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Geopolitica

Rivolta in Mongolia

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

I manifestanti hanno tentato di prendere d’assalto l’edificio governativo dopo la notizia di un caso di corruzione legato all’esportazione di carbone in Cina. Dall’invasione russa dell’Ucraina l’inflazione ha superato il 15%, mentre la chiusura dei confini ha ridotto gli scambi commerciali con Pechino. Il presidente oggi ha proposto lo scioglimento del Parlamento.

 

 

 

Ieri sera centinaia di manifestanti hanno preso d’assalto il palazzo del governo nella capitale Ulaanbaatar per protestare contro il furto di 12,8 miliardi di dollari di fondi pubblici da parte di alcuni politici del Paese legati all’industria del carbone.

 

I dimostranti, soprattutto giovani, che si sono radunati davanti all’edificio governativo nonostante ci fosse una temperatura di -21°, hanno rotto qualche finestra e scardinato dei cancelli, ma non sono riusciti a entrare nel palazzo. Alle 9 di sera (ora locale) la maggior parte delle manifestazioni erano state disperse.

 

La notizia sul furto di carbone, diffusa nei giorni scorsi, si è aggiunta al malcontento della popolazione per la situazione economica: dopo l’invasione della Russia in Ucraina l’inflazione è schizzata al 15,2% e la chiusura dei confini da parte della Cina per la politica «zero-COVID» ha ridotto gli scambi commerciali. L’86% delle esportazioni della Mongolia – metà delle quali di carbone – sono dirette verso la Cina e un quarto del prodotto interno lordo della Mongolia proviene dal settore minerario.

 

Il governo mongolo ha chiesto a Pechino di partecipare alle indagini sul furto di fondi pubblici, confermato oggi in conferenza stampa dal ministro dello Sviluppo economico, Khurelbaatar Chimed.

 

A metà novembre l’autorità anticorruzione nazionale aveva annunciato che più di 30 funzionari – tra cui l’amministratore delegato della società di estrazione del carbone statale Erdenes Tavan Tolgoi – erano indagati per appropriazione indebita. L’azienda controlla depositi che contengono 7,5 miliardi di tonnellate di coke, un sottoprodotto del carbone essenziale per la produzione di acciaio.

 

Secondo le indiscrezioni trapelate finora, si presume che i funzionari abbiano sfruttato le miniere di carbone per realizzare profitti illegali con la Cina.

 

L’ex amministratore delegato della Erdenes Tavan Tolgoi, Gankhuyag Battulga, era stato licenziato lo scorso ottobre senza che venisse fornita alcuna motivazione, ma ora la popolazione, riferendosi a una «mafia del carbone», chiede che vengano individuati e puniti i responsabili anche all’interno del governo.

 

«Le persone sono arrabbiate per questo caso perché è stato loro promesso che la ricchezza del Paese sarebbe stata condivisa con loro», ha detto ad Al Jazeera Jana Zilkova, direttrice di Caritas Repubblica Ceca a Ulaanbaatar.

 

Il presidente mongolo, Khurelsukh Ukhnaa, questa mattina ha proposto lo scioglimento del Parlamento.

 

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine da AsiaNews

 

 

 

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Geopolitica

Maduro ha offerto ampie concessioni economiche agli Stati Uniti

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Il Venezuela ha proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Lo riporta il New York Times, citando fonti anonime.

 

Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.

 

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi al largo delle coste venezuelane contro quelle che hanno definito «imbarcazioni della droga», causando oltre venti morti e rafforzando la propria presenza militare nella regione. Funzionari americani hanno accusato Maduro di legami con reti di narcotraffico, accusa che il presidente venezuelano ha respinto.

 

Caracas ha accusato Washington di perseguire un cambio di regime, un’intenzione smentita dai funzionari statunitensi.

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Secondo fonti anonime di funzionari americani e venezuelani riportate dal NYT, dietro le tensioni pubbliche, Caracas avrebbe presentato un’ampia proposta diplomatica. Questa includeva l’apertura di tutti i progetti petroliferi e auriferi, attuali e futuri, alle aziende americane, l’offerta di contratti preferenziali per le imprese statunitensi, il reindirizzamento delle esportazioni di petrolio dalla Cina agli Stati Uniti e la riduzione degli accordi energetici e minerari con aziende cinesi, iraniane e russe.

 

I colloqui, condotti per mesi tra i principali collaboratori di Maduro e l’inviato statunitense Richard Grenell, miravano a ridurre le tensioni, secondo l’articolo. Sebbene siano stati fatti progressi in ambito economico, le due parti non sono riuscite a trovare un accordo sul futuro politico di Maduro, si legge nel rapporto.

 

Secondo il NYT, il Segretario di Stato americano Marco Rubio sarebbe stato il principale sostenitore della linea dura dell’amministrazione Trump per rimuovere Maduro. Si dice che Rubio sia scettico sull’approccio diplomatico di Grenell e abbia spinto per una posizione più rigida contro Caracas.

 

Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Immagine di Confidencial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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Haaretz: Israele sarà indifendibile se violeremo questo piano di pace

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L’editoriale principale del quotidiano israeliano Haaretz, pubblicato il 10 e l’11 ottobre, lancia un severo monito agli israeliani attratti dai piani del primo ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi sostenitori estremisti per ostacolare gli accordi di pace negoziati.   «Se Israele fosse così sprovveduto da liberare gli ostaggi e poi trovare un pretesto banale per riprendere i combattimenti, consolidando la sua nuova immagine di Stato guerrafondaio che viola ripetutamente gli accordi, le proteste che hanno scosso l’Europa per la reazione di Israele alla flottiglia per Gaza si intensificheranno con una forza doppia e saranno inarrestabili».   L’editoriale, scritto dall’editorialista Carolina Landsmann, ribadisce: «se Israele riprendesse i combattimenti dopo aver recuperato tutti gli ostaggi, compirebbe un autentico suicidio diplomatico. Difendere il Paese diventerebbe impossibile. Nemmeno Trump potrebbe riuscirci».   L’editoriale è stato innescato dalle dichiarazioni del giornalista israeliano Amit Segal, trasmesse sul Canale 12 israeliano, secondo cui «non esiste una fase due, questo è chiaro a tutti, no?». Segal ha escluso qualsiasi soluzione che richiami gli accordi di Oslo, vantandosi che, una volta liberati gli ostaggi, Israele riprenderà a combattere,.   La Landsmann ha replicato che questo gioco è finito: «Il mondo ha compreso la realtà meglio di Israele», e persino i sostenitori di Trump «sono stanchi» di vedere i contribuenti americani finanziare le guerre di Israele. L’editorialista ha riportato le parole di Trump a Netanyahu: «Israele non può combattere contro il mondo, Bibi; non può combattere contro il mondo».  

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Geopolitica

Il Cremlino dice di essere pronto per un accordo sull’Ucraina

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Mosca rimane aperta a una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina, ma le ostilità proseguiranno finché Kiev continuerà a ostacolare i negoziati, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.

 

Rispondendo al presidente francese Emmanuel Macron, che di recente ha scritto in un post su X che la Russia «dovrà pagare il prezzo» se si rifiutasse di dimostrare disponibilità a negoziare, Peskov, parlando ai giornalisti lunedì, ha sottolineato che Mosca ha sempre favorito una soluzione diplomatica alla crisi. Tuttavia, ha notato che Kiev, sostenuta dai suoi alleati occidentali, continua a respingere tutte le proposte russe.

 

«La Russia è pronta per una soluzione pacifica», ha affermato Peskov, evidenziando che la campagna militare di Mosca continua «a causa della mancanza di alternative». Ha aggiunto che la Russia raggiungerà infine i suoi obiettivi dichiarati, salvaguardando i propri interessi di sicurezza nazionale.

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Le sue dichiarazioni arrivano in vista dell’incontro previsto per venerdì a Washington tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.

 

Peskov ha espresso apprezzamento per gli sforzi diplomatici di Trump volti a risolvere pacificamente il conflitto, auspicando che «l’influenza degli Stati Uniti e le capacità diplomatiche degli inviati del presidente Trump contribuiscano a incoraggiare la parte ucraina a essere più proattiva e preparata al processo di pace».

 

La Russia ha ripetutamente ribadito la propria disponibilità a colloqui di pace con l’Ucraina. Le due parti erano vicine a un accordo a Istanbul all’inizio del 2022, ma, secondo Mosca, Kiev si è ritirata dopo che i suoi sostenitori occidentali l’hanno spinta a continuare il conflitto.

 

Da allora, i funzionari russi hanno sostenuto che né Kiev né i suoi alleati europei sono genuinamente interessati a porre fine alle ostilità, accusandoli di ostacolare i negoziati con condizioni mutevoli e ignorando le proposte russe.

 

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Immagine di A.Savin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic1.0 Generic

 

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