Geopolitica
Seoul e la questione delle armi a Kiev
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nonostante la Corea del Sud sia uno dei maggiori produttori mondiali di armamenti il presidente Yoon dichiara di non fornire materiale bellico ma solo assistenza umanitaria all’Ucraina. Inchieste giornalistiche hanno parlato però di forniture di pezzi d’artiglieria via Washington. L’intreccio con il riacutizzarsi delle tensioni con Pyongyang.
Dall’inizio del conflitto in Ucraina, la Corea del Sud ha fornito a fornito a Kiev giubbotti antiproiettile, elmetti, materiale sanitario e molti altri articoli. Eppure il governo di Seoul, che pur condanna l’invasione russa del Paese, si è impegnato a non inviare armamenti nel teatro di guerra.
Solo il mese scorso il presidente Yoon dichiarava alla stampa di aver offerto «assistenza umanitaria e pacifica all’Ucraina in modo solidale con la comunità internazionale, ma mai armamenti bellici» come invece richiesto da Kiev per difendersi.
Secondo quanto rivelato nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, che ha citato fonti anonime a conoscenza dei fatti, sotto il mantello del non invio di armi qualcosa si starebbe muovendo.
A inizio mese il ministro della difesa sudcoreano Lee Jong-sup e la sua controparte statunitense Lloyd Austin avrebbero raggiunto un accordo di principio sulla vendita agli Stati Uniti di 100mila pezzi di artiglieria da 155 mm, dopo che ad agosto Washington aveva avvertito che le proprie scorte erano in rapido esaurimento a causa degli invii in Ucraina.
L’accordo, secondo le fonti anonime, permetterebbe agli Stati Uniti di rifornire le forze armate ucraine senza dover attingere al proprio arsenale: si stima che le 100 mila munizioni possano essere sufficienti a sostenere diverse settimane di offensiva. Il ministero della difesa sudcoreano non nega che la trattativa sulla vendita sia in corso, ribadisce però che rimane inteso nella trattativa tra Washington e Seoul che il destinatario finale delle munizioni debbano essere gli Stati Uniti e non l’Ucraina.
È ampiamente possibile che si tratti di un tentativo sudcoreano di mantenere la facciata della propria politica sul non invio di armi. Seoul teme infatti che un aperto sostegno a Kiev possa significare un più stretto sostegno russo a Pyongyang. Lo stesso Vladimir Putin a ottobre ha suggerito questa connessione, quando ha paragonato l’invio di armi sudcoreane in Ucraina all’invio di armi russe in Corea del Nord.
Nelle ultime settimane, inoltre, la crescente tensione nella penisola coreana dovuta ai lanci missilistici di Pyongyang ha favorito la ripresa delle esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seul, che stanno pian piano tornando a riapprofondire la cooperazione nell’ambito della difesa.
In questo contesto, e soprattutto dopo l’annuncio da parte degli Stati Uniti che la Corea del Nord starebbe mandando pezzi d’artiglieria alla Russia tramite Paesi terzi, è possibile che la politica sudcoreana sul non invio di armi abbia subito velati ritocchi.
D’altronde, la Corea del Sud si sta trasformando in un grande esportatore d’armi anche grazie alla guerra in Ucraina. Quest’anno il governo ha annunciato vendite di armamenti per miliardi di dollari alla Polonia, un Paese che ha attivamente sostenuto il governo di Kiev a respingere l’invasione russa.
Per quanto Seoul provi a mantenersi fedele alla lettera del proprio impegno a non inviare armi, il sostegno sudcoreano all’Ucraina (anche se per interposta persona) appare come una realtà sempre più difficile da negare.
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Arte
Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele
Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.
L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.
Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.
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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.
Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».
L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.
Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.
Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».
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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».
Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.
Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.
Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».
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Immagine di David Jones via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Putin: la Russia libererà tutto il Donbass
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Geopolitica
Putin e Witkoff concludono i colloqui di pace «costruttivi e sostanziali»
I negoziati tra Russia e Stati Uniti sul conflitto in Ucraina si sono conclusi al Cremlino, dopo quasi cinque ore di colloqui tra il presidente russo Vladimir Putin e l’inviato statunitense Steve Witkoff.
Le discussioni si sono concentrate sugli elementi chiave di un quadro di pace sostenuto dagli Stati Uniti, che inizialmente ruotava attorno a una bozza di 28 punti trapelata ai media il mese scorso, lasciando i sostenitori dell’Europa occidentale di Volodymyr Zelens’kyj colti di sorpresa e messi da parte.
Secondo l’assistente presidenziale russo Yuri Ushakov, durante i colloqui al Cremlino la delegazione statunitense ha presentato altri quattro documenti riguardanti l’accordo di pace.
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Sono state discusse le questioni chiave relative al territorio, su cui Zelens’kyj ha messo in guardia nei suoi commenti ai media, le garanzie di sicurezza, le aspirazioni della NATO e le restrizioni all’esercito ucraino, tutte ampiamente segnalate da Mosca come fattori di rottura degli accordi, con Ushakov che ha risposto a una domanda sull’argomento facendo riferimento al “vasto potenziale” di cooperazione tra Russia e Stati Uniti.
Dall’inizio dell’ultima iniziativa di pace statunitense, la corruzione della cerchia ristretta di Zelens’kyj è stata smascherata, mentre le sue forze armate hanno subito ingenti perdite territoriali in prima linea. Il presunto documento di pace iniziale è stato anche oggetto di diversi cicli di colloqui e di molta diplomazia tramite megafono.
Prima dei colloqui di martedì a Mosca, Witkoff ha incontrato una delegazione ucraina – escluso l’ex collaboratore di Zelens’kyj, Andrey Yermak, che è stato licenziato – in Florida per quattro ore, un’esperienza che i funzionari hanno descritto come produttiva, ma che fonti dei media hanno definito «non facile», riferendosi ampiamente alla questione territoriale.
Sebbene Zelens’kyj abbia ufficialmente escluso qualsiasi concessione a Mosca, si prevedeva che i colloqui nella capitale russa si sarebbero concentrati sulle questioni territoriali, esacerbate dai molteplici insuccessi di Kiev in prima linea, tra le richieste massimaliste dell’UE e la diplomazia in corso degli Stati Uniti.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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