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Geopolitica

Rodrigo Duterte arrestato su mandato della Corte Penale Internazionale

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L’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è stato arrestato martedì a Manila, dopo che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura accusandolo di crimini contro l’umanità nell’ambito della sua guerra alla droga, durante la quale, secondo i gruppi per i diritti umani, decine di migliaia di filippini sono stati sommariamente giustiziati. Lo riporta il New York Times, che ha ottenuto una copia del mandato, che era sigillata e contrassegnata come «segreto».

 

L’ex uomo forte di Manila è stato preso in custodia presso l’aeroporto principale di Manila dopo essere tornato da un viaggio a Hong Kong, secondo il governo filippino. L’avvocato del Duterte, Salvador Panelo, ha affermato che l’arresto era illegale, in parte perché le Filippine si sono ritirate dal tribunale mentre il Duterte era in carica.

 

Nel mandato della CPI, un collegio di tre giudici ha scritto che, sulla base delle prove presentate dal pubblico ministero della corte, riteneva che gli omicidi ordinati dal signor Duterte quando era sindaco della città di Davao e in seguito presidente fossero «sia diffusi che sistematici».

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Il comitato ha anche affermato di credere che «il signor Duterte sia individualmente responsabile del crimine contro l’umanità di omicidio».

 

Duterte, 79 anni, che ha lasciato l’incarico nel 2022, è un agitatore populista che rimane uno dei politici più influenti delle Filippine e ha goduto di una relativa immunità nonostante le numerose accuse contro di lui in relazione alla sua campagna antidroga. Gli attivisti affermano che la stragrande maggioranza delle vittime erano filippini poveri e urbani, alcuni dei quali erano minorenni e persone che non avevano nulla a che fare con il traffico di droga.

 

Solo una manciata di persone sono state condannate in relazione agli omicidi, che secondo i gruppi per i diritti umani ammontano a circa 30.000.

 

Non è chiaro se il signor Duterte sia stato costretto ad arrendersi alla CPI, che ha sede all’Aia. Il caso sarà un banco di prova di alto profilo per la corte, che negli ultimi mesi ha chiesto l’arresto del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e del capo della giunta militare in Myanmar, Min Aung Hlaing, accusando entrambi di crimini contro l’umanità.

 

Pochi minuti prima del suo arresto, il signor Duterte si era mostrato, come al solito, provocatorio, scrive il NYT.

 

«Se volete allearvi con gli stranieri bianchi, dovreste prima uccidermi», ha detto il signor Duterte mentre scendeva dall’aereo da Hong Kong, secondo un video pubblicato da GMA News, un’emittente filippina.

 

Per anni, il Duterte era sembrato intoccabile. Come sindaco di Davao, la seconda città più grande delle Filippine, per oltre due decenni ha condotto una mortale repressione antidroga impunemente. Nel 2016, aveva sfruttato le sue credenziali di legge e ordine per vincere le elezioni presidenziali, facendo campagna elettorale con la promessa di uccidere «100 mila spacciatori» fino a riempire la baia di Manila, e offrendosi di sparare lui stesso.

 

Durante il suo ultimo comizio elettorale di quell’anno, Duterte disse alla folla di «dimenticare le leggi sui diritti umani».

 

Secondo un dato procurato Tribunale Penale Internazionale dell’Aia e riportato in un articolo dell’Economist dello scorso novembre, dal luglio 2016 al marzo 2019, il numero dei morti della «guerra alla droga» di Duterte potrebbe essere compreso tra i 12 mila e i 30 mila casi.

 

«Voi spacciatori, rapinatori e fannulloni, è meglio che ve ne andiate», aveva detto, «perché vi ucciderò», dichiarando che avrebbe concesso a sé stesso e alle sue forze di sicurezza l’immunità da procedimenti giudiziari e si sarebbe perdonato «per il reato di omicidio plurimo». Durante il suo mandato, Duterte ha ritirato le Filippine dalla CPI, che aveva iniziato a indagare sulle esecuzioni extragiudiziali.

 

L’avvocato del Duterte ha affermato che l’arresto era illegale in parte perché la polizia filippina non aveva permesso agli avvocati dell’ex presidente di incontrarlo all’aeroporto, aggiungendo che aveva intenzione di sporgere denuncia penale contro la polizia e i funzionari che avevano ordinato l’arresto. Inoltre, ha dichiarato l’avvocato dell’ex presidente, l’arresto era illegale perché il mandato d’arresto «proviene da una fonte fasulla, la CPI, che non ha giurisdizione sulle Filippine».

 

Tuttavia, le Filippine sono ancora membro dell’Interpol, che può chiedere l’arresto del signor Duterte per conto della CPI. Un rappresentante dell’Interpol era presente quando il signor Duterte è stato arrestato, scrive il giornale neoeboraceno.

 

Quando il mandato unico di sei anni del Duterte si è concluso nel 2022, la sua amministrazione ha dichiarato che 6.252 persone erano state uccise dalle forze di sicurezza, tutte descritte dai funzionari come «sospettati di droga».

 

Il Duterte sembrava godere di impunità anche sotto il suo successore, Ferdinand R. Marcos jr.

 

Figlio del defunto dittatore Ferdinand E. Marcos, Bongbong (così è chiamato da tutti) è salito alla presidenza dopo aver formato un’alleanza politica con la figlia del Duterte, Sara, che è stata eletta come suo vicepresidente. All’inizio della sua amministrazione, il Marcos ha dichiarato che non avrebbe collaborato con la CPI

 

Tuttavia, i legami tra il Marcos e la Duterte si sono sgretolati rapidamente e in modo spettacolare. Verso la fine del 2023, il governo del signor Marcos aveva silenziosamente consentito agli investigatori della CPI di entrare nelle Filippine.

 

L’anno scorso, la Camera dei rappresentanti delle Filippine ha avviato un’inchiesta sulla guerra alla droga del signor Duterte. L’ex presidente aveva rifiutato di testimoniare alla Camera, ma era comparso a un’udienza al Senato, dove ha un notevole sostegno, in ottobre.

 

Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa la polizia filippina aveva assediato il fortino di Quiboloy, controverso guru predicatore amico del Duterte.

 

Articoli sulla stampa hanno parlato di uno sconfinato arsenale di armi in mano alla famiglia del Rodrigo, che in passato si era fatto fotografare mentre imbracciava un mitragliatore israeliano Uzi.

 

L’anno passato Harry Roque, che era stato il portavoce di Duterte, aveva avvertito Bongbong Marcos di non capitolare alle politiche anticinesi di Washington.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa, durante pandemia e lockdown, il Duterte aveva minacciato di arrestare i non vaccinati qualora violassero gli ordini di reclusione.

 

Non si trattava della prima volta che il presidente minaccia la galera per chi rifiuta la puntura, o l’isolamento coatto domiciliare. La scorsa estate aveva detto ai capi villaggio di impedire a chi rifiuta il vaccino di uscire di casa.

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Sempre durante l’estate 2021, nelle Filippine era stato vietato ai non vaccinati l’ingresso nei supermercati e nei negozi di alimentari.

 

In precedenza Duterte aveva espresso parole di rabbia nei confronti della popolazione non vaccinata, avvertendo l’anno scorso che, se le persone si rifiutano di essere iniettate, potrebbero rischiare il carcere o un’iniezione forzata di ivermectina. Curiosamente, il presidente filippino si era rifiutato di scoraggiare l’uso dell’ivermectina, lasciando liberi i medici di poterlo prescrivere – e questo contro lo stesso Dipartimento della Salute delle Filippine.

 

Le Filippine con i vaccini hanno peraltro una storia travagliata: lo stesso governo Duterte affrontò duramente la multinazionale farmaceutica Sanofi a causa dei problemi innescati dal vaccino anti-dengue Dengvaxia. «In totale, la morte di circa 600 bambini che hanno ricevuto Dengvaxia sono oggetto di indagine da parte dell’ufficio del pubblico ministero», ha riferito nel 2019 il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post.

 

Controverso per varie ragioni – si è vantato di aver ucciso un uomo, ha scherzato su una missionaria stuprata e uccisa, ha chiamato putang ino («figlio di puttana») sia il presidente USA Obama che Bergoglio, quest’ultimo reo di aver bloccato il traffico della capitale con la giornata mondiale della Gioventù – Duterte aveva poi annunciato che non cercherà la ricandidatura alla presidenza.

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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.   Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.   Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.   Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.     Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.   Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».   Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.

 

Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.

 

Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.

 

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.

 

Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.

 

Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.

 

Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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Geopolitica

La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco

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Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.   Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.   «Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.   Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.

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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.   All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.   La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.   Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.   Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.  

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