Storia
Origini storiche del Canale di Panama
Renovatio 21 pubblica il primo di una serie di saggi storici dello studioso Marco Dolcetta sul Canale di Panama e i progetti intorno ad esso, un tema più che mai rilevante nell’ora in cui il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump dichiara apertis verbis di volersi reimpadronire della struttura in una visione geopolitica che può sembrare nuova all’occhio dell’uomo del XXI secolo, ma che è invece di salda radice antica, profondamente connessa alla storia americana.
In seguito alla costruzione del Canale Erie nel 1825 fra Albany e Buffalo, New York ottenne un vantaggio ineguagliabile sulle altre città portuali nelle vecchie colonie atlantiche. Il completamento della costruzione del grande canale contribuì ad aumentare la fiducia nell’importanza di opere di quelle dimensioni.
Verso la metà del secolo Diciannovesimo non esisteva ancora la ferrovia attraverso il continente; la Pacific Railroad, infatti, venne ultimata solo nel 1869 e il tragitto verso la costa pacifica era ancora lungo e pericoloso. Per gli Stati Uniti, il nodo definitivo da sciogliere per riuscire a ottenere il massimo dal continente era rappresentato dalla possibilità di sfruttare le grandi vie di comunicazione fra le due coste.
Alfred T. Mahan, ufficiale della marina statunitense, scrisse un testo fondamentale: The Influence of Sea Power upon History, 1660–1783. Secondo Mahan, il controllo degli stretti marittimi era la conditio sine qua non per poter esercitare il potere sui mari. Nella sua opera considerava sette punti di strozzatura o stretti («chokepoints»), ma per controllare definitivamente i mari americani, presupposto per la nascita dell’impero, consigliò la costruzione dell’ottavo in America.
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L’apertura di un passaggio attraverso l’istmo centramericano fu sempre un argomento molto dibattuto. Le rotte utilizzate dagli spagnoli per far rientrare i tesori in patria dalle colonie pacifiche erano tre: una attraverso Panama, una per il Nicaragua e l’ultima, più lunga delle altre, per la via di Tehuantepec in Messico. Il manifestarsi della grande corsa all’oro verso la California a metà dell’Ottocento diede l’impulso finale nel cercare una via più rapida e sicura per raggiungere la grande costa pacifica.
La Guerra di secessione americana non era ancora in vista, e in quel momento storico gli ingenti capitali disponibili nelle sempre più importanti banche d’affari a New York cominciarono a muoversi per offrire a nuovi coloni la possibilità di raggiungere l’appena conquistata, e ancora vergine, terra dell’Ovest.
Nel 1846 gli Stati Uniti firmarono con lo stato di Nuova Granada il Trattato di Mallarino-Bidlack allo scopo di creare un’intesa sull’attraversamento dell’Istmo di Panama, ma anche come base di partenza per la discussione sulla realizzazione del Canale. La United States Mail Steamship Company (USMSSCo.) cominciò quindi ad utilizzare la via di Panama per raggiungere la costa ovest.
L’attraversamento del tratto terrestre in ogni caso comportava grande dispersione di energie e perdita di tempo prezioso. A seguito delle difficoltà di attraversamento dell’istmo di Panama, la Società delle Poste americane spinse fortemente per costruire una tratta ferroviaria che contribuisse a migliorare la qualità del servizio. L’opera venne conclusa già nel 1855 e diminuì i tempi di attraversamento da una settimana a un comodo viaggio di alcune ore.
Dall’inizio della decade Ottanta dell’Ottocento, la compagnia francese di Ferdinand de Lesseps, grazie al successo ottenuto con la costruzione del Canale di Suez, riuscì a raccogliere grossi fondi e a trovare un accordo con la Colombia per dare il via al progetto della nuova opera. La compagnia francese iniziò i lavori nel 1882 ma non ebbe fortuna e dopo alcuni anni dovette rinunciare in seguito a enormi perdite nelle file dei lavoratori a causa di malattie tropicali e per l’aprirsi di un vuoto finanziario incolmabile.
La Compagnia del Canale di Panama dichiarò bancarotta nel 1888, procedendo alla liquidazione l’anno successivo. L’occasione si rivelò troppo importante per Washington.
Con la crisi economica del 1893 si fece strada l’idea della decadenza del sistema americano in seguito alla fine dell’espansionismo. Raccolse queste idee soprattutto il futuro presidente Theodore Roosevelt che accusava il benessere acquisito come causa principale di tale declino e indicava come soluzione la via del rigore primitivistico temprato dalla conquista della frontiera. La fine del secolo vide il rianimarsi della politica estera a favore dell’imperialismo americano sul suolo del continente.
L’ascesa imperiale della repubblica nordamericana spinse definitivamente a riprendere in considerazione la realizzazione dell’opera del passaggio navale trans istmico. Alla fine del 1901 gli USA avevano rinegoziato il Trattato Clayton-Bulwer con l’Inghilterra firmando il Trattato Hay-Pauncefote in modo da avere finalmente libertà di costruzione del Canale. La costruzione del passaggio navale avrebbe aumentato a dismisura il volume dei traffici commerciali e allo stesso tempo dato un importante slancio al controllo statunitense sui mari caraibici, soddisfacendo le teorie di Mahan e di Roosevelt stesso.
In seguito alla bancarotta di Lesseps e del suo cantiere a Panama, venne creata dal congresso la commissione Walker per decidere definitivamente quale rotta potesse rappresentare il miglior investimento. La presenza di vulcani attivi in Nicaragua, unita alla maggior lunghezza degli scavi, fece da base al discorso che Bunau Varilla, nuovo rappresentante della società per la costruzione del Canale, utilizzò per convincere il congresso a scegliere la via per Panama.
Roosevelt non si fece sfuggire l’occasione e comprò il cantiere nel frattempo abbandonato dalla compagnia francese. Il prezzo di 40 milioni di dollari, (equivalente a 13,56 miliardi di dollari nel 2023) proposto dal rappresentante francese Bunau-Varilla per i lavori già iniziati e per tutti i macchinari, convinse il governo americano. L’obiettivo di Roosevelt era escludere a priori la possibilità che il cantiere del Canale potesse venir comprato da una potenza europea.
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Venne cercato un accordo tra Stati Uniti e Colombia, ma al momento del rifiuto del Trattato Hay-Herrán da parte colombiana si generarono forti tensioni. Il patto avrebbe dato ampie libertà agli USA sull’istmo e avrebbe garantito la costruzione dell’opera in cambio di una relativamente modesta somma in denaro. A seguito della ricusazione del trattato il presidente Roosevelt si appellò al popolo di Panama perché si ribellasse contro questa decisione del loro governo; il blocco navale della marina militare americana ai porti panamensi sbarrò la marina militare colombiana accorsa per sedare le sommosse.
La tracotante operazione militare architettata da Roosevelt costrinse la Colombia ad accettare la nascita del nuovo Stato panamense come un fatto compiuto. Due settimane dopo venne firmato il Trattato Hay-Bunau Varilla tra Panama e Stati Uniti, che permise a Washington di intraprendere i lavori per la realizzazione della colossale opera mantenendo gli stessi termini contrattuali offerti inizialmente alla Colombia.
I lavori furono portati a termine nel 1914 poco prima dell’inizio della Grande Guerra e si rivelarono fondamentali per la logistica militare tra le due coste americane.
Marco Dolcetta Capuzzo
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Immagine: mappa statunitense del Centro America nel 1850.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia.
Spirito
Turchia, scoperte pagnotte di 1.300 anni con l’immagine di Cristo Seminatore
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Droga
La mafia ebraica, quella siciliana e il traffico di droga USA nel periodo interbellico
Secondo Alfred W. McCoy nel suo The Politics of Heroin: CIA Complicity in the Global Drug Trade, dagli anni venti del Ottocento negli Stati Uniti la malavita ebraica aveva controllato lo smercio dell’eroina per le strade americane. Si era creata questa situazione soprattutto perché la mafia siciliana aveva seguito una linea tradizionale ed idealistica in cui vietava al suo interno gli affari riguardanti prostituzione e narcotraffico.
In questo modo, questo tipo di affari venne prese completamente in mano da potenti gangster ebrei come Irving «Waxey Gordon» Wexler, Arnold Rothstein o Louis «Lepke» Buchalter.
Nel 1917 il New York Kehillah, un’agenzia della comunità ebraica, aveva pubblicato una serie di studi sul problema della droga a New York City. I risultati raccontavano come su 283 spacciatori di droga catalogati si potevano contare tra loro, 83 ebrei, 23 italiani, 8 irlandesi, 5 afroamericani e 3 greci. Riguardo lo specifico caso dello smercio della cocaina riscontrarono come l’85% fossero costituito da ebrei e il restante 15% da italiani.
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Allo stesso modo quando il proibizionismo cominciò nel 1920, altri criminali ebrei cominciarono i loro affari, Benjamin «Bugsy» Siegel, Arthur Schulz e Meyer Lansky e in breve tempo avevano preso il controllo del contrabbando di liquori. Negli anni Venti, delle diciassette maggiori organizzazioni, sette erano ebree, cinque italiane, tre irlandesi. Prima dell’inizio della guerra i nomi più noti vennero piano piano fatti fuori o arrestati, l’unico che rimase e che continuò la sua ascesa fu Lansky grazie ad un’alleanza con gli italiani.
Dagli anni Trenta però una nuova generazione di malavitosi italiani cominciarono a prendere il potere all’interno della mafia. In seguito anche a una guerra senza precedenti che lasciò sul campo più di sessanta gangsters uccisi si cominciò a modificare il codice d’onore della tradizione. Il carismatico capofila di questa nuova ondata di giovani mafiosi era Salvatore C. Lucania, meglio conosciuto come Lucky Luciano.
Dopo una serie di «riunioni» dove eliminò la vecchia guardia, delineò la sua idea di riorganizzazione del cartello in un sistema più moderno e di respiro mondiale. Vincendo il supporto delle ventiquattro famiglie mafiose americane, Luciano fu in grado di far diventare la mafia la più importante organizzazione criminale americana, mettendo in atto tecniche organizzative pionieristiche per l’epoca.
L’alleanza con la malavita ebraica, in particolar modo con la persona di Meyer Lansky, durò oltre quarant’anni contribuendo a farla diventare la caratteristica principale della criminalità organizzata americana.
L’eroina era un sostituto interessante per l’alcool. Nonostante i numeri dei tossicodipendenti non fossero comparabili, l’eroina aveva dei notevoli vantaggi. La sua recente entrata nella famiglia delle sostanze proibite la rendeva attraente per via di un mercato enorme ancora da esplorare. Era più leggera e si trasportava con meno spesa. Le sue fonti produttive limitate la rendevano facile da monopolizzare.
L’eroina oltretutto si rendeva perfettamente complementare all’altro nuovo segmento di mercato esplorato da Luciano: l’organizzazione della prostituzione su una scala mai vista prima. L’unione tra tossicodipendenza e prostituzione organizzata divenne il marchio di fabbrica della mafia di Luciano negli anni trenta. Nel 1935 controllava duecento bordelli solamente a New York e circa mille duecento prostitute, unendo questo alle scommesse e dal controllo dei sindacati la mafia aveva nuovamente raggiunto la sua sicurezza finanziaria.
Attraverso minacce e taglio dei prezzi la svolta data da Luciano si fece sentire presto nelle strade di New York. Con il crollo della purezza dell’eroina, fumarla non produceva più gli effetti desiderati, costringendo i consumatori a doversela iniettare sotto pelle. Secondo uno spacciatore di Times Square: «gli italiani stavano vendendo merda piena di chimica e acidi… sono talmente tanto affamati di soldi che l’hanno tagliata almeno una mezza dozzina di volte».
Verso la fine degli anni Trenta, in ogni caso, l’organizzazione di Luciano cominciò a perdere colpi. Lo schema quasi industriale con cui aveva costruito il suo monopolio sulla prostituzione soprattutto, si rivoltò contro di lui. Le prostitute si organizzarono per denunciarlo. Thomas Edmund Dewey quindi, procuratore distrettuale di New York, dopo aver già condannato Waxey Gordon, riuscì a infliggere una pena dai trenta ai cinquant’anni a Luciano e ai suoi nove coimputati italiani ed ebrei, per prostituzione forzata.
Durante gli anni Trenta la quasi totalità dell’eroina arrivava da raffinerie posizionate a Shanghai e a Tientsin, con qualche eccezione della Marsiglia dei corsi e della tratta del Medio Oriente in mano ai fratelli Eliopoulos. Con la fine della guerra le raffinerie cinesi avevano appena ricominciato a produrre ma con l’arrivo a Shanghai di Mao Tse-Tung e del suo esercito, tutti i trafficanti dovettero sparire. I fratelli Eliopoulos si erano ritirati con l’arrivo del conflitto e i marsigliesi soffrirono dell’alleanza con la Gestapo che li aveva infine portati alla rovina o all’esilio. La mafia in Sicilia allo stesso modo era ridotta ai minimi termini avendo sofferto vent’anni di oppressione da parte della polizia fascista di Mussolini.
Con l’arrivo della guerra, l’attenzione maniacale derivata dalla potenziale presenza di spie aveva reso gli accessi al territorio statunitense praticamente invalicabili. La maggioranza dei tossicodipendenti erano stati forzati a trovare una soluzione alla mancanza di materia prima e di conseguenza il consumo di eroina negli Stati Uniti si era ridotto al minimo storico. Assieme a questo, gli operatori logistici illegali del traffico di stupefacenti avevano sofferto della mancanza di introiti e avevano raggiunto un livello di debolezza mai visto.
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Con la tossicodipendenza ai minimi storici nella società americana e la malavita mondiale ridotta in ginocchio da anni di distruzione e oppressione militare, la possibilità di far scomparire per sempre il narcotraffico era alla portata di mano della polizia americana. Al contrario, invece, la volontà della CIA fu quella di utilizzare questi canali irregolari per produrre dei proxy coperti in grado di operare nel momento del bisogno al lontano da sguardi indiscreti e senza necessità di ottenere l’approvazione del congresso o, peggio ancora, del popolo americano. Operazioni clandestine pagate dal narcodollaro a favore della lotta al comunismo.
La stessa situazione si può ritrovare a pochi decenni di distanza incontrando però attori diversi che seguono uno schema simile. La filiera produttiva latino americana venne preferita a quella asiatica ma allo stesso modo gruppi di proxy favoriti da ufficiali della CIA spinsero l’afflusso di cocaina prima e del suo surrogato povero, il crack, in seguito negli Stati Uniti. La quantità enorme di coca raffinata che arrivò in quegli anni negli Stati Uniti portò a stravolgere la cultura dell’epoca, non solo americana.
Ne parlò in anticipo sui tempi Gary Webb con i suoi articoli online nel 1996 sul sito del San José Mercury News che divennero poi Dark Alliance: The CIA, the Contras and the Crack Cocaine Explosion. Venne screditato apertamente dal gotha del giornalismo e dell’intellighenzia americana che produssero contro di lui svariati rapporti negando l’esistenza di prove e assieme anche qualsiasi possibilità di replica.
La vita di Webb, in seguito anche a una profonda depressione conseguenza delle difficoltà che dovette affrontare, terminò con quello che è stato ritenuto un suicidio frutto di ben due colpi di pistola alla testa.
Marco Dolcetta Capuzzo
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Immagine: foto segnaletica di Bugsy Siegel, dipartimento di Polizia di Nuova York, 12 aprile 1928.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Droga
Alla fonte dell’antico traffico mondiale dell’eroina
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