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Geopolitica

Si diffonde la rivolta araba contro l’occupazione USA in Siria

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La rivolta araba contro l’occupazione militare americana nella Siria orientale continua a dilagare.

 

L’agenzia di stampa ufficiale SANA ha riferito ieri che le milizie arabe nella provincia di Deir Ezzor, dove le truppe americane occupano i giacimenti petroliferi, hanno espulso le milizie curde delle SDF da circa una dozzina di villaggi arabi.

 

Inoltre, diversi pozzi petroliferi sarebbero stati attaccati e bruciati e le strade sarebbero state bloccate, impedendo alle SDF di inviare rifornimenti.

 

«Questi incidenti coincidono con l’annuncio da parte di molti anziani e dignitari dei clan arabi di una mobilitazione generale per continuare a combattere le milizie QSD [SDF] sostenute dall’occupazione statunitense ed espellerle dalle loro aree», ha scritto SANA.

 

In risposta al deterioramento della situazione, le SDF hanno annunciato un coprifuoco di 48 ore a Deir Ezzor, accusando i gruppi armati legati a Damasco e i combattenti dell’ISIS di cercare di «causare conflitti nella regione e di tentare di attirare i civili nei loro sporchi piani».

 

Elham Ahmed, presidente del comitato esecutivo dell’ala politica delle SDF, ha affermato il 1° settembre che gli «scontri violenti» a Deir Ezzor «non sono eventi isolati», attribuendo i crescenti disordini alle «milizie appoggiate dall’Iran e al regime siriano, che vogliono creare disordini e instabilità in tutta la regione».

 

Secondo voci non confermate, un attacco aereo statunitense avrebbe preso di mira veicoli associati alle «milizie appoggiate dall’Iran» ad Abu Kamal, in un’area vicino al fiume Eufrate controllata dalle forze governative siriane.

 

Allo stesso tempo, ci sono indicazioni che la violenza si sta diffondendo oltre la regione di Deir Ezzor, a Manbij e nella campagna di Aleppo nel nord e a Suweida nel sud della Siria.

 

L’agenzia SANA ha riferito questa mattina che le tribù arabe nella campagna settentrionale di Aleppo hanno rilasciato una dichiarazione contro sia l’occupazione statunitense che quella turca, affermando di sostenere lo Stato siriano, l’Esercito arabo siriano e i suoi alleati sotto la guida del presidente Bashar al-Assad, contro la presenza illegittima di qualsiasi occupazione sulle terre siriane.

 

La dichiarazione condanna le pratiche dell’occupazione statunitense e i suoi strumenti che saccheggiano le risorse siriane, affermando che queste risorse, petrolio e grano, sono di proprietà del popolo siriano. Non è tuttavia chiaro quali siano le diverse agende delle varie tribù arabe nel lungo termine.

 

Come riportato da Renovatio 21, la base americana in Siria, totalmente illegale, è stata personalmente visitata mesi fa dal generale Mark Milley. Trump ne aveva chiesto la chiusura, ma il Pentagono non ascoltò il presidente; sono falliti anche i tentativi fatti al Congresso, come quello del rappresentante repubblicano della Florida Matt Gatez, per togliere i soldati americani dalla Siria, dove sono attaccati da missili.

 

Secondo i servizi russi e lo stesso presidente siriano Assad, nelle loro basi siriane gli USA vi arrestano dei terroristi.

 

In Siria aumentano ogni giorno le tensioni fra Russia e USA, con incontri ravvicinati tra caccia e droni.

 

Cinque mesi fa le basi statunitensi nei giacimenti petroliferi di al-Omar e di gas Koniko nel governatorato di Deir ez-Zor, nel nord-est della Siria, sono state attaccate con missili.

 

La situazione nella regione non desiste nel tirar fuori il peggio dell’Occidente: gli USA hanno ostacolato la risposta umanitaria al sisma in Siria, mentre il loro alleato regionale Israele ne ha approfittato per bombardare Damasco.

 

 

 

 

 

Immagine di Marcel Holyoak via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

 

 

 

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Geopolitica

Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

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La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.

 

Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.

 

Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».

 

Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».

 

«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.

 

Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.

 

Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».

 

«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.

 

Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».

 

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Geopolitica

Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

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Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.   Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.   Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.   Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.   Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».   «Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».   Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».   Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.  

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Geopolitica

Sanzioni sul petrolio, Trump ora è «completamente sul piede di guerra con la Russia»: parla Medvedev

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L’ex presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedevha qualificato le recenti sanzioni imposte dal presidente Donald Trump ai colossi petroliferi russi come un «atto di guerra» che colloca gli Stati Uniti in aperta ostilità con Mosca.

 

«Gli Stati Uniti sono nostri nemici, e il loro chiacchierone “pacificatore” ha ormai intrapreso la via della guerra contro la Russia», ha affermato Medvedev, alto esponente della sicurezza nazionale russa. «Le decisioni adottate rappresentano un atto di guerra contro la Russia. E ora Trump si è completamente allineato con l’Europa folle», ha precisato nella sua dichiarazione.

 

Rosneft e Lukoil, le principali compagnie petrolifere russe, sono state bersaglio delle sanzioni del Tesoro statunitense, unitamente a decine di loro filiali, con un conseguente rialzo del 3% dei prezzi mondiali del petrolio giovedì. Ulteriori effetti si sono riverberati sull’India, primo importatore di greggio russo, che sta considerando una contrazione dei propri acquisti.

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Trump ha ripetutamente sostenuto che «la guerra non sarebbe mai dovuta iniziare» e che le responsabilità ricadono su Joe Biden, ma Medvedev ha criticato anche il leader repubblicano su questo punto, secondo i media statali russi.

 

Medvedev ha ipotizzato che Trump sia stato influenzato da falchi interni e internazionali a irrigidirsi, piuttosto che da una convinzione ideologica come per il suo predecessore Biden. «Ma ora è il suo conflitto», ha concluso, ribadendo che la Russia deve puntare al raggiungimento degli obiettivi militari anziché ai negoziati.

 

«Certo, diranno che non aveva scelta, che è stato costretto dal Congresso e così via», ha ammesso Medvedev nella dichiarazione. Tuttavia, non emergono indizi chiari che l’amministrazione Trump abbia esercitato pressioni concrete sul suo alleato Zelens’kyj per concedere cessioni territoriali sostanziali o per abbandonare definitivamente l’aspirazione all’adesione alla NATO. Al contrario, Trump ha autorizzato attacchi a lungo raggio sul suolo russo e ha persino approvato il supporto dei servizi segreti agli ucraini per colpire infrastrutture energetiche nel cuore del Paese.

 

Con queste escalation promosse da Trump, Medvedev asserisce che il presidente è in carico ormai il conflitto in atto, anche dopo che la Casa Bianca ha confermato l’annullamento del vertice di Budapest con Putin. «Non voglio che un incontro sia sprecato», aveva detto Trump all’inizio della settimana. «Non voglio buttare via tempo, quindi valuteremo cosa accadrà».

 

Anche il Cremlino aveva sottolineato che «serve una preparazione, una preparazione seria» prima di concretizzare un summit.

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Immagine di Bashkortostan.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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