Economia
Solare e batterie al litio, lo stato delle cose in Italia e in Europa
John Goodenough (1922-2023), il chimico americano premio Nobel che ha inventato le batterie agli ioni di litio insieme al giapponese Akira Yoshino (1948-), è mancato centenario pochi giorni fa. Le batterie al litio sono prodotte quasi interamente in Cina, il resto in Giappone e in Corea, con una piccola quota europea. Siamo tornati a sentire sul tema l’accademico di Europa Mario Pagliaro, ricercatore di livello internazionale esperto del tema dell’energia (Renovatio 21 consiglia sempre la lettura del suo libro Helionomics, agile e veloce lettura che è di fatto il non plus ultra della divulgazione in merito ai cambiamenti socioeconomici introdotti con il solare). Quando lo intervistammo lo scorso ottobre, ci disse che lo sviluppo dell’industria delle batterie al litio avrebbe «richiesto investimenti per centinaia di miliardi, che solo lo Stato può assicurare». È passato quasi un anno, e siamo tornati a sentire Pagliaro su questo e altri temi collegati all’energia.
Professor Pagliaro, giunti nella seconda metà del 2023, qual è lo stato dell’industria europea delle batterie al litio?
A fine maggio, finanziato con quasi 3 miliardi di fondi statali peraltro non solo della Francia, ma anche di Germania e Italia, è aperto nel nord della Francia il primo stabilimento di taglia significativa, con una capacità di 13 milioni di chilowattora (13 Gigawattora). A regime, nel 2030, avrà la capacità di produrre batterie per 40 Gigawattora, sufficienti ad alimentare 500.000 auto elettriche ognuna equipaggiata con un pacco batterie da 80 kWh (chilowattora). Si aggiunge ai due grandi stabilimenti esistenti, entrambi in Paesi ex comunisti a basso costo del lavoro, posseduti entrambi da aziende coreane; e ad impianti più piccoli in Svezia e in Germania.
Quindi, la produzione di auto elettriche in Europa farà presto uso di batterie Made in Europe?
Questo, lo vedremo. Gli obiettivi sono ambiziosi: arrivare al 2027 a 1000 Gigawattora di produzione con impianti che vanno dal Portogallo alla Finlandia e finanche alla Svizzera. Ma bisognerà vedere se alle parole seguiranno i fatti. La vicenda industriale ed economica europea nel campo delle nuove tecnologie dell’energia è costellata da ripetuti fallimenti. Che hanno tutti una matrice comune: l’illusione ideologica liberista che sarebbe possibile competere con i giganteschi investimenti della Cina con l’iniziativa dei privati.
E l’Italia, in questo contesto?
C’è il progetto di un impianto, dopo quello francese aperto a maggio, che dovrebbe sorgere a Termoli con una capacità analoga a quello francese (inizialmente da 13 GWh e poi a regime da 40 GWh) che andrebbe a rifornire i gli impianti automobilistici lucani e forse anche l’industria italiana degli autobus elettrici. In questo caso, si tratterebbe di un retrofit industriale che prevede diversi fermo impianti per riconvertire gli impianti esistenti.
Ma come farebbe la produzione italiana ad essere competitiva con quella dei Paesi ex comunisti o con le aziende cinesi?
Probabilmente perché la produzione, esattamente come nel caso dell’unico impianto di produzione di pannelli fotovoltaici in Italia, sarebbe assorbita internamente per la propria produzione di autoveicoli.
Allora andrebbe così anche in Germania: Volkswagen inizierebbe a produrre da sé le batterie che oggi importa dalla Cina e falla Sud Corea?
L’unica alternativa che avrebbe, con la gran parte del valore aggiunto che risiede proprio nella produzione delle batterie, sarebbe di trasferire ai produttori asiatici il valore economico generato dalla vendita dei nuovi veicoli elettrici.
Ma con i blackout che da giorni si verificano in tutta Italia con soli 10 giorni di caldo, come faremmo a caricare le batterie delle auto?
Caricandole di giorno, quando la produzione fotovoltaica raggiunge valori enormi proprio d’estate e proprio nelle ore centrali della giornata. Non molti sanno che la produzione fotovoltaica primaverile ed estiva spesso è così ingente, che il gestore della rete elettrica ne deve ordinare il taglio (curtailment) perché la produzione eccede la domanda: succede spesso nei fine settimana e nei giorni festivi. Inoltre, ed è la cosa più utile e bella della sinergia fra fotovoltaico e batterie al litio, le famiglie e le aziende che possiedono impianti fotovoltaici possono caricare i loro veicoli con l’energia autoprodotta gratuitamente dal sole, invece di cederla in rete.
Ma lei pensa che con questi progetti europei che ci dovrebbero dare 1000 Gigawattora di nuovi impianti, l’Europa e l’Italia avranno risolto la cronica carenza di batterie Made in Europe?
No. Gli Stati perseguiranno molto presto politiche indipendenti muovendosi in modo autonomo per attrarre investimenti nei loro territori. Oppure, nel caso dei due maggiori Paesi (Germania e Francia), realizzando enormi investimenti pubblici. I Paesi piccoli, invece, si faranno concorrenza per attrarre investimenti stranieri. Come ad esempio di recente l’Ungheria che ha interloquito con le grandi aziende cinesi per attrarle a produrre nel proprio territorio. Lo faranno tutti i Paesi. Non esiste nessuna azienda europea del petrolio e del gas: ogni Paese ha la propria. Generalmente pubblica.
Un’ultima domanda in attesa di sentirci per commentare i consumi energetici e la produzione industriale di Giugno e Luglio. Lei vede un futuro per l’industria italiana nei settori dell’alta tecnologia?
Solo in un caso: se l’Italia cioè ricostituirà l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, l’IRI. In soli 30 anni, fra il 1992 e il 2022, l’Italia si è gravemente deindustrializzata. Come anche la Francia. Il paese transalpino però ha compreso che per reindustrializzare la nazione servono giganteschi investimenti pubblici e l’industria di Stato, a partire da quella dell’energia. Ed ha iniziato a farlo. In Italia, non si è ancora compreso che resta una finestra temporale molto stretta prima di essere espulsi senza rimedio dalle grandi nazioni industriali. I dati relativi alla produzione industriale dei primi due quadrimestri del 2023 faranno svegliare molti.
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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