Politica
Tokyo: i cinque candidati per la leadership del Partito liberaldemocratico

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Al via la corsa per sostituire il primo ministro Shigeru Ishiba alla guida della forza conservatrice giapponese, che ha quasi sempre guidato il governo. Riflettori puntati sul giovane ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi, dell’ala liberale, e su Sanae Takaichi, nazionalista vicina all’ex premier Shinzo Abe, che potrebbe diventare la prima donna premier. Al centro della campagna restano inflazione e caro vita, mentre i candidati discutono su come ricostruire la base elettorale erosa dai nuovi movimenti di estrema destra.
È ufficialmente iniziata in Giappone la corsa alla guida del Partito Liberal Democratico (LDP), dopo l’annuncio, il 7 settembre, del premier Shigeru Ishiba di voler lasciare l’incarico. Le elezioni interne si terranno il 4 ottobre: il nuovo leader del partito sarà con tutta probabilità eletto anche primo ministro, dato che l’LDP resta la forza di maggioranza alla Camera bassa.
Alla competizione partecipano cinque parlamentari, gli stessi che si erano già sfidati lo scorso anno: il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi, 44 anni, l’ex ministra dell’Interno, Sanae Takaichi, 64 anni, il segretario capo di gabinetto Yoshimasa Hayashi, 64 anni, l’ex ministro degli Esteri Toshimitsu Motegi, 69 anni, e l’ex ministro per la sicurezza economica Takayuki Kobayashi, 50 anni.
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Koizumi e Takaichi sono considerati i principali favoriti. Figlio dell’ex premier Junichiro Koizumi, Shinjiro rappresenta l’ala liberale del partito e, se eletto, diventerebbe il più giovane primo ministro del Giappone nel dopoguerra. È salito alla ribalta di recente per la gestione della crisi legata all’aumento del prezzo del riso, promettendo salari più alti e maggiore produttività. Takaichi, invece, è la candidata della destra conservatrice, vicina all’ex premier Shinzo Abe: nazionalista, nota per le visite al controverso santuario Yasukuni e per il sostegno a una revisione della Costituzione pacifista, diventerebbe la prima donna premier nella storia del Paese. All’inizio di quest’anno ha anche visitato Taiwan, l’isola democratica rivendicata dalla Cina, dove ha suggerito che Taiwan, Giappone e altri partner possano formare una sorta di «quasi-alleanza di sicurezza».
Gli altri tre candidati puntano a proporsi come figure di equilibrio. Hayashi, già ministro degli Esteri e attuale portavoce del governo, è visto come un politico pragmatico, attento a misure di sostegno per famiglie e territori colpiti dalle catastrofi. Motegi, veterano della politica ed ex capo della diplomazia, ha la reputazione di severo negoziatore, con un passato da ministro del Commercio e studi a Harvard. Kobayashi, ex ministro per la sicurezza economica, propone riduzioni fiscali generalizzate e una stretta sui capitali stranieri nei settori strategici.
Il nuovo leader sarà scelto attraverso un sistema a due livelli: 295 voti spettano ai parlamentari e 295 agli iscritti di base del partito. Se nessuno otterrà la maggioranza assoluta al primo turno, i due più votati si sfideranno in un ballottaggio decisivo in cui peseranno soprattutto i voti dei deputati. Rispetto allo scorso anno, il corpo elettorale del partito è sceso da 1,05 milioni a 915mila iscritti, un calo del 13%, mentre i deputati dell’LDP si sono ridotti da 368 a 295, dopo due sconfitte consecutive nelle elezioni nazionali del 2024 e del 2025.
Al centro del dibattito restano l’inflazione e il caro vita, che gli elettori chiedono di affrontare con urgenza. Tutti i candidati propongono nuove misure fiscali, ma con approcci diversi: Koizumi intende aumentare le detrazioni sul reddito e abolire la tassa temporanea sulla benzina in vigore dal 1974; Takaichi vuole innalzare la soglia di reddito esente per i lavoratori part-time, prevedendo anche crediti d’imposta per i redditi più bassi; Kobayashi propone una riduzione forfettaria delle imposte per tutti; Motegi punta ad ampliare i trasferimenti agli enti locali. Nessuno, però, ha messo in discussione l’imposta sui consumi al 10%, fondamentale per finanziare i piani di previdenza sociale, ma da anni al centro di un dibattito all’interno del partito.
Sul piano politico, il nuovo leader dovrà ricostruire la base conservatrice del partito, erosa dalle formazioni emergenti (come il partito di estrema destra Sanseito) che hanno catalizzato consensi con promesse di forti tagli fiscali e restrizioni all’immigrazione. Il partito conservatore, che ha governato quasi ininterrottamente dopo la Seconda guerra mondiale, guida ora con una coalizione di minoranza. Per questo, alcuni candidati, e in particolare Koizumi, hanno aperto alla possibilità di un’alleanza con i partiti moderatidell’opposizione, come il Partito dell’innovazione giapponese o il Partito democratico per il popolo.
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Resta invece poco probabile lo scenario di elezioni anticipate, anche se in teoria i partiti di opposizione potrebbero impedire che il leader dell’LDP venga nominato primo ministro bloccando la sua designazione in una sessione parlamentare speciale dopo il 4 ottobre.
Dopo la débâcle di luglio per la Camera alta e due mesi di stallo politico, sia Koizumi che Takaichi hanno escluso lo scioglimento della Camera bassa per concentrarsi sul contrasto all’inflazione, ed evitare «un nuovo vuoto politico». Anche i membri del partito hanno finora segnalato la volontà di far avanzare l’agenda politica, evitando figure ideologiche che rischino di accentuare le divisioni interne e alimentare la paralisi.
Nei prossimi giorni i candidati si confronteranno in una serie di dibattiti a Tokyo, Nagoya e Osaka, con l’obiettivo di convincere iscritti e parlamentari. Dal risultato dipenderà non solo il futuro del governo giapponese, ma anche la stabilità economica e le relazioni con gli altri Paesi della regione, in particolare la Cina, Taiwan e la penisola coreana.
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Immagine di 首相官邸 (PMO) via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Politica
Elezioni a sindaco di una cittadina tedesca, escluso il candidato AfD. Affluenza al 29%

#Ludwigshafen: Wahlabend ohne blauen Balken. Und ohne Alternative! Bemerkenswert: niedrige Wahlbeteiligung und relativ hohe Zahl ungültiger Stimmen. Ich danke allen, die mich in den letzten 6 Wochen unterstützt haben! Vielen lieben Dank! 🙏🤝 pic.twitter.com/mxmLGeBA13
— 𝗝𝗼𝗮𝗰𝗵𝗶𝗺 𝗣𝗮𝘂𝗹 𝗠𝗱𝗟 (@JoachimPaul_AfD) September 21, 2025
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Politica
Duterte accusato di «crimini contro l’umanità»

La Corte penale internazionale (CPI) ha accusato l’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte di «crimini contro l’umanità». I pubblici ministeri hanno affermato che la sua spietata guerra alla droga ha provocato almeno 76 omicidi e hanno sostenuto che il numero reale delle vittime è significativamente più alto.
L’atto d’accusa, redatto in 15 pagine e datato 4 luglio ma reso pubblico solo lunedì, sostiene che Duterte è responsabile di omicidi commessi durante il suo mandato come sindaco di Davao City e come presidente, inclusi 19 omicidi tra il 2013 e il 2016, 14 morti di «obiettivi di alto valore» nel 2016-2017 e 43 omicidi durante operazioni di «bonifica» più ampie fino al 2018. I pubblici ministeri affermano che altre migliaia di persone sono state uccise durante queste operazioni.
La CPI, tuttavia, ha ricevuto critiche internazionali e accuse di parzialità per la sua presunta incapacità di affrontare le atrocità commesse dai paesi occidentali. Stati Uniti, Cina e Russia non sono membri della Corte, che ha spesso incontrato difficoltà nell’esecuzione dei mandati di arresto, poiché dipende dalla cooperazione degli Stati.
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Duterte, oggi ottantenne, ha lanciato la sua cosiddetta «guerra alla droga» dopo la sua elezione nel 2016, promettendo di eliminare i sospetti spacciatori e incitando l’opinione pubblica a colpire i tossicodipendenti. La dura repressione ha causato la morte di circa 30.000 persone, per lo più povere nelle aree urbane.
Secondo Human Rights Watch, una parte significativa degli omicidi è stata commessa dalla polizia su istigazione del governo Duterte, sebbene l’ex presidente abbia negato di aver autorizzato omicidi extragiudiziali. Tuttavia, Duterte ha ammesso di aver mantenuto uno «squadrone della morte» di criminali per contrastare altre bande durante il suo mandato come sindaco.
La CPI ha emesso un mandato di arresto per Duterte il 7 marzo, e le autorità filippine hanno arrestato l’ex presidente pochi giorni dopo, trasferendolo all’Aja. La decisione è stata presa nonostante le Filippine si fossero ritirate dallo Statuto di Roma, che regola la CPI, nel 2019.
In una sentenza del 2021, la Corte Suprema delle Filippine ha ribadito che il Paese ha ancora l’obbligo di cooperare con i procedimenti della CPI.
Il team legale di Duterte sostiene che la CPI non ha giurisdizione dopo il ritiro e ha richiesto la libertà provvisoria per motivi di salute.
Come riportato da Renovatio 21, quattro mesi fa dal carcere dell’Aia Duterte è riuscito a vincere le elezioni a sindaco di Davao.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Politica
Condannato in primo grado il figlio di Grillo. Per il misfatto che corse con il fatale cambiamento di governo 2019

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