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Economia

Recovery Fund, bilancio UE, MES: Caos Europa

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Il Recovery Fund non partirà il prossimo gennaio e ci sarà un ritardo anche per il bilancio dell’UE, con possibili ripercussioni sui pagamenti, sostiene il quotidiano La Repubblica citando fonti diplomatiche.

 

Allo stesso tempo, l’altro strumento «pandemico» dell’UE, il meccanismo europeo di stabilità (ESM), sta trovando ostacoli da parte di diverse forze del Parlamento europeo.

Il Recovery Fund non partirà il prossimo gennaio e ci sarà un ritardo anche per il bilancio dell’UE, con possibili ripercussioni sui pagamenti

 

Il Fondo di recupero da 750 miliardi di euro dovrebbe essere finanziato in parte da obbligazioni sul mercato e in parte dal bilancio settennale dell’UE. Per farlo senza aumentare il budget (aumentando così i pagamenti degli stati membri), la bozza di proposta concordata dai leader del governo dell’UE dice che il denaro dovrebbe essere spostato da elementi come Ricerca e Sviluppo, etc.

 

Il Parlamento europeo si è opposto, chiedendo anche che siano allegate condizioni di Rule of Law al denaro del Recovery Fund, destinato a governi invisi a eurocrati ed eurozeloti, come ad esempio l’Ungheria e la Polonia.

 

Dopo il secondo round di negoziati tra Parlamento europeo, Commissione Ue e Consiglio UE di ieri, le posizioni sullo «Stato di diritto» si sono avvicinate ma quelle sul bilancio UE  no. Un compromesso potrebbe essere raggiunto entro la fine dell’anno, ma poi dovrà essere ratificato dai parlamenti nazionali.

 

Il Parlamento europeo si è opposto, chiedendo anche che siano allegate condizioni di Rule of Law al denaro del Recovery Fund, destinato a governi invisi a eurocrati ed eurozeloti, come ad esempio l’Ungheria e la Polonia.

Ergo, i ritardi nel Fondo di recupero e nel bilancio sono inevitabili.

 

Per quanto riguarda l’ESM Pandemic Crisis Support, strumento di «aiuto» del MES per il disastro pandemico europeo, che dovrebbe prestare denaro «senza condizioni» solo per le spese legate al COVID, un emendamento sul MES è stato respinto ieri da un allineamento trasversale al Parlamento europeo, per ragioni opposte.

 

Le colombe erano contrarie all’emendamento perché non esentava chiaramente i prestiti dalle condizionalità di «stabilità (austerità). I falchi hanno votato contro, perché a loro avviso era troppo morbido. In effetti, volevano introdurre una disposizione che ricordasse che lo SME è ancorato a tali condizionalità.

 

Il primo «eurobond» SURE, l’obbligazione da 17 miliardi di euro mostra che è stata venduta a 36 punti base in più rispetto al benchmark tedesco Bund. Non esattamente economico

Nel frattempo, gli unionisti europei esultano per il successo del collocamento del primo «eurobond» volto a finanziare il SURE (fondo di disoccupazione) il 20 ottobre.

 

Ma uno sguardo più attento all’obbligazione da 17 miliardi di euro mostra che è stata venduta a 36 punti base in più rispetto al benchmark tedesco Bund, per non parlare delle sue garanzie illimitate. Non esattamente economico.

 

 

 

 

 

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Economia

La logica dietro al crollo delle criptovalute. Anche la bolla dell’IA pronta a scoppiare?

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In un articolo pubblicato sul suo Substack, l’ex Segretario del Lavoro degli Stati Uniti Robert Reich si è unito agli economisti, banchieri e trader che avvertono del rischio imminente di uno scoppio della bolla finanziaria.

 

Reich ha individuato due bolle pronte a esplodere: quella dell’Intelligenza Artificiale e quella delle criptovalute – che, secondo lui, potrebbe essere già collassata, come suggerito dal crollo del 10-11 ottobre.

 

«Le azioni legate all’Intelligenza Artificiale e ai relativi data center rappresentano circa il 75% dei rendimenti delle principali aziende USA, l’80% della crescita degli utili e il 90% dell’aumento delle spese in conto capitale. Tuttavia, un rapporto del MIT rivela che il 95% delle aziende che utilizzano l’IA non genera profitti», ha scritto.

 

La bolla dell’IA ha arricchito alcuni magnati, come Ellison di Oracle, ma Oracle è gravata da debiti e a luglio le agenzie di rating hanno declassato il suo outlook a negativo, una situazione simile a quella di altre aziende del settore.

 

Quanto alle criptovalute, Reich le ha definite «un classico schema Ponzi», che consuma enormi quantità di energia senza produrre nulla di concreto. Quando le bolle dell’IA e delle criptovalute scoppieranno, ha avvertito Reich, «temo che milioni di americani comuni ne pagheranno le conseguenze, perdendo risparmi e posti di lavoro».

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In seguito alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina della scorsa settimana, il mercato delle criptovalute ha registrato il più grande crollo della sua storia, con una perdita stimata di oltre 150 miliardi di dollari a livello globale. Il bitcoin è calato del 14% tra il 10 e l’11 ottobre, mentre Ether ha toccato un ribasso del 12%. I token minori hanno subito perdite ancora più pesanti. Si tratta della fine della bolla delle criptovalute?

 

Reich si è interrogato sulla questione, rispondendo: «Quando scoppierà la bolla delle criptovalute? Forse è già iniziato». Ha inoltre sottolineato l’«enorme volume di prestiti» che ha alimentato il rialzo delle criptovalute durato nove mesi. Secondo Derive, gli investitori hanno puntato massicciamente su opzioni di Bitcoin ed Ether, segnalando un’ampia scommessa sul crollo del mercato.

 

Quanto alla presunta «stabilità» delle stablecoin, il tracollo delle criptovalute ha colpito anche queste. Bitget riferisce che la stablecoin USDe di Ethena ha perso il 35%, scendendo a 0,65 dollari su Binance, «un movimento notevole per qualcosa che dovrebbe essere stabile… Quando una stablecoin perde il 35% del suo ancoraggio, è naturale chiedersi cosa la sostenga davvero… Le stablecoin sono progettate per resistere a queste pressioni».

 

Un altro castello di carte finanziarie sta per crollare catastroficamente sull’economia globale?

 

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Economia

JP Morgan: l’oro potrebbe raggiungere i 10.000 dollari

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Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan, ha previsto che l’oro potrebbe raggiungere i 10.000 dollari l’oncia, riacquistando appeal come asset rifugio in un panorama di inflazione persistente e instabilità geopolitiche globali.   Il metallo nobile, storicamente visto come una barriera contro l’erosione del potere d’acquisto e la svalutazione delle monete fiat grazie alla sua autonomia da stati e istituti centrali, ha varcato la soglia psicologica dei 4.000 dollari all’inizio di ottobre e ha proseguito il suo rally. Mercoledì ha chiuso con un balzo del 58% da inizio anno, toccando il picco storico di 4.218,29 dollari, più che raddoppiato rispetto al valore del 2023, quando oscillava sotto i 2.000 dollari l’oncia.   «Io non investo in oro: possederlo implica costi del 4%», ha dichiarato Dimon martedì alla conferenza «Most Powerful Women» di Fortune a Washington. «Ma in scenari come l’attuale, potrebbe tranquillamente salire a 5.000 o persino 10.000 dollari».   Il Dimon ha evidenziato come l’economia mondiale stia affrontando numerose sfide, tra cui tariffe doganali americane, l’espansione del disavanzo pubblico, pressioni inflazionistiche, la transizione verso l’Intelligenza Artificiale e attriti internazionali come la corsa agli armamenti, che inducono gli operatori di mercato a puntare sull’oro per mitigare i pericoli.

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Pur astenendosi dal giudicare se l’oro sia sopravvalutato, Dimon ha ammesso che si tratta di «una delle rare occasioni nella mia carriera in cui ha senso allocarvi una quota nel portafoglio, in modo razionale».   Analisti e figure di spicco del settore finanziario condividono vedute analoghe. L’investitore miliardario Ray Dalio ha ribadito martedì che l’oro rappresenta un «ottimo veicolo per diversificare gli investimenti» in un’epoca di debiti sovrani in espansione, conflitti geopolitici ed erosione della fiducia nelle monete nazionali.   «Pertanto, in termini di allocazione strategica ottimale, circa il 15% del portafoglio potrebbe essere dedicato all’oro», ha suggerito il Dalio. Un’indagine di Bank of America condotta a ottobre ha rilevato che il 43% dei gestori patrimoniale vede nelle posizioni long sull’oro la strategia più gettonata a livello globale, superando persino gli investimenti nei «Magnifici Sette» colossi tech Usa (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla).   Il fondatore dell’hedge fund Citadel, Ken Griffin, ha di recente notato che sempre più investitori ritengono l’oro più affidabile del dollaro americano, a lungo trattato come riserva di valore universale. Quest’anno, la valuta Usa ha perso terreno contro tutte le principali divise, in scia alle incertezze legate alle politiche protezionistiche del presidente Donald Trump sui dazi.   Come riportato da Renovatio 21, dopo mesi e mesi di massimi storici raggiunti, l’oro ha superato l’euro nelle riserve globali.  

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Economia

Trump: «i BRICS erano un attacco al dollaro»

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«I BRICS sono stati un attacco al dollaro» lo il presidente statunitense Donald Trump durante l’incontro del 14 ottobre alla Casa Bianca con il presidente argentino Javier Milei.

 

Trump ha sostenuto che, grazie ai dazi imposti ai Paesi BRICS, «questi stanno tutti uscendo dai BRICS» e che ora si sta affermando un «dominio mondiale del dollaro».

 


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Rispondendo a una domanda, Trump ha proseguito: «Mi piace il dollaro. E chiunque ami trattare in dollari ha un vantaggio rispetto a chi non lo fa. Ma per la maggior parte, stiamo mantenendo le cose così. Penso che se Biden, intendo quel gruppo, fosse stato eletto [nel 2024], ovvero Kamala, non avreste più il dollaro come valuta. Non avreste avuto un dominio mondiale del dollaro, se non avessi vinto queste elezioni. E ora, chiunque voglia far parte dei BRICS, va bene, ma imporremo dazi alla vostra nazione. Tutti se ne sono andati; stanno tutti uscendo dai BRICS. I BRICS sono stati un attacco al dollaro. E ho detto: “Se volete partecipare a questo gioco, applicherò dazi su tutti i vostri prodotti che entrano negli Stati Uniti”. E come ho detto, stanno tutti uscendo dai BRICS. E dei BRICS, ormai, non ne parlano nemmeno più».

 

Come riportato da Renovatio 21, Milei, il cui Paese ora aspira a ottenere una linea di swap di emergenza da 20 miliardi di dollari per sostenere l’economia nazionale fino alle elezioni argentine del 26 ottobre, ha rifiutato l’offerta di adesione dell’Argentina ai BRICS tra i primi atti del suo governo.

 

Il 15 ottobre al portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov è stato chiesto un commento sulle affermazioni di Trump riguardo al presunto ritiro delle nazioni dai BRICS: «per quanto riguarda l’intenzione di tutti i Paesi di uscire, onestamente, non ho informazioni del genere», ha risposto il portavoce del Cremlino.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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