Storia
Putin: «la Russia è assolutamente invincibile»

La Russia è sempre stata e rimane «assolutamente invincibile», ha detto ieri il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin a un gruppo di studenti durante una lezione aperta in occasione dell’inizio dell’anno accademico.
La mentalità del popolo russo rende impossibile che qualcuno possa sconfiggere il Paese, ha dichiarato Putin.
Il presidente russo ha ricordato la storia della sua famiglia, raccontando agli studenti i suoi antenati che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Secondo Putin, sua nonna è stata colpita a morte da un soldato nazista ma, anche se stava morendo, pensava ancora a suo marito e ha detto al nonno di Putin di «non piangere» per non turbarla nei suoi ultimi istanti.
«Capite la profondità di questi rapporti tra la gente comune, questo amore?» ha detto il presidente, aggiungendo che, anche di fronte alla morte, sua nonna si è presa cura del suo caro. «Come non prenderlo come modello?»
Putin ha anche detto che tutti i membri della sua famiglia provavano un profondo rispetto reciproco e avevano una «forte cultura interiore».
Putin ha anche detto che crede che la maggior parte delle famiglie in Russia siano così.
«E qui ho capito perché abbiamo vinto la Grande Guerra Patriottica», ha detto il presidente, riferendosi alla lotta sovietica contro la Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale. «Non si può sconfiggere un popolo con una tale mentalità», ha detto, aggiungendo che «siamo stati assolutamente invincibili. E tale rimaniamo anche adesso».
Nella lunga serie di interviste concesse al regista americano Oliver Stone, Putin aveva approfondito il senso di appartenenza dei russi, dicendo che in qualsiasi configurazione dello Stato – Impero zarista, Unione Sovietica, Federazione – il cittadino russo è come incapace di vivere senza la sua istituzione principale: i russi, in pratica, non possono vivere senza la Russia.
Ciò era divenuto particolarmente chiaro in casi come quello del campione di Hockey Vladimir Krutov, giovane stella olimpica dell’Hockey sovietico che, approdato in Nord America per giocare nel Vancouver (ovviamente, con stipendio molto più alto di quello che riceveva in URSS…) fu preda della nostalgia, che lo portò ad avere problemi di peso.
Un altro caso di grande, poetica evidenza di questo fenomeno lo ha dato il grande cineasta Andrej Tarkovskij, l’autore di capolavori assoluti come Andreij Rublev, Solaris, Stalker, esiliato dall’URSS e finito per anni in Italia, dove girò, appunto, un film sullo stato di artista russo esule, Nostalghia, cioè, appunto, «nostalgia».
Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Lavrov all’ONU parla di rinazificazione tedesca: «hanno lo stesso obiettivo di Hitler»

I leader tedeschi stanno adottando politiche che richiamano gli obiettivi di Adolf Hitler di dominare l’Europa e infliggere una sconfitta strategica alla Russia, ha dichiarato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
Durante una conferenza stampa dopo il suo intervento all’80ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sabato, Lavrov ha affermato che le ambizioni militari della Germania vanno oltre la semplice difesa.
«Non si tratta solo di militarizzazione, ci sono chiari segnali di rinazificazione», ha detto ai giornalisti. «E perché si sta facendo questo? Beh, probabilmente con lo stesso obiettivo di Hitler: dominare tutta l’Europa. E cercare di infliggere una sconfitta strategica all’Unione Sovietica, nel caso di Hitler, e nel caso della Germania moderna e del coro dei principali solisti dell’Unione Europea e della NATO: alla Federazione Russa».
Il ministro degli Esteri ha criticato il cancelliere Friedrich Merz, accusandolo di voler trasformare la Germania nella «principale macchina militare d’Europa», citando la sua retorica sempre più bellicosa. Merz ha promesso di rendere la Bundeswehr il «più forte esercito convenzionale d’Europa» in un discorso tenuto meno di una settimana dopo l’80° anniversario della caduta del Terzo Reich, celebrato a maggio.
«Quando una persona in un Paese che ha commesso i crimini del nazismo, del fascismo, dell’Olocausto, del genocidio afferma che la Germania deve tornare a essere una grande potenza militare, allora ovviamente sta subendo un’atrofia della memoria storica, e questo è molto, molto pericoloso», ha detto Lavrov.
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Questa settimana, Merz ha dichiarato che «non siamo in guerra, ma non viviamo più in pace», chiedendo la confisca dei beni russi congelati per sostenere Kiev. A Bruxelles, questo piano di «prestiti di riparazione» è stato appoggiato dall’ex ministro della Difesa tedesco, ora presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.
Berlino intende quasi raddoppiare il proprio bilancio militare entro il 2029, indicato dai funzionari tedeschi come scadenza per essere «pronto alla guerra». Il ministro della Difesa Boris Pistorius ha dichiarato che la Bundeswehr deve prepararsi a combattere soldati russi se la «deterrenza» fallisce. Il presidente Frank-Walter Steinmeier ha chiesto il ripristino della coscrizione universale in caso di carenza di volontari.
Dal 2022, con l’escalation del conflitto in Ucraina, la Germania è diventata il secondo maggior fornitore di armi a Kiev dopo gli Stati Uniti, inviando carri armati Leopard, utilizzati e persi da Kiev nell’incursione nella regione russa di Kursk, teatro della più grande battaglia di carri armati della Seconda guerra mondiale.
In precedenza, Lavrov aveva sostenuto che le politiche di Berlino dimostrano il suo «coinvolgimento diretto» nella guerra per procura contro la Russia, avvertendo che l’Unione Europea nel suo complesso sta scivolando verso quello che ha definito un «Quarto Reich».
Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa la Russia ha annullato l’accordo di distensione con la Germania. Sei mesi fa, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, truppe tedesche sono state schierate sul fronte orientale per combattere la Russia.
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Immagine screenshot da YouTube
Intelligence
Gli USA e il progetto di Israele per il Medio Oriente: origini e natura del piano Clean Break

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Israelis are great dancers. In fact, they’re famous for it. You should google “the dancing Israelis” and check out their sick moves! pic.twitter.com/ii3iIKqCW1
— ADAM (@AdameMedia) June 25, 2025
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Storia
L’equilibro mondiale su Panama. Quando il «sicario dell’economia» Perkins intervistò Omar Torrijos

Nel libro Confessioni di un sicario dell’economia (saggio autobiografico sulle tecniche di colonizzazione finanziaria del Terzo Mondo da parte degli USA), John Perkins riporta una sua personale intervista del 1972 con il generale e leader politico panamense Omar Torrijos.
Perkins dichiara già in un lungo preambolo la sua alta considerazione per il generale e il suo impegno a bilanciare il ruolo di Panama in una terza via tra l’ingombrante ma necessario strapotere americano e i rappresentanti del Secondo Mondo.
La sua grande ammirazione per il presidente jugoslavo Josip Broz Tito (1892-1980) e il presidente egiziano Gamal Abd al-Nasser (1918-1970) per il loro ruolo importante come tentativo di creazione di un terzo polo mondiale sotto il nome di «Movimento dei Paesi non allineati» («Non-Aligned Movement» o NAM) o lo porterà a tentare di emulare i suoi punti di riferimento durante la gestione dello Stato centroamericano.
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Primo della sua classe sociale a governare Panama – e non solo – Torrijos guadagnò i favori di una preponderante fetta della popolazione soprattutto grazie all’essere di estrazione modesta, ispanofono e mulatto. Come mai prima si vide a quelle latitudini, Torrijos cercò di monetizzare il suo peso indirizzando i suoi sforzi a favore di riforme per il popolo panamense.
Ben conscio del ruolo fondamentale giocato dal canale e per l’utilizzo sfrenato che da sempre aveva caratterizzato il giardino di casa degli States, la sua bravura fu quella di cercare di equilibrare le sue richieste con le concessioni.
L’intervista è esemplare per comprendere come già dopo pochi anni al vertice avesse ben chiaro la posta in gioco ma ancora di più come conoscesse bene la storia della sua regione oltre che quella globale.
«Ti immagini?» chiede Torrijos a Perkins nella conversazione con Perkins, «fare parte di un complotto per detronizzare il tuo stesso padre?»
Si parla della Persia. «Dopo che lo shah venne reinsediato lanciò una serie di progetti rivoluzionari atti a sviluppare il settore industriale e a portare l’Iran nell’era moderna. Non ho una grande opinione delle politiche dello shah – la sua volontà di rovesciare suo padre e di diventare un pupazzo in mano alla CIA – ma sembra che voglia fare del bene al suo paese. Può essere che possa imparare qualcosa da lui. Se sopravvive».
«Non credi possa farcela?» domanda Perkins.
«Ha nemici molto potenti» risponde il panamense.
«E alcune delle migliori guardie del corpo al mondo»controbatte l’intervistatore.
Torrijos guardando Perkins con aria sardonica continua ad esporre la sua teoria: «la sua polizia segreta, la SAVAK, ha la reputazione di essere composta da criminali spietati. Questo non aiuta a guadagnarsi molte amicizie. Non durerà molto. Guardie del corpo? Io ne ho alcune. Tu credi che mi salveranno la vita se la nazione vorrà disfarsi di me?»
Perkins avanza allora la possibilità che anche lui si vedesse fare la stessa fine. Ma la risposta del generale non si fa attendere: alza le sopracciglia in una maniera che imbarazza l’americano per aver posto una simile domanda.
«Noi abbiamo il Canale. È enormemente più grande sia di Arbenz che della United Fruit» conclude Torrijos.
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Il riferimento di Torrijos ad Arbenz è fondamentale per capire gli strascichi lasciati nelle genti del Mesoamerica. La terribile ripercussione che si abbatté nel Guatemala degli anni cinquanta lasciò torrenti di sangue a scorrere per decenni nelle memorie delle persone che vissero o sentirono raccontare quei tragici eventi.
Secondo Piero Gleijeses, reputato il maggior esperto grazie al suo eccezionale lavoro Shattered Hope: The Guatemalan Revolution And The United States, 1944-1954, fin dai tempi di Thomas Jefferson sono sempre state tre le forze che hanno fatto da stella polare per la politica esterna statunitense nei Caraibi: la ricerca del profitto, la ricerca della sicurezza e la hybris imperiale.
Arbenz, una volta salito al potere nel 1951 con all’interno della sua coalizione anche il Partido Guatemalteco del Trabajo (PGT) a chiare tinte comuniste, avanzò verso una profonda riforma agraria. La prima vera rivoluzione della terra in centro America. Un sesto della popolazione del Guatemala, circa cinquecento mila braccianti, avrebbero avuto accesso ad appezzamenti senza passare più dal latifondista.
In seguito a questa vasta rivoluzione legalmente eletta in favore di una ridistribuzione più equa delle terre venne orchestrato dalla CIA un sanguinario colpo di Stato. L’autore sostiene che la vicinanza e la simpatia di Arbenz verso la causa comunista concorse ad esasperare le scelte ma non fu affatto l’obiettivo primario del golpe. Per molti la decisione che sancì la distruzione di Arbenz, del paese e di una buona fetta del popolo guatemalteco, fu proprio quella di sottrarre ad UFCO le sue terre in territorio guate.
Gleijeses nel suo saggio continua ricordando come il gabinetto del presidente americano era infestato di compagni di merende della United Fruit. Foster Dulles, segretario di Stato, era socio principale dello studio legale rappresentante la UFCO.
Il suo vice, Walter Bedell Smith, era tentato in quel periodo ad accettare un lavoro per la UFCO, cosa che fece non appena andò in pensione nel 1955. L’assistente segretario per l’America Latina, nonché ambasciatore alle Nazioni Unite apparteneva alla famiglia Cabot, uno dei maggiori azionisti della società frutticola. La segretaria personale di Eisenhower era la moglie del direttore delle pubbliche relazioni del bananificio a stelle e strisce.
L’intervista con Torrijos a questo punto spiega la figura di Arbenz: «i poveri e la classe media di tutta l’America Latina applaudirono Arbenz. Era personalmente uno dei miei eroi. Ma lo guardavamo allo stesso tempo con il fiato sospeso. Sapevamo che la United Fruit si sarebbe opposta a queste misure proprio perché era il più importante proprietario terriero in Guatemala. Possedevano terreni anche in Colombia, Costa Rica, Cuba, Jamaica, Nicaragua, Santo Domingo e qui a Panama. Non avrebbero potuto lasciare ad Arbenz la possibilità di farci venire strane idee».
Torrijos prosegue più serio che mai: «Arbenz fu assassinato. Politicamente e caratterialmente. Come potete credere alle sciocchezze che vi racconta la CIA? Con me sarà molto più difficile. I militari qua sono la mia gente. L’assassinio politico non potrà funzionare. La CIA dovrà impegnarsi di persona per farmi fuori!»
Entrambi rimangono in silenzio per alcuni minuti persi nei loro pensieri, fino a che Torrijos non dice: «Sai a chi appartiene la United Fruit?»
«Zapata Oil, una società di George Bush» risponde prontamente Perkins.
«Un uomo con grandi ambizioni» chiosa Torrijos, «ora sono in azione contro i suoi faccendieri della Bechtel».
Perkins che in quel momento lavorava alla MAIN a caccia di enormi commesse strategiche con lo scopo di creare gigantesche voragini di debito e quindi il controllo dei suoi clienti, si ritrovava in una posizione ambigua trattandosi di un principale concorrente soprattutto a Panama.
«Cosa intendi?» incalza Perkins.
«Stiamo considerando la costruzione di nuovo canale, uno a livello mare, senza chiuse. Può essere utilizzato anche da navi più grosse. I Giapponesi sono interessati a finanziarlo».
«Sono i principali clienti» dice anche Perkins all’unisono con Torrijos.
«Esatto. Infatti se daranno i soldi potranno portare a termine l’opera. Bechtel sarò messa da parte nella più grande opera dei nostri tempi. Proprio loro, zeppi di tirapiedi dei vari Bush, Ford, Nixon». L’autore confida nel suo libro come questa risposta lo ha lasciato di sasso.
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A quel punto Perkins gli chiede direttamente cosa volesse da lui. Torrijos rispose senza esitazione che avrebbe necessitato del suo aiuto.
«Ci riprenderemo il Canale. Ma questo non sarà abbastanza. Noi serviremo anche da modello. Mostreremo al mondo come avere cura dei poveri e paleseremo la nostra indipendenza da Russia, Cina o Cuba. Proveremo al mondo che Panama è una nazione ragionevole, che non si erge contro gli Stati Uniti ma a favore della lotta contro la povertà».
Perkins racconta come Torrijos infine gli ha chiesto di collaborare ma di farlo in modo da non strozzare la nazione come da prassi raccontata nelle sue memorie. Gli domanda di aiutarlo nel sogno di rendere la sua nazione finalmente in grado di sostenersi autonoma.
Il «sicario dell’economia» ricorda come la finezza di pensiero del generale lo avesse portato a capire molto bene i meccanismi finanziari dell’epoca e il potere del Canale che aveva per le mani. Il suo giudizio sulla persona che aveva davanti ritraeva di sicuro un elemento ricco di contraddizioni, difetti e peccati ma chiaramente non era un pirata o un avventuriero.
Le ultime domande che si fece l’autore, accomunandolo al Che, Allende, Arbenz furono semplicemente quanto sarebbe riuscito a restare in vita per dare continuità al progetto.
Torrijos morì il 31 luglio 1981 quando il suo aereo, un de Havilland Canada DHC-6 Twin Otter dell’aeronautica militare panamense, si schiantò a Cerro Marta vicino alla località di Penonomé, Panama. Aveva 52 anni.
Nel suo libro Perkins lascia intendere che fu la CIA ad ucciderlo, giudicandolo troppo arduo da controllare.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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