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Persecuzioni cristiane nel Laos: ucciso pastore evangelico

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Thongkham Philavanh, 40 anni, è stato assassinato nella sua casa, nel villaggio di Vanghay. Soccorso dalla moglie, è morto all’arrivo in ospedale. Nel 2022 l’omicidio del pastore Sy Sengmany, caso tutt’ora irrisolto. Una parente di Philavanh: «Gruppi di persone non amano ciò che faceva».

 

Nel Laos, Stato comunista a partito unico con una popolazione prevalentemente buddista, non sono rare le persecuzioni contro i cristiani.

 

Martedì sera Thongkham Philavanh, 40 anni, pastore cristiano khmu, gruppo etnico presente nel Laos settentrionale, è stato assassinato da due uomini mascherati che, stando ad alcune dichiarazioni, guidavano motociclette, ma non si è stati in grado di comprenderne la provenienza.

 

Due colpi di arma da fuoco hanno colpito Philavanh nella sua casa nel villaggio di Vanghay, provincia di Xai. Il pastore è stato subito soccorso dalla moglie, che lo ha portato all’ospedale provinciale, dove al suo arrivo ha perso la vita. Sono in corso le indagini della polizia e al momento non è chiaro l’esatto movente.

 

L’omicidio di Thongkham Philavanh, i cui funerali si celebreranno domani, 27 luglio, presso il cimitero del villaggio, ricorda il triste attentato alla vita del 2022 di un altro pastore cristiano, Sy Sengmany, trovato morto nei pressi di una foresta nella provincia di Khammouane. Precedentemente l’accaduto due uomini avevano visitato la sua casa e le autorità del villaggio gli avevano intimato di interrompere le sue attività religiose.

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Il caso rimane irrisolto e sottolinea quanto in Laos negli ultimi anni siano aumentate le violenze contro la comunità cristiana, aggravate dal controllo delle autorità comuniste locali, dalla distruzione di case e dalla chiusura di chiese, che hanno forzato il ritrovo delle assemblee presso le abitazioni private, per mezzo di incontri considerati tecnicamente «illegali».

 

Queste aggressioni e discriminazioni avvengono nonostante una legge nazionale protegga il libero esercizio della fede. Ma chi pratica il cristianesimo è comunque oggetto di sospetto da parte delle autorità e preso di mira su diversi livelli.

 

Radio Free Asia ha raccolto alcune dichiarazioni delle comunità cristiane della provincia di Oudomxay e di altre parti del Laos, le quali hanno affermato essere in lutto per la perdita di Thongkham.

 

«Ieri sera, la nostra comunità è stata sconvolta dalla tragica perdita del nostro amato pastore, che ci è stato insensatamente portato via in un atto di violenza», hanno scritto alcuni di loro in inglese su Facebook il giorno successivo all’omicidio. «La sua profonda saggezza, la sua fede incrollabile e la sua sconfinata compassione hanno toccato la vita di molti», fa eco qualcun altro, ricordando il magistero di Thongkham Philavanh, che partecipava spesso alle attività della Chiesa cristiana nella provincia di Oudomxay.

 

«Non sono sicura del motivo per cui l’hanno ucciso, ma credo che sia perché serve Gesù Cristo», ha detto una parente del pastore cristiano che non rileva l’identità per motivi di sicurezza. «Una cosa di cui sono sicura è che ci sono alcuni gruppi di persone che non amano ciò che Thongkham faceva come pastore».

 

Un fedele cristiano ha dichiarato sempre a RFA che è probabile che Philavanh sia stato ucciso anche solamente perché era un pastore cristiano e un leader religioso, e che questo non piaceva a qualcuno. Un altro credente, che conosceva Thongkham Philavanh da anni, si è detto dispiaciuto di apprendere la notizia della scomparsa del pastore tramite i social media.

 

Altre comunità cristiane in Laos hanno espresso preoccupazione per la sicurezza dei loro pastori e membri, temendo che anch’essi possano essere uccisi.

 

Un membro della Chiesa evangelica del Laos ha affermato che i gruppi anticristiani del Paese cercano occasioni per fare del male ai cristiani, e quanto accaduto martedì è l’ennesima prova.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Prince Roy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

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Proiettili di gomma contro le chiese protestanti indipendenti vietnamite

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Y Hung Ayun della chiesa domestica di Tara Puor la scorsa domenica è rimasto vittima di un agguato: due uomini con il volto coperto lo hanno colpito al ginocchio. Le Chiese indipendenti in Vietnam, non approvate dal governo, sono sovegliate dalle autorità che confiscano Bibbie e beni. A settembre minacciato anche Y Pho Eban, 57 anni, del villaggio Cue: «Non ci è permesso riunirci”.   «Mi hanno attaccato per avvertirmi che dovrei ritirarmi e tornare alla Chiesa evangelica del Vietnam [approvata dal governo]». Sono le parole condivise con Radio Free Asia dal pastore Y Hung Ayun, 62 anni, mostrando il livido sul ginocchio causato dai proiettili di gomma, che l’hanno colpito nel villaggio di Tara Puor, nella provincia vietnamita di Dak Lak, domenica 1 dicembre.   Il religioso appartenente alla minoranza etnica Ê-đê sovrintende la chiesa domestica del villaggio. È stato vittima di un agguato mentre tornava a casa: due uomini con il volto coperto l’hanno accostato, uno dei due ha estratto una pistola e gli ha sparato due volte con proiettili di gomma al ginocchio sinistro e poi si sono allontanati.

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Non è una novità che le autorità sorveglino da vicino le chiese indipendenti, intimidendo pastori e fedeli. Tra le molestie risultano interruzioni e limitazioni delle attività religiose, confisca di Bibbie, telefoni cellulari, computer e contanti, come spiega la sezione dedicata al Vietnam del rapporto del 2024 della Commissione degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale.   Alla violenza non è seguita una denuncia alla polizia locale. Y Hung ha detto di non aver riportato l’accaduto, anche se il giorno dopo l’attacco gli agenti locali sono passati da casa sua per «fargli visita», ma lui non c’era. Il pastore in passato aveva scontato nove anni di carcere per «aver minato la politica di solidarietà nazionale».   Dopo aver completato la libertà vigilata, nel 2017 ha partecipato a un corso di formazione per diventare pastore. Da allora, è stato monitorato da vicino dalle forze dell’ordine che hanno installato telecamere di sicurezza per sorvegliare la sua casa e gli hanno chiesto di avvisarli quando si allontana per lunghi viaggi, riporta sempre Radio Free Asia.   Un episodio simili è capitato anche lo scorso 25 settembre a un altro pastore, Y Pho Eban, 57 anni, guida di una chiesa indipendente nel villaggio di Cue. Venne colpito alla gamba il mentre tagliava l’erba nel suo campo di caffè. Il pastore è caduto a terra, senza sapere chi gli avesse sparato. L’attacco gli ha lasciato una ferita sanguinante: un buco profondo nella gamba che ha danneggiato anche le ossa. La famiglia di Y Pho lo ha mandato in ospedale per permettere a un medico di rimuovere il proiettile e curare la ferita, ma non riesce ancora a camminare.   Anche Y Pho ha detto di non aver denunciato l’incidente alle autorità locali. «Mi odiano perché curo il culto di una chiesa domestica, che loro vietano assolutamente», ha detto a Radio Free Asia. «Hanno detto che non ci è permesso riunirci. Ogni volta che mi convocano alla sede del comune, minacciano me e la mia famiglia». Y Pho ha detto di credere che gli abbiano sparato perché è il leader di una chiesa protestante indipendente con 200 seguaci nel suo villaggio.

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Y Quynh Bdap, 32 anni, figlio del pastore di Cue e fondatore del gruppo Montagnards Stand for Justice, è stato processato in contumacia da un tribunale vietnamita a gennaio in relazione all’attacco del giugno 2023 a due uffici governativi nella provincia di Dak Lak che ha causato nove morti. Ha negato di essere coinvolto nell’incidente.   Il Vietnam ha chiesto alla vicina Thailandia di estradare l’attivista, nonostante il timore che possa subire torture o la morte in caso di rimpatrio.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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I cristiani di Aleppo ancora una volta occupata dai jihadisti

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La ribellione contro il governo siriano, iniziata nel 2011, era stata sospesa dal 2020, quando Turchia e Russia hanno negoziato un cessate il fuoco per fermare l’offensiva del governo. La regione di Idlib è l’ultima roccaforte controllata dall’opposizione e dai jihadisti. L’enclave è principalmente nelle mani del gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham.

 

Va aggiunto che ci sono anche fazioni ribelli sostenute da Ankara che operano sotto la bandiera dell’Esercito nazionale siriano e delle forze turche. Il cessate il fuoco è stato più o meno rispettato. Il mese scorso, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria ha avvertito che le guerre a Gaza e in Libano stanno «catalizzando pericolosamente il conflitto nel Nord-Ovest della Siria».

 

E infatti, il 27 novembre 2024, le forze di opposizione hanno lanciato un attacco nel Nord-Ovest, riuscendo a impadronirsi dei territori difesi dalle forze governative del presidente Bashar al-Assad. Il gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham e le fazioni alleate hanno preso il controllo di diverse città e villaggi nelle province di Aleppo e Idlib.

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Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), che dispone di una rete di informatori, l’offensiva ha provocato almeno 242 morti. Tra loro, quattro civili uccisi in mattinata dalle bombe piovute su Aleppo. Questa città, che un tempo era la capitale economica e commerciale del Paese, è diventata il simbolo della devastazione di un conflitto ormai dimenticato.

 

Fides riporta la testimonianza dell’Arcivescovo maronita di Aleppo, Joseph Tobji, datata 30 novembre: «Dopo tre giorni di attacchi, le cosiddette milizie dell’opposizione hanno preso la città. Adesso tutto tace. La città è sospesa. E nessuno ci dice niente», lamenta l’alto prelato.

 

E aggiunge che dopo «gli scontri, per il momento, non c’è stato spargimento di sangue, grazie a Dio. L’esercito [governativo] ha lasciato Aleppo e la città è ora nelle mani delle milizie dell’opposizione. Circolano voci sull’arrivo di truppe dell’esercito siriano, ma nulla è certo. Viviamo nell’insicurezza».

 

Per ora la sua chiesa resta aperta, si celebrano messe e non si registrano attacchi diretti contro obiettivi legati alle comunità cristiane. «Al momento siamo tranquilli, ma non sappiamo cosa accadrà. È come se tutta la città vivesse con il fiato sospeso», aggiunge l’arcivescovo.

 

Padre Hugo Alaniz, dell’Istituto del Verbo Incarnato, conferma all’Agenzia Fides che quasi tutta la città di Aleppo è nelle mani dei ribelli: «questa mattina, riferisce il missionario di origine argentina, siamo usciti con mons. Hanna [Mons. Hanna Jallouf, Vicaria Apostolica di Aleppo per i cattolici di rito latino] e siamo andati a visitare alcune delle nostre comunità e continueremo i nostri tour in le prossime ore. Per ora stanno tutti bene, grazie a Dio».

 

Nella zona adiacente alla residenza vescovile si trovano le suore carmelitane e le suore di Madre Teresa di Calcutta con i 60 anziani di cui si prendono cura. I giovani della residenza universitaria e altre suore si trasferirono in altre zone della città. «E tutti – aggiunge padre Hugo – chiedono preghiere».

 

Asianews riporta la testimonianza di padre Bahjat Karakach, parroco della chiesa Saint-François d’Assise ad Aleppo: l’escalation è legata «all’impasse politica in cui si trova la Siria da diversi anni, mentre era chiaro a tutti che non sarebbe fattibile a lungo termine», dice.

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E continua: «non c’è mai stata una soluzione reale e definitiva, ma solo accordi fragili che non potevano durare a lungo termine» e ora è urgente un intervento deciso da parte della comunità internazionale. I terribili eventi del passato generano un clima di tensione e paura nella comunità cristiana, conclude.

 

Per la cronaca, truppe governative e ribelli si sono scontrati per più di quattro anni ad Aleppo – tra luglio 2012 e dicembre 2016 – provocando la morte di oltre 20.000 civili e lasciando la città devastata.

 

Mentre all’inizio della guerra c’erano 150.000 cristiani, oggi ne sono rimasti solo 25.000.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Preacher lad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Parlamentare musulmano chiede leggi sulla blasfemia in Gran Bretagna

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Un parlamentare musulmano britannico ha chiesto la reintroduzione delle leggi sulla blasfemia durante una recente sessione parlamentare.   Il deputato laburista Tahir Ali ha esortato il governo britannico a rendere illegale la «profanazione» dei testi religiosi e dei profeti.   Ali ha affermato che il governo dovrebbe reintrodurre le leggi sulla blasfemia, che sono state ufficialmente eliminate dal codice penale nel 2008 e nel 2021, molti anni dopo la loro ultima applicazione.

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Ali, che rappresenta la circoscrizione di Birmingham di Hall Green, che ha una popolazione in maggioranza nera, asiatica e di minoranze, ha affermato che la blasfemia è responsabile della diffusione dell’«odio» e ha fatto riferimento a una risoluzione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che condanna la profanazione dei testi religiosi, tra cui il Corano.   Il primo ministro Keir Starmer ha espresso la sua solidarietà per le preoccupazioni di Ali e ha rifiutato di escludere la reintroduzione di una legge sulla blasfemia.  

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Il partito laburista ha incontrato notevoli difficoltà con le comunità musulmane durante le elezioni nazionali anticipate dell’estate, in gran parte a causa della politica del partito sulla guerra Israele-Gaza.   I candidati indipendenti pro-Palestina hanno rubato quote significative del voto laburista in diverse circoscrizioni chiave in tutto il Paese.   Le proteste della scorsa estate, dove intere città si sono sollevate contro la cosiddetta two tier policy che privilegia la popolazione immigrata rispetto a quella autoctona hanno provocato la reazione di alcune bande di immigrati del Punjab (cioè musulmani pakistani), molto diffusi nel Paese da decenni, che in alcuni casi si sono scontrati con i britannici bianchi.   Vari commentatori hanno ricordato il caso di Rothertam, nel nord delle miniere di carbone, dove gruppo di immigrati musulmani, tutti adulti, avrebbe stuprato dal 1997 al 2013 qualcosa come mille bambine dagli undici ai sedici anni con problemi mentali o famigliari. I giornali scrissero che la spirale del silenzio attorno al caso – polizia, famiglie, assistenti sociali, politici – per paura di sembrare politicamente scorretti mostrando tali ramificazioni oscure dell’immigrazione massiva.   Come riportato da Renovatio 21, le cosiddette «leggi anti-blasfemia» in Pakistan sono un vero strumento di persecuzione nei confronti dei cristiani del Paese, dove per una denuncia inventata di un vicino musulmano geloso si può finire imprigionati a vita, condannati a morte o linciati in piazza – o magari pure decapitati con machete per direttissima.

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Immagine di Richard Townshend via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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