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Geopolitica

Pechino costruisce basi militari sul suolo tagiko per controllare l’Afghanistan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

I cinesi starebbero sviluppando un vecchio avamposto sovietico vicino al Corridoio di Wakhan. L’obiettivo è di bloccare infiltrazioni terroristiche in territorio cinese. I talebani afghani hanno promesso di cacciare gli estremisti uiguri, nemici di Pechino. La Russia osserva le mosse della Cina nella regione.

 

 

La Cina sta costruendo basi militari e punti di osservazione alla frontiera tra Tagikistan e Afghanistan. Pechino vuole controllare la minaccia dei guerriglieri afghani più estremisti.

 

In una località non precisata, non lontano dal Corridoio di Wakhan nella provincia del Badakhshan, i cinesi mostrano ambizioni di controllo sulla regione, anche con l’addestramento di forze tagike.

 

I militari cinesi sono posizionati con ogni probabilità vicino a un vecchio avamposto sovietico (v. foto sotto), dove in realtà sono presenti già da qualche anno, per monitorare questa zona montuosa strategica. Sono state elevate torri d’osservazione e altre strutture difensive.

 

Il governo cinese e quello tagiko negano la presenza del contingente di Pechino

 

Il totale dei soldati di Pechino cresce a dismisura con la giustificazione della garanzia della sicurezza nella regione

Il governo cinese e quello tagiko negano la presenza del contingente di Pechino, ma i corrispondenti locali di Radio Azattyk hanno mostrato alcune foto del complesso in forte sviluppo negli ultimi mesi.

 

Dalle conversazioni con diversi esponenti passati e presenti delle strutture di potere in Tagikistan e Afghanistan, e con gli abitanti della zona, i giornalisti e gli analisti di Azattyk hanno fatto una stima della forza militare cinese.

 

Il totale dei soldati di Pechino cresce a dismisura con la giustificazione della garanzia della sicurezza nella regione. La Cina ha sviluppato il progetto militare basandosi sulle relazioni conflittuali tra il governo tagiko e i talebani.

 

La Cina ha sviluppato il progetto militare basandosi sulle relazioni conflittuali tra il governo tagiko e i talebani

La prima preoccupazione di Pechino rimane il controllo dei combattenti uiguri in Afghanistan, che vengono accusati di tentati attacchi nello Xinjiang.

 

Intervistato da Azattyk, Haiyun Ma, docente dell’università USA di Frostburg, nota che «la situazione in Afghanistan è piuttosto scivolosa per i cinesi, visti i rapporti tra i talebani e i terroristi uiguri, eppure Pechino deve cercare di collaborare con il regime di Kabul».

 

Gli abitanti del versante tagiko del Corridoio di Wakhan raccontano di droni militari che sorvolano continuamente la zona, e di diverse altre tecnologie di sorveglianza sparse sul territorio.

 

Il corridoio di Wakhan, stretto tra Tagikistan e Pakistan fino ai confini cinesi, è la vera zona nevralgica di tutti i possibili sviluppi militari ed economici, e la Cina è interessata a bonificarlo come punto di transito della nuova Via della Seta

Due intervistati sotto anonimato hanno affermato di aver frequentato più volte la struttura militare prima del golpe talebano, e di aver visto all’opera personale cinese insieme a tagiki e afghani: si scambiavano informazioni su entrambi i lati della frontiera. Ora questo equilibrio si è rotto, come conferma un’altra fonte anonima del governo di Dušanbe.

 

Gli afghani (talebani) non si vedono più alle trattative con i militari cinesi e tagiki, che si svolgevano in media ogni due mesi.

 

Basandosi su fonti militari afghane e tagike, a inizio ottobre Azattyk ha scritto che i talebani hanno cacciato gli estremisti uiguri dall’Afghanistan, che condivide 76 chilometri di frontiera con la Cina. Si tratterebbe degli estremisti del «Partito islamico del Turkestan», nemici giurati di Pechino. Essi erano già attivi nell’Afghanistan talebano degli anni ’90, e i rapporti da allora non si sono mai interrotti. L’allontanamento dalle zone più calde non comporta, del resto, la loro consegna ai cinesi, e un’eccessiva pressione in questo senso potrebbe avere conseguenze disastrose, portando gli uiguri a saldarsi con i resti dell’ISIS sparsi nella regione.

 

È in gioco non solo il controllo dell’Afghanistan, ma dell’Asia intera, nel confronto tra le grandi potenze mondiali.

Il corridoio di Wakhan, stretto tra Tagikistan e Pakistan fino ai confini cinesi, è la vera zona nevralgica di tutti i possibili sviluppi militari ed economici, e la Cina è interessata a bonificarlo come punto di transito della nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative).

 

I russi hanno ceduto il controllo della zona ai cinesi anni fa, ma rimangono vigili con le loro forze attive in Tagikistan: circa 7mila uomini intorno alla capitale Dušanbe.

 

È in gioco non solo il controllo dell’Afghanistan, ma dell’Asia intera, nel confronto tra le grandi potenze mondiali.

 

 

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Geopolitica

Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.

 

L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.

 

«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.

 

Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».

 

Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.

 

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.

 

Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.

 

Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».

 

Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.

 

Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.

 

«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.

 

Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».

 

Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».

 

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Immagine screenshot da Twitter


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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.   Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.   «Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.   Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».   Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.   Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.   Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.

 

Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.

 

«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.

 

Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».

 

Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.

 

Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».

 

Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».

 

Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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