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Geopolitica

Quale nuova arma è stata usata nel Golfo e a Beirut?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire con traduzione di Rachele Marmetti. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Una nuova arma è stata usata a inizio luglio contro sette imbarcazioni iraniane nel Golfo Persico [1] e nuovamente il 4 agosto, nel porto di Beirut.

 

Nelle otto esplosioni si è formata una nuvola di fumo diversa da quella delle esplosioni convenzionali, ha assunto infatti la forma di fungo, caratteristica delle deflagrazioni atomiche

Nelle otto esplosioni si è formata una nuvola di fumo diversa da quella delle esplosioni convenzionali, ha assunto infatti la forma di fungo, caratteristica delle deflagrazioni atomiche.

 

A Beirut l’esplosione ha fatto tremare la terra in un raggio di 200 chilometri e, secondo il centro tedesco di geo-scienza (GFZ), ha raggiunto la magnitudine di 3,5 sulla scala Richter. La vibrazione – non la nuvola – ha distrutto molti quartieri della città.

 

L’esplosione ha causato anche un’ondata gigantesca e sollevato alcune vetture che si trovavano nella zona del porto: acqua e veicoli non sono stati spinti lateralmente, ma è stato come se una forte pressione fosse stata esercitata sul mare e intorno all’epicentro del disastro.

L’esplosione ha fatto tremare la terra in un raggio di 200 chilometri e, secondo il centro tedesco di geo-scienza (GFZ), ha raggiunto la magnitudine di 3,5 sulla scala Richter. La vibrazione – non la nuvola – ha distrutto molti quartieri della città

 

Questi attacchi sopravvengono in vista della sentenza che il Tribunale Speciale delle Nazioni Unite per il Libano dovrebbe emettere il 7 agosto [2]. La data dovrebbe essere rinviata.

 
 
Traduzione
Rachele Marmetti 
 

[1] Réseau Voltaire aveva parlato di questo attacco in «Il Libano di fronte alle proprie responsabilità», Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 21 luglio 2020, traduzione di Rachele Marmetti.

L’esplosione ha causato anche un’ondata gigantesca e sollevato alcune vetture che si trovavano nella zona del porto: acqua e veicoli non sono stati spinti lateralmente, ma è stato come se una forte pressione fosse stata esercitata sul mare e intorno all’epicentro del disastro

[2] «Rivelazioni sull’assassinio di Rafiq Hariri», Thierry Meyssan, Odnako (Russia), Rete Voltaire, 29 novembre 2010.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

Fonte: «Quale nuova arma è stata usata nel Golfo e a Beirut?», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 agosto 2020, www.voltairenet.org/article210668.html

 

Immagine da Twitter.

 

Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

 

 

 

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Droga

Trump: «gli attacchi degli Stati Uniti alle imbarcazioni venezuelane sono un atto di gentilezza»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito gli attacchi recenti contro presunte navi dei cartelli della droga al largo del Venezuela come «un atto di gentilezza», sostenendo che l’operazione abbia salvato migliaia di vite negli Stati Uniti.

 

Da settembre, gli Stati Uniti hanno distrutto almeno quattro imbarcazioni in acque internazionali, mentre Trump continua ad accusare il governo venezuelano di sinistra di utilizzare «narcoterroristi» per introdurre illegalmente droga nel suo Paese.

 

Parlando domenica alla cerimonia per il 250° anniversario della Marina degli Stati Uniti a Norfolk, in Virginia, Trump ha lodato l’esercito per il suo supporto agli sforzi «volti a far saltare in aria i terroristi del cartello».

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«È una cosa piuttosto dura quella che stiamo facendo, ma bisogna vederla in questo modo. Ognuna di quelle imbarcazioni è responsabile della morte di 25.000 americani e della distruzione di intere famiglie», ha dichiarato. «Quindi, se la si vede in questo modo, quello che stiamo facendo è in realtà un atto di gentilezza».

 

Trump ha sottolineato che gli attacchi hanno interrotto una rotta marittima cruciale per il traffico di fentanyl e altre droghe verso gli Stati Uniti. «Nessuno vuole più andare in acqua», ha aggiunto il 45° e 47° presidente USA.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le accuse di gestire cartelli, affermando che il suo governo ha «eliminato tutte le principali reti di traffico e sgominato le bande più importanti».

 

Maduro ha accusato Washington di utilizzare la lotta contro i cartelli come pretesto per destabilizzare il suo governo e appropriarsi delle risorse naturali del Venezuela.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione washingtoniana ha rotto le relazioni diplomatiche con Caracas, che a sua volta ha avvertito della possibilità di attacchi da parte di estremisti contro l’ambasciata.

 

La settimana scorsa, il New York Times ha riferito che alcuni alti funzionari hanno esortato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a perseguire la rimozione di Maduro, sebbene il leader statunitense abbia smentito piani per un cambio di regime.

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Il Venezuela ha denunziato voli «illegali» di caccia F-35 americani nei suoi spazi aerei negli ultimi giorni. Si moltiplicano intanto le notizie di preparativi di ulteriore attacchi al narcotraffico venezuelano, con minaccia diretta di Trump agli aerei di Caracas che avevano sorvolato una nave da guerra USA mandata nell’area.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Trump ha dichiarato che gli USA sono in «conflitto armato» con i cartelli della droga.

 

Secondo alcuni analisti, la nuova «guerra alla droga» altro non è che una copertura della riattivata Dottrina Monroe, che prevede l’egemonia assoluta degli USA sul suo emisfero – qualcosa del resto di detto apertamente quando si parla della cosiddetta «difesa emisferica» dell’amministrazione Trump, con varie opzioni di annessioni di PanamaGroenlandiaCanada, e perfino il  Messico.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Fico: l’UE «si spara sulle ginocchia»

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha dichiarato martedì, durante il Forum europeo sull’energia nucleare (ENEF) a Bratislava, che il tentativo dell’Unione Europea di eliminare le fonti energetiche russe dal suo mercato rappresenta una politica autodistruttiva e rischiosa.   Nel suo discorso di apertura, Fico ha duramente criticato il piano REPowerEU, volto a eliminare completamente le fonti energetiche russe, definendolo «una totale assurdità».   «Ci stiamo sparando in ginocchio», ha affermato. «E sono pronto a discutere con la Commissione Europea 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per convincerli che si tratta di un passo ideologico insensato».

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Fico ha evidenziato che la Slovacchia non può interrompere l’importazione di barre di combustibile nucleare dalla Russia per i suoi reattori di progettazione sovietica.   «Non metteresti mai un motore Mercedes in una Skoda. Non funziona così», ha commentato, sottolineando le preoccupazioni legate alla sicurezza.   La Slovacchia gestisce cinque reattori nucleari e sta costruendo un sesto presso la centrale di Mochovce. L’energia nucleare copre circa il 60% del fabbisogno elettrico del Paese ed è cruciale per i suoi obiettivi industriali, come lo sviluppo di grandi data center, ha osservato Fico.   Il primo ministro ha anche annunciato l’intenzione di costruire un ulteriore reattore presso la centrale nucleare di Bohunice, un progetto che coinvolgerà un appaltatore statunitense e potrebbe includere la partecipazione di altre nazioni attraverso un consorzio. Ha notato che gli Stati Uniti continuano a importare uranio russo.   Fico, spesso critico verso Bruxelles, ha sostenuto che i piani economici dell’UE, come la strategia di Lisbona del 2000, hanno ripetutamente fallito nel mantenere le promesse.   Il premier di Bratislava ha avvertito che, se l’UE non abbandonerà il suo approccio ideologico alla politica energetica ed economica, le nazioni europee perderanno competitività a livello globale.   Come riportato da Renovatio 21, Fico tre mesi fa aveva dichiarato che la Slovacchia è «pronta a combattere» per il diritto ad importare il gas russo.

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Negli ultimi mesi il primo ministro slovacco ha ribadito il suo sostegno ai valori della famiglia cristiana e ha esternato il suo pensiero riguardo la fine del veto dei singoli Stati nella UE, ventilata da Bruxelles per mettere a tacera Slovacchia e Ungheria e chiunque altro si metta di traverso alle politiche belliciste e antirusse della stanza degli eurobottoni: per Fico, qualora il veto sparisse, si tratterebbe della fine della UE.   Fico – unico europeo con il presidente serbo Aleksandr Vucic a partecipare alla parata del 9 maggio a Mosca – ha altresì detto apertis verbis che vari Stati occidentali desiderano la continuazione del conflitto ucraino.   Il primo ministro slovacco è inoltre, risaputamente, avversario della vaccinazione COVID, di cui ha denunciato i «gravi risultati».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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Geopolitica

Il colonnello Macgregor: gli USA «di nuovo in rotta di collisione con l’Iran»

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«Il potenziale di degenerazione incontrollata dei conflitti in Ucraina e con l’Iran è enorme. Sembra che siamo di nuovo in rotta di collisione con l’Iran». Lo sostiene il colonnello Douglas Macgregor, uno dei più noti esperti americani di questioni militari e di sicurezza globale, nonché ex consigliere del presidente Donald Trump durante il suo primo mandato, rispondendo a LifeSiteNews che chiedeva se  «gli Stati Uniti si stanno preparando per una guerra più grande?»

 

Secondo l’ex ufficiale, uno dei principali fattori di rischio per l’escalation sarebbe la svolta di Donald Trump sulla questione ucraina. L’ex presidente, infatti, avrebbe abbandonato la sua iniziale posizione di non intervento, adottando una linea più vicina a quella dell’amministrazione Biden.

 

Come riporta il New York Post, «Trump ha accettato di fornire a Kiev informazioni di Intelligence statunitensi per sostenere attacchi alle infrastrutture energetiche nel profondo della Russia, aiutando l’Ucraina a portare la guerra fino alle porte del presidente Vladimir Putin».

 

Un ulteriore elemento di rischio, secondo Macgregor, è rappresentato dall’aumento delle critiche internazionali contro la politica israeliana a Gaza. Le crescenti denunce di genocidio e le pressioni internazionali potrebbero, secondo il colonnello, spingere Israele a una reazione drastica: il primo ministro Benjamin Netanyahu, afferma Macgregor, «deve agire al più presto o rischia di perdere il sostegno incondizionato al progetto del Grande Israele».

 

Durante un incontro svoltosi il 30 settembre a Quantico, in Virginia, il presidente Trump e il Segretario alla Difesa Pete Hegseth hanno riunito centinaia di alti funzionari militari provenienti da tutto il mondo. Il messaggio, scrive LifeSiteNews, è stato chiaro: il «dipartimento woke» è finito e il Pentagono sarà trasformato in un «Dipartimento della Guerra», con l’invito a dimettersi rivolto a chi non condivide la nuova linea.

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Alla domanda sul significato di questa mossa, Macgregor ha risposto: «Il POTUS [cioè il presidente USA, ndr]è tutto una questione di apparenza e glamour. Il messaggio riguardante la forma fisica e l’avanzamento basato sul merito era genuino, ma il resto era un flusso di coscienza poco chiaro. Non siamo pronti a combattere una guerra importante a questo punto. Farlo sarebbe sciocco e pericoloso».

 

Alla richiesta di confermare i segnali di una crescente attività militare, il colonnello ha aggiunto: «Le forze statunitensi si stanno concentrando in modi che ricordano l’ultimo scontro tra Israele e Iran. Sembra che siamo di nuovo in rotta di collisione con l’Iran».

 

Riguardo a un possibile scenario di guerra, Macgregor ha ribadito: «il potenziale di degenerazione incontrollata dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente con l’Iran è enorme. Il recente sequestro francese di una petroliera russa in mare è un atto di guerra. La NATO è senza leadership a seguito della decisione di Trump di adottare la politica di Biden nei confronti di Mosca. In Medio Oriente, siamo in balia delle azioni di Israele. Nei Caraibi siamo pronti a scatenare un nuovo conflitto con il Venezuela».

 

Le critiche alla politica israeliana nei confronti di Gaza stanno aumentando anche negli Stati Uniti. Persino la CNN ha pubblicato un articolo dal titolo: «Come le azioni israeliane hanno causato la carestia a Gaza». Diversi paesi europei hanno preso posizione contro Israele, mentre anche nel campo conservatore americano si registrano segnali di cambiamento.

 

Secondo Macgregor, «Israele sta perdendo il sostegno popolare negli Stati Uniti, ma controlla ancora Washington e la Casa Bianca. Il primo ministro Netanyahu deve agire al più presto o rischia di perdere il sostegno incondizionato al progetto del Grande Israele. Gli Stati Islamici in Medio Oriente e in Egitto si stanno allineando al sostegno della Cina e della Russia. Non c’è alcun incentivo per Israele a scendere a compromessi o a ritardare l’azione».

 

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Immagine di Neil Hester via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

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