nuovo leader del partito sarà con tutta probabilità eletto anche primo ministro, dato che l’LDP resta la forza di maggioranza alla Camera bassa.

 

Alla competizione partecipano cinque parlamentari, gli stessi che si erano già sfidati lo scorso anno: il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi, 44 anni, l’ex ministra dell’Interno, Sanae Takaichi, 64 anni, il segretario capo di gabinetto Yoshimasa Hayashi, 64 anni, l’ex ministro degli Esteri Toshimitsu Motegi, 69 anni, e l’ex ministro per la sicurezza economica Takayuki Kobayashi, 50 anni.

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Koizumi e Takaichi sono considerati i principali favoriti. Figlio dell’ex premier Junichiro Koizumi, Shinjiro rappresenta l’ala liberale del partito e, se eletto, diventerebbe il più giovane primo ministro del Giappone nel dopoguerra. È salito alla ribalta di recente per la gestione della crisi legata all’aumento del prezzo del riso, promettendo salari più alti e maggiore produttività. Takaichi, invece, è la candidata della destra conservatrice, vicina all’ex premier Shinzo Abe: nazionalista, nota per le visite al controverso santuario Yasukuni e per il sostegno a una revisione della Costituzione pacifista, diventerebbe la prima donna premier nella storia del Paese. All’inizio di quest’anno ha anche visitato Taiwan, l’isola democratica rivendicata dalla Cina, dove ha suggerito che Taiwan, Giappone e altri partner possano formare una sorta di «quasi-alleanza di sicurezza».

 

Gli altri tre candidati puntano a proporsi come figure di equilibrio. Hayashi, già ministro degli Esteri e attuale portavoce del governo, è visto come un politico pragmatico, attento a misure di sostegno per famiglie e territori colpiti dalle catastrofi. Motegi, veterano della politica ed ex capo della diplomazia, ha la reputazione di severo negoziatore, con un passato da ministro del Commercio e studi a Harvard. Kobayashi, ex ministro per la sicurezza economica, propone riduzioni fiscali generalizzate e una stretta sui capitali stranieri nei settori strategici.

 

Il nuovo leader sarà scelto attraverso un sistema a due livelli: 295 voti spettano ai parlamentari e 295 agli iscritti di base del partito. Se nessuno otterrà la maggioranza assoluta al primo turno, i due più votati si sfideranno in un ballottaggio decisivo in cui peseranno soprattutto i voti dei deputati. Rispetto allo scorso anno, il corpo elettorale del partito è sceso da 1,05 milioni a 915mila iscritti, un calo del 13%, mentre i deputati dell’LDP si sono ridotti da 368 a 295, dopo due sconfitte consecutive nelle elezioni nazionali del 2024 e del 2025.

 

Al centro del dibattito restano l’inflazione e il caro vita, che gli elettori chiedono di affrontare con urgenza. Tutti i candidati propongono nuove misure fiscali, ma con approcci diversi: Koizumi intende aumentare le detrazioni sul reddito e abolire la tassa temporanea sulla benzina in vigore dal 1974; Takaichi vuole innalzare la soglia di reddito esente per i lavoratori part-time, prevedendo anche crediti d’imposta per i redditi più bassi; Kobayashi propone una riduzione forfettaria delle imposte per tutti; Motegi punta ad ampliare i trasferimenti agli enti locali. Nessuno, però, ha messo in discussione l’imposta sui consumi al 10%, fondamentale per finanziare i piani di previdenza sociale, ma da anni al centro di un dibattito all’interno del partito.

 

Sul piano politico, il nuovo leader dovrà ricostruire la base conservatrice del partito, erosa dalle formazioni emergenti (come il partito di estrema destra Sanseito) che hanno catalizzato consensi con promesse di forti tagli fiscali e restrizioni all’immigrazione. Il partito conservatore, che ha governato quasi ininterrottamente dopo la Seconda guerra mondiale, guida ora con una coalizione di minoranza. Per questo, alcuni candidati, e in particolare Koizumi, hanno aperto alla possibilità di un’alleanza con i partiti moderatidell’opposizione, come il Partito dell’innovazione giapponese o il Partito democratico per il popolo.

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Resta invece poco probabile lo scenario di elezioni anticipate, anche se in teoria i partiti di opposizione potrebbero impedire che il leader dell’LDP venga nominato primo ministro bloccando la sua designazione in una sessione parlamentare speciale dopo il 4 ottobre.

 

Dopo la débâcle di luglio per la Camera alta e due mesi di stallo politico, sia Koizumi che Takaichi hanno escluso lo scioglimento della Camera bassa per concentrarsi sul contrasto all’inflazione, ed evitare «un nuovo vuoto politico». Anche i membri del partito hanno finora segnalato la volontà di far avanzare l’agenda politica, evitando figure ideologiche che rischino di accentuare le divisioni interne e alimentare la paralisi.

 

Nei prossimi giorni i candidati si confronteranno in una serie di dibattiti a Tokyo, Nagoya e Osaka, con l’obiettivo di convincere iscritti e parlamentari. Dal risultato dipenderà non solo il futuro del governo giapponese, ma anche la stabilità economica e le relazioni con gli altri Paesi della regione, in particolare la Cina, Taiwan e la penisola coreana.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di 首相官邸 (PMO) via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

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Elezioni a sindaco di una cittadina tedesca, escluso il candidato AfD. Affluenza al 29%

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Al candidato di Alternativa per la Germania (AfD), Joachim Paul, è stato impedito di partecipare alle elezioni per la carica di sindaco della cittadina Ludwigshafen. Il metodo usato per escluderlo potrebbe diffondersi, rappresentando – nonostante quanto sostiene la sinistra – la vera minaccia alla democrazia in Germania.   Attraverso una perizia dell’Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione (BfV), commissionata dal ministro degli Interni della Renania-Palatinato, guidato dal partito socialdemocratico (SPD), Paul è stato escluso tramite i tribunali. Si è trattato di un processo segreto, confermato da tre diversi tribunali dopo numerosi ricorsi presentati dagli avvocati dell’AfD.   «Notte elettorale senza la barra blu. E senza un’alternativa! Notevole: bassa affluenza alle urne e un numero relativamente alto di voti nulli. Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuto nelle ultime 6 settimane! Grazie di cuore!» ha scritto Paul sulla sua pagina X.  

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È decisivo notare che il Paul era in testa nei sondaggi prima di essere rimosso dalla scheda elettorale. Nessuno lo ha sostituito, lasciando l’AfD senza rappresentanza alle elezioni.   L’affluenza alle urne per le elezioni del sindaco ha raggiunto un minimo storico, appena il 29,3%. Nel 2017, la candidata della SPD Jutta Steinruck vinse con il 60,2% dei voti, un’affluenza dimezzata rispetto a quelle elezioni. Non solo: molti elettori hanno espresso il loro dissenso con schede «nulle». Un record del 9,2% delle schede è stato dichiarato invalido, contro il 2,6% di otto anni fa.   Nei risultati finali, con Paul escluso, Klaus Blettner (CDU) e Jens Peter Gotter (SPD) sono passati al ballottaggio, con il 41,2% e il 35,5% dei voti rispettivamente. Martin Wegner (SPD) ha ottenuto il 15,7%, e Michaela Schneider-Wettstein (Volt) il 7,6%.Tuttavia, sostenere che il vincitore del ballottaggio abbia un «mandato» popolare in un’elezione democratica e corretta appare discutibile, se non ridicolo: il 70% degli elettori ha  scelto di non votare e molti abbiano protestato con voti non validi.   Paul ha dichiarato di non arrendersi e ha comunicato ai media di aver avviato ulteriori azioni legali il giorno stesso delle elezioni. «Siamo determinati a candidarci alle elezioni. Se dopo il primo turno o dopo il ballottaggio, la decisione spetta ai miei avvocati», ha dichiarato Paul all’agenzia di stampa tedesca.   Altri tribunali hanno già respinto i tentativi di Paul di essere reintegrato nella scheda elettorale prima delle elezioni, invitandolo a procedere legalmente dopo il voto.   Anche la co-leader del partito Alice Weidel ha criticato l’elezione: «solo il 29,3% dei residenti di Ludwigshafen ha partecipato alle elezioni del sindaco, da cui è stato escluso il candidato dell’AfD Joachim Paul. Una democrazia prospera grazie alla libertà di scelta, ma questa non è stata nemmeno concessa ai cittadini», ha scritto la Weidel.   Tuttavia, le proteste sue e del partito avranno probabilmente scarso impatto sull’uso di questa nuova tattica. L’unico rimedio potrebbe essere attraverso i tribunali, molti dei quali hanno giudici ostili all’AfD.

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Al contrario, il sindaco uscente Steinruck sostiene che bandire un candidato attraverso un processo burocratico senza precedenti sia semplicemente «stato di diritto». «Ci sono delle regole. Noi, come comitato elettorale, abbiamo ovviamente aderito a queste regole. Ora ci sono tre sentenze giudiziarie che lo confermano». Ha aggiunto che il fatto che le persone «mettano in discussione» lo stato di diritto la rende «triste». «Dobbiamo tutti continuare a lavorare su questo in futuro», ha concluso Steinruck.   La grande prova della democrazia germanica arriva mentre il dibattito sulla messa al bando dell’intero partito AfD continua a infuriare. L’AfD si attesta tra il 26 e il 27% nei sondaggi nazionali e potrebbe raggiungere il 30% entro il prossimo anno.   Dal picco ora raggiunto il partito potrebbe scendere, tuttavia il governo federale rimane profondamente impopolare. Problemi come un’economia in difficoltà, un’immigrazione alle stelle, un aumento della criminalità, scuole in crisi, livelli di debito elevati e una politica energetica disastrosa non sembrano destinati a risolversi.   Queste condizioni favoriscono la AfD. La pressione per un divieto totale aumenterà con la crescita della popolarità del partito, ma, in assenza di ciò, sempre più candidati dell’AfD potrebbero essere esclusi dalle elezioni con il metodo usato per eliminare il candidato Paul.   Come riportato da Renovatio 21, AfD ha notevolmente rafforzato la propria posizione nella Renania Settentrionale-Vestfalia, conquistando il terzo posto alle elezioni regionali di due domeniche fa.   In un post su X, l’AfD ha proclamato di essere diventato il «partito popolare» della regione, con un risultato quasi triplicato rispetto alle elezioni del 2020, passando dal 5,1% al 14,5%. Il partito ha attribuito questo successo a un crescente «desiderio di un vero cambiamento politico» nella regione più popolosa della Germania.   Come riportato da Renovatio 21, un sondaggio del mese scorso ha rilevato che AfD sarebbe il primo partito del Paese, superando il blocco democristiano del Merz.   Come riportato da Renovatio 21, a giugno il capo della polizia del Bundestag tedesco, Uli Grötsch, ha chiesto che tutti i membri del partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) vengano rimossi dal servizio di polizia.

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Un mese prima l’agenzia di Intelligence interna tedesca ha temporaneamente sospeso la classificazione di AfD come gruppo «estremista di destra confermato», in attesa dell’esito di un ricorso legale. La tregua, tuttavia, arriva in anni di lotta persistente contro la formazione politica sovranista.   Nelle ultime elezioni negli stati di Sassonia e Turingia, l’AfD ha demolito la coalizione di sinistra al potere. In Turingia, ha ottenuto i voti del 37% dei 18-24enni. La crescita del partito ha portato anche a fenomeni di cannibalismo elettorale fra i partiti della coalizione, con la sparizione totale dei Verdi dal Parlamento del land del Brandeburgo.   Come riportato da Renovatio 21, Verdi e democristiani avevano segnalato la volontà di bandire l’AfD ancora mesi fa, quando era emerso che era divenuto il secondo partito del Paese e il primo della parte orientale. Nell’ultimo episodio di trasformismo compromissorio democristiano, la CDU si è dichiarata pronta ad allearsi con il partito ecologista per fermare l’avanzata di AfD e del nuovo partito populista di sinistra anti-guerra ed antri immigrati di Sahra Wagenknecht il BSW.  

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Duterte accusato di «crimini contro l’umanità»

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La Corte penale internazionale (CPI) ha accusato l’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte di «crimini contro l’umanità». I pubblici ministeri hanno affermato che la sua spietata guerra alla droga ha provocato almeno 76 omicidi e hanno sostenuto che il numero reale delle vittime è significativamente più alto.

 

L’atto d’accusa, redatto in 15 pagine e datato 4 luglio ma reso pubblico solo lunedì, sostiene che Duterte è responsabile di omicidi commessi durante il suo mandato come sindaco di Davao City e come presidente, inclusi 19 omicidi tra il 2013 e il 2016, 14 morti di «obiettivi di alto valore» nel 2016-2017 e 43 omicidi durante operazioni di «bonifica» più ampie fino al 2018. I pubblici ministeri affermano che altre migliaia di persone sono state uccise durante queste operazioni.

 

La CPI, tuttavia, ha ricevuto critiche internazionali e accuse di parzialità per la sua presunta incapacità di affrontare le atrocità commesse dai paesi occidentali. Stati Uniti, Cina e Russia non sono membri della Corte, che ha spesso incontrato difficoltà nell’esecuzione dei mandati di arresto, poiché dipende dalla cooperazione degli Stati.

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Duterte, oggi ottantenne, ha lanciato la sua cosiddetta «guerra alla droga» dopo la sua elezione nel 2016, promettendo di eliminare i sospetti spacciatori e incitando l’opinione pubblica a colpire i tossicodipendenti. La dura repressione ha causato la morte di circa 30.000 persone, per lo più povere nelle aree urbane.

 

Secondo Human Rights Watch, una parte significativa degli omicidi è stata commessa dalla polizia su istigazione del governo Duterte, sebbene l’ex presidente abbia negato di aver autorizzato omicidi extragiudiziali. Tuttavia, Duterte ha ammesso di aver mantenuto uno «squadrone della morte» di criminali per contrastare altre bande durante il suo mandato come sindaco.

 

La CPI ha emesso un mandato di arresto per Duterte il 7 marzo, e le autorità filippine hanno arrestato l’ex presidente pochi giorni dopo, trasferendolo all’Aja. La decisione è stata presa nonostante le Filippine si fossero ritirate dallo Statuto di Roma, che regola la CPI, nel 2019.

 

In una sentenza del 2021, la Corte Suprema delle Filippine ha ribadito che il Paese ha ancora l’obbligo di cooperare con i procedimenti della CPI.

 

Il team legale di Duterte sostiene che la CPI non ha giurisdizione dopo il ritiro e ha richiesto la libertà provvisoria per motivi di salute.

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro mesi fa dal carcere dell’Aia Duterte è riuscito a vincere le elezioni a sindaco di Davao.

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Condannato in primo grado il figlio di Grillo. Per il misfatto che corse con il fatale cambiamento di governo 2019

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Il figlio del fondare del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo, Ciro Grillo è stato condannato con i suoi amici per stupro in un processo che va avanti da più di un lustro.   Il processo per il presunto stupro di gruppo su due giovani donne, avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 a Porto Cervo, si è concluso con la condanna di tutti e quattro gli imputati. Il Tribunale di Tempio Pausania, presieduto dal giudice Marco Contu, dopo tre ore di camera di consiglio, ha emesso una sentenza 8 anni di carcere per Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S e due amici, mentre 6 anni e 6 mesi per un quarto ragazzo.   Nessuno degli imputati era presente in aula, così come la principale accusatrice, una studentessa italo-norvegese di 19 anni all’epoca dei fatti.

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I fatti si sono verificati nella villa di vacanza della famiglia Grillo, in Costa Smeralda, presso un lussuoso residence chiamato Pevero Golf.   All’epoca, sia gli imputati che le vittime avevano 19 anni. Secondo l’accusa, i quattro giovani avrebbero compiuto uno stupro di gruppo ai danni della ragazza, che avrebbe subito una violenza sessuale da uno degli amici prima dell’aggressione collettiva. La ragazza ha sempre sostenuto di essere stata violentata inizialmente da uno degli amici di Grillo e successivamente anche dagli altri.   L’amica della ragazza ha denunciato abusi da parte di tre degli imputati (escluso il primo) diverse settimane dopo i fatti. Gli abusi subiti dalla seconda vittima consistono in foto e un video a sfondo sessuale, girati dai tre mentre dormiva su un divano. Le immagini sono state ritrovate dagli inquirenti nei telefoni degli imputati, e la seconda ha scoperto di essere stata vittima solo quando è stata contattata dalle autorità, non essendosi accorta di nulla al momento dei fatti. Degno di nota il fatto che, a quanto ci è dato di vedere, dei filmati della notte brava esistono degli screenshot (così almeno sembra da Dagospia) ma non le versioni integrali, nemmeno censurate, che a quanto sembra, per una volta, non hanno saputo «uscire» dalla procura.   Tuttavia un video lo fece Beppe Grillo in persona, che nell’aprile 2019 si filmò, a metà tra un uomo irato e un padre disperato, mentre attaccava la situazione chiedendo addirittura di essere arrestato lui.  

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«Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale, insieme ad altri tre ragazzi» dice il comico fondatore di quello che è stato il primo partito politico italiano per voti (in ispecie a Sud).   «Perché non sono stati arrestati? Ce li avrei portati io in galera, a calci nel culo… perché vi siete resi conto che non è vero niente» continuava urlando il Grillo battendo le mani sui tavoli. «Perché una persona viene stuprata alla mattina, al pomeriggio va in kite-surf… otto giorno dopo fa la denuncia… vi è sembrato strano? Bene vi è sembrato strano – è strano» grida, divenendo paonazzo in volto. Si tratta di uno degli argomenti circolanti riguardo l’attendibilità della ragazza, cui con evidenza il tribunale ha dissentito.   Grillo faceva poi riferimento al video della serata. «C’è tutto il video, passaggio per passaggio… si vede che c’è la consenzienzietà [sic], si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni, che si stanno divertendo, che sono in mutande, che sono in mutande e saltellano, con il (…) così perché sono quattro coglioni non quattro stupratori».   «Io sono stufo perché sono due anni… e se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente allora arrestate me, perché ci vado io in galera».   La sfuriata del potente comico sollevò polemiche, considerando il peso politico – all’epoca il M5S era partito di governo – che la figura poteva avere allora.   Il Corriere della Sera oggi parla con una fonte che assicura che Beppe e Parvin [moglie di origine iraniana di Grillo e madre di Ciro, sempre, con una certa eleganza, lontana dai riflettori, ndr] erano preoccupati per una possibile sentenza dura. Un’eventualità che ovviamente scongiuravano. Loro credono e hanno sempre creduto nell’innocenza di Ciro».   Ciro Grillo, già campione italiano di Savate (la boxe francese, che prevede anche l’uso di calci), laureatosi a pieni voti in giurisprudenza e attualmente avvocato praticante a Genova, in una dichiarazione spontanea ha detto che a dicembre diverrà padre. La prospettiva aggiunge dolore alla situazione: assieme ad altri due amici è stato condannato a otto anni di carcere (il quarto ha preso sei anni e mezzo), ben oltre i due anni per cui scatta la condizionale.   In Italia, il reato di violenza sessuale (comunemente chiamato stupro) è previsto dall’articolo 609-bis del Codice Penale e prevede una pena principale della reclusione da sei a dodici anni. Quindi, questa condanna a 8 anni si presenterebbe come nel mezzo tra la minima e la massima comminabile. La pena si applica a chi, con violenza, minaccia o abuso d’autorità, costringe qualcuno a compiere o subire atti sessuali. La pena può essere aumentata in presenza di aggravanti, come la violenza di gruppo, mentre può essere diminuita nei casi di minore gravità.   È difficile non empatizzare con il sentimento paterno di Grillo, specie riguardando il video qui sopra. Tuttavia va anche detto che dei genitori della ragazza, apparsi solo in articoli e rarissime interviste, non è ci è data possibilità di fare altrettanto, vista la totale mancanza di foto e pubblicità. Chi ha un figlio e una figlia può solo immaginare un simile incubo capitare a uno o all’altra, e a tutta la famiglia.   Tuttavia, non è su questa storia comunque tragica – per la quale molti hanno smesso di accorparsi in tifoserie abbastanza presto – che vogliamo soffermarci, ma sulla sua presenza all’interno della storia politica italiana.   Nelle stesse ore in cui si consumava il fatto, per una coincidenza davvero significativa, era entrato in crisi il governo gialloverde. Salvini, forte di una percentuale di voti del 34% dei voti italiani alle elezioni europee di poche settimane prima — quando aveva messo in fila, sun un palco sotto la Madonnina del Duomo di Milano, ogni singolo leader populista europeo, da Marine Le Pen in giù – chiedeva più poteri alla Lega, mentre crescevano all’interno dei membri del Carroccio impegnati nell’esecutivo la frustrazione nei confronti del premier Giuseppe Conte.   Ricorderete, erano i giorni del Papeete, con Salvini a petto nudo in consolle con il DJ della spiaggia di Milano Marittima. La crisi di governo scopperà ad agosto e farà cadere il Conte I. Secondo i probabili calcoli di Salvini, la caduta dell’esecutivo avrebbe dovuto portare al voto, dove la Lega avrebbe raccolto un plebiscito. Le cose andarono in maniera molto differente.

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La stampa nazionale, praticamente quasi nelle stesse ore in cui accadeva la vicenda di Ciro e amici in Sardegna, rilanciava uno scoop del quotidiano Il Tirreno che parlava di una riunione segreta dei vertici del M5S a Bibbona, nella villa al mare di Grillo – oggi oggetto di polemica per la concessione di un arenile privato sulla spiaggia.   «Porta chiusa a un ritorno con Salvini e con la Lega e addio alla maggioranza gialloverde. Beppe Grillo, a due giorni dal discorso in aula del premier Conte, ha tenuto nella sua villa a Marina di Bibbona (Livorno) un vertice con Roberto Fico e Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Davide Casaleggio» riportava Repubblica il 18 luglio.   Finito il meeting, il Movimento aveva diramato una nota: «Tutti i presenti, si legge in una nota, si sono ritrovati compatti nel definire Salvini un interlocutore non più credibile. Prima la sua mossa di staccare la spina al governo del cambiamento l’8 agosto tra un mojito e un tuffo. Poi questa vergognosa retromarcia in cui tenta di dettare condizioni senza alcuna credibilità, fanno di lui un interlocutore inaffidabile, dispiace per il gruppo parlamentare della Lega con cui è stato fatto un buon lavoro in questi 14 mesi».   Sappiamo che pochi giorni dopo sarebbe arrivata la denuncia ai carabinieri della compagnia Duomo di Milano della ragazza contro il figlio di Grillo è compagnia: era il 6 agosto. Proprio a ridosso del fatidico 8 agosto.   Accade quindi l’impensabile: il M5S, contrariamente al progetto di Salvini di andare ad elezioni, si allea con il PD e forma una nuova maggioranza. Il fatto è clamoroso: tanto per ricordare, sempre il 18 luglio 2019 il ministro dello Sviluppo Economico M5S Luigi Di Maio aveva provlamato in video che «con il partito di Bibbiano non ci voglio avere nulla a che fare. Con il partito che in Emilia-Romagna toglieva le famiglie ai bambini con l’elettroshock per venderseli, io non voglio avere nulla a che fare».  

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L’onorevole Giggino confondeva, come molti all’epoca, l’elettroshock con la terapia antitraumatica EMDR, che aveva comunque all’epoca sollevato controversia.   E invece: il M5S in quelle settimane decisive si alleò esattamente con il PD, dando vita al Conte-bis. Non solo è tenuto in piedi Giuseppe Conte come presidente del Consiglio, ma Di Maio viene «promosso» a minsitro degli Esteri, ruolo per cui sarà preso in giro dai russi davanti ai discorsi fatti a ridosso dello scoppio della guerra ucraina.   Ulteriormente, era conservata tale e quale la posizione del guardasigilli, che restava Alfonso Bonafede, detto DJ Fofo: il ministero della Giustizia, quindi, restava ai pentastellati.   All’esplodere del caso dello stupro in Costa Smeralda, si sprecarono le illazioni, di cui si fece campione l’inesausto Vittorio Sgarbi. In Parlamento, a seguito delle dichiarazioni programmatiche del primo ministro Conte il 9 settembre 2019, il critico d’arte fa insinuazioni tremende: «È tempo di grandi padri, di elevati maestri, ed ecco il Governo Grillo-Renzi. Eppure quando il figlio fu accusato del delitto Montesi il padre, il Ministro degli esteri Attilio Piccioni, si dimise; quando il figlio dell’elevato Grillo è stato accusato di stupro, Grillo ha fatto Di Maio Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, cercando la copertura del PD che controlla i giudici, vedi il caso Palamara».     Il riferimento è al caso Montesi (1953), quando venne trovata annegata la 21enne Wilma Montesi, una bella ragazza di Roma il cui caso era stato chiuso con la spiegazione di un malore a seguito di un pediluvio in mare. La stampa non accettò e si cominciò a parlare di complotto di copertura di potenti personaggi che sarebbero stati implicati. Fu messo alla gogna mediatica il giovane jazzista Piero Piccioni, conosciuto anche come Piero Morgan e noto per le sue colonne sonore dei film di Alberto Sordi, il cui padre, Attilio Piccioni, era vicepremier e ministro degli Esteri, nonché tra i massimi esponenti della DC: a causa dello scandalo, che aveva portato in carcere a Regina Coeli il figlio poi scagionato completamente, si dimise da ogni carica. Il caso Montesi rimane irrisolto.   Le medesime storie, coperto dall’immnunità parlamentare, lo Sgarbi va ripetendole alla TV nazionale. «Sono in rapporti stretti con grillini a cui Grillo avrebbe confessato che il suo unico problema in quel momento era tutelare il figlio» dice Sgarbi nella trasmissione di La7 di Giletti, lamentando di non poterne parlare in nessun altro talk show.  

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Sono illazioni terrificanti, che all’epoca magari circolavano, ma che Sgarbi era piuttosto solo ad esprimere.   Rammentiamo la profezia di Sgarbi, che nel 2021 condannò il video di difesa pubblicato dal Grillo (quello dell’«arrestate me»), dicendo che ora il figlio dovrà ringraziare il padre «per il rinvio a giudizio e per la condanna che avrà». «Se c’era un 10% di possibilità che l’indagine fosse archiviata, l’intervento superbo di Grillo ha dato ai magistrati lo spunto per il rinvio a giudizio» procede Sgarbi, ripreso dall’agenzia Adnkronos e dalla stampa nazionale. «L’accelerazione per il rinvio a giudizio si deve a Grillo» spiegava il deputato. «Essendo stato sempre amico dei magistrati ha pensato di fare l’intervento più utile. I magistrati potevano anche archiviare, qualche possibilità c’era, così per fare perfetta chiarezza grazie all’intervento di Grillo sono stati rinviati a giudizio».   «È anche vero che con un rinvio a giudizio per un reato di quel genere la condanna è certa» vaticinava lo Sgarbi. Il margine che, nella società Me Too, una donna abbia mentito se anche fosse reale, verrebbe annullato dallo spirito dei tempi. Anche se le donne fossero state consenzienti, cosa che peraltro non credo, il tempo è tale che loro verrebbero condannati lo stesso. Qualunque cosa venga fuori le ragazze risulteranno delle vittime anche se fossero state consenzienti. Perché il consenso sarebbe stato estorto con l’ubriachezza o con la droga»   «Saranno condannati sia che siano colpevoli, come io credo, sia che siano stati semplicemente travolti da una situazione equivoca come dice Grillo. Non esiste alcuna possibilità che siano assolti».   Parrebbe che lo Sgarbi, almeno su quest’ultimo punto, abbia avuto ragione, ma non è nemmeno questo il dato che ci deve interessare. È l’ipotesi di una qualche influenza del misfatto sulla creazione del Conte-bis.   Dobbiamo guardare a quanto è successo pochi mesi dopo: il mondo va in lockdown, l’Italia viene sequestrata prima, e poi obbligata al siero genico sperimentale fatto con aborti, da un governo a trazione grillina. Ad affrontare il momento fatale l’Italia si ritrova con il PD (ricordate un nome: Roberto Speranza) più la banda dei grillini di governo. La ricetta giusta, uno pensa, per la devastazione infinita che abbiamo subito.   Qualcuno può pensare: una storia torbida di ragazzi può aver partorito l’era dei DPCM di Conte, e tutta la devastazione – economica, sociale, politica, spirituale, biologica – che ne è derivata?   Il dolore di Grillo padre, può aver partecipato alla catastrofe umana della tirannide pandemica innescata in Italia e non ancora fermatasi?   Roberto Dal Bosco

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Immagine di Giovanni Favia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic  
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