Politica
Noi ci dissociamo dalle parole del ministro Di Maio. E dalla realtà italiana che lo ha messo lì

Ci dissociamo dalle parole del ministro degli Esteri Luigi di Maio. Lo facciamo perché al momento è ancora permesso, ma non sappiamo se lo sarà ancora nel prossimo futuro.
L’intervento che il capo della Diplomazia italiana ha tenuto martedì 1 marzo sulla trasmissione TV DiMartedì ci è sembrato semplicemente incredibile.
Lo stesso conduttore ha rilevato l’incapacità del Di Maio, che sgancia giri di parole che superano quelli dei democristiani della Prima Repubblica, di rispondere ad una semplice domanda: «l’Italia rischia la guerra?»
Prendiamo atto che, in barba all’articolo 11 della nostra Costituzione, in barba ai valori pacifisti che credevamo animassero il suo partitino (se esiste ancora, se è mai esistito), egli non abbia risposto semplicemente: no.
Ci pare grottesca la personalizzazione del conflitto che pare intendere il ministro, che si concentra sulla demonizzazione del presidente della Federazione russa. Putin, Putin, Putin. Continua a ripetere quel nome, quasi desse conforto, perché significherebbe che la situazione non è complessa come appare, è solo colpa di una singola persona cattivissima. Al punto che ci si chiede se siamo davanti ad un’incarnazione ministeriale della profonda filosofia dell’«hastatoputin».
Sorvoliamo sulla rivendicazione tutta personale dei 110 milioni di euro che a firma del ministro (quello che aveva «abolito la povertà») finiranno a sostenere il governo ucraino – non vogliamo stare a pensare a quelle povere famiglie italiane che oggi, a causa della catastrofe COVID, non hanno più niente, anzi hanno meno di quello che il loro governo stanzia per gli sfollati ucraini: sono quelli che non possono più entrare in ufficio, mentre un cane potrebbe (riguardo al concetto degli animali superiori alle persone sgradite torneremo più sotto).
Ma concentriamoci sul «supporto militare»: non è questo già un atto di guerra? Non è così che potrebbe percepirlo la Russia?
Di Maio sostiene che Zelens’kyj ha avuto il 74% dei voti; dimentica però che l’intero assetto politico ucraino, evidentemente non molto stabile, è sortito da quello che in molti definiscono un golpe o una «rivoluzione colorata», un colpo di palazzo guidato da una piazza eterodiretta: Maidan, 2014.
Peraltro, riteniamo che tesi del genere non fossero del tutto estranee a elementi al suo partito, che ancora nel 2015 organizzava una «delegazione di pace M5S in Russia e Crimea». Proprio così.
Abbiamo un ministro grillino che si vanta in TV del fatto che «con le sanzioni stiamo facendo collassare l’economia russa». Cioè, mettere in difficoltà 144 milioni di persone – e di riflesso, decine di migliaia di aziende italiane. Cioè, mettere in difficoltà 144 milioni di persone – e di riflesso, decine di migliaia di aziende italiane.
Il comunicato, ancora presente su internet, è invecchiato un po’ male, con l’immagine di una bandiera russa che garrisce al fianco di quella del M5S.
«Il Movimento 5 Stelle si è sempre battuto in Parlamento contro le sanzioni imposte alla Russia dall’Unione Europea, misure alle quali ha dato il suo contributo anche il governo italiano e che ad oggi pesano fortemente sul nostro tessuto economico.
Noi consideriamo la Russia un partner commerciale, economico, culturale e storico imprescindibile per l’Europa e per l’Italia, nonché un interlocutore internazionale fondamentale per la risoluzione delle gravi crisi internazionali».
Nel documento si scrive delle sanzioni antirusse del dopo-Crimea di «una guerra commerciale per compiacere gli USA».
Ora invece abbiamo un ministro grillino che si vanta in TV del fatto che «con le sanzioni stiamo facendo collassare l’economia russa». Cioè, mettere in difficoltà 144 milioni di persone – e di riflesso, decine di migliaia di aziende italiane. «Dobbiamo continuare a colpire la sua economia con le sanzioni», dice il partenopeo ostentando granitica sicurezza nei progetti di «guerra ibrida» à la Biden, dove invece che un’operazione su obbiettivi militari si scatena un bel disastro geoeconomico che piega la popolazione civile e rovina di rimando economie collegate – ad esempio quella dell’Italia, che dal 2014 perde più di un miliardo di euro al mese per l’idiozia delle sanzioni imposte dalla russofobia neocon.
È grottesco che si svicoli alla domanda precisa del conduttore se vi sono missili che possono raggiungere l’Italia con una supercazzola a base di NATO
«Il rublo ha perso il 30%, la borsa di Mosca è chiusa da due giorni» esulta il ministro degli Esteri.
Il tutto per appagare l’odio per una singola persona, Vladimir Putin, «che vuole la guerra», e che viene definito «atroce». E che quindi va trattato con la forza: «noi non possiamo aspettarci che Putin verrà al tavolo trattandolo con gentilezza». Eccerto: serve la durezza di cui sappiamo capace il politico campano, quella che per forza spaventa Vladimir. La durezza delle sanzioni che, come qualcuno ha avuto il coraggio di rinfacciare a Biden, non sembra che abbiano funzionato molto: ma forse alla Farnesina la notizia non è arrivata.
È grottesco che si svicoli alla domanda precisa del conduttore se vi sono missili che possono raggiungere l’Italia con una supercazzola a base di NATO, la cui appartenenza capiamo essere, ora, un grande valore per questo peso massimodel Movimento 5 Stelle.
Apprendiamo da Giggino che in Ucraina «ci sono giovani che sognano di entrare nell’Unione Europa, c’è un popolo che sogna di entrare nella NATO». Il sogno giovanile di entrare nella NATO, ammettiamo, ci mancava.
Per raccontarcelo, parte anche la geremiade sul fatto che «non è ancora chiaro il livello di atrocità». Non bisogna credere, insomma, che i russi stiano attaccando solo obbiettivi militari, come sembra a tutti, nonostante la propaganda occidentale filoucraina.
Ci dissociamo da quanto dice il ministro. Ci vergogniamo anche, molto. E ci stropicciamo gli occhi di continuo
Il ministro parla di corridoi umanitari per «bambini, tanti malati oncologici, tante donne ferite» a cui l’Italia offrirà ospitalità e cure. Non sono compresi, nell’accorato discorso del ministro, i cittadini ucraini maschi dai 18 ai 60 anni, perché per legge non è ora possibile per loro lasciare il Paese: devono essere utilizzati come carne da cannone contro l’esercito russo, con buona pace dell’obiezione di coscienza, del pacifismo, della libertà, dei diritti dei rifugiati e bla bla bla. Qualcuno dovrebbe informare il ragazzo: una vedova ucraina che fugge con il figlio 18enne, dopo il confine rimarrà sola – magari con la nonna e un altro figlio piccolo a cui badare.
Quel bel 18enne mandato (con o senza «sogno della NATO») a sparare con un fucile che non ha avuto in mano si può ritrovare morto in pochi secondi – perché dall’altra parte ci sono militari professionisti. Tuttavia, la foto da mandare ai social potrebbe essere perfetta, pronta per essere data in pasto ai social, per ricattare moralmente l’Occidente a combattere la guerra al posto dell’Ucraina.
È lecito chiedersi se vi sia del malanimo per via di quel commento che il ministero degli Esteri russo aveva fatto sul Di Maio pochi giorni fa, dopo un Question Time di Di Maio in parlamento, a poche ore peraltro da un incontro a Mosca.
«La diplomazia è stata inventata solo per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi vuoti in giro per i Paesi ad assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala» aveva detto il ministero di Lavrov. No, non ci sono precedenti ad uno sfottò come questo. Ma non dovrebbe far ridere: dovremmo piangere per come a quanto pare viene percepita la nostra diplomazia. Non è innaturale se uno se la prende.
In realtà, dei sentimenti feriti del ministro non ci importa nulla.
Quello che ci preme e dissociarci completamente da ciò che ha detto, che potrà rappresentare l’opinione della NATO, della UE, di George Soros, dei giornali di sistema e del governo Draghi con tutte le sue appendici partitiche, ma rappresenta in nessun modo il pensiero di una larga parte della popolazione italiana, che ha subito per un biennio le balle pandemiche e il calpestamento dei propri diritti e della propria vita, e che ora non è disposta a bersi la propaganda insulsa riguardo il conflitto in corso.
Una domanda tecnica, che rivolgiamo a tutti (al governo, ai partiti, agli elettori di Pomigliano d’Arco): com’è possibile che la Russia possa riavviare incontri diplomatici con questo?
In realtà vorremmo dissociarci non solo dalle parole di Di Maio, ma dalla realtà italiana che lo ha messo lì: come siamo finiti a questo punto?
Uno che, sghignazzando, dice in diretta sulla TV nazionale che «tra Putin e un animale c’è un abisso»?
Ci dissociamo da quanto dice il ministro. Ci vergogniamo anche, molto. E ci stropicciamo gli occhi di continuo.
Perché in realtà vorremmo dissociarci non solo dalle parole di Di Maio, ma dalla realtà italiana che lo ha messo lì: come siamo finiti a questo punto?
Roberto Dal Bosco
Immagine screenshot da Youtube
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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