Bioetica
New York, bambini uccisi poco prima di nascere? Ecco la verità
Dalla stampa si è appreso che a New York da oggi si può abortire fino al nono mese. Qualcuno, non sapendo minimamente di cosa parla, ha tentato di bollare la notizia come una «bufala».
Renovatio 21 offre ai propri lettori un quadro dettagliato della barbarie appena firmata nello Stato di New York, intervistando l’Avv. Monica Boccardi, cassazionista e giurista. L’avvocato Boccardi, riminsese, ha fatto parte, fra le altre cose, del pool difensivo italiano di Alfie Evans, il bambino inglese ucciso meno di un anno fa per mano dello Stato sanitario.
Avvocato Boccardi, il Governatore dello Stato di New York Andrew M. Cuomo ha da poco firmato un documento che legalizza l’aborto fino alla nascita. Molti hanno parlato di fake news. Chiariamo intanto questo punto: la notizia corrisponde al vero o è una bufala, come alcuni siti e continuano a dire?
Non è assolutamente una bufala. Anzi, la situazione è ancora più grave di come viene presentata: per la prima volta in vita mia ho visto definire l’aborto come «diritto fondamentale».
«Non è assolutamente una bufala. Anzi, la situazione è ancora più grave di come viene presentata»
Può spiegarci allora cosa è successo a New York?
La normativa appena varata è molto chiara: è stato eliminato il divieto di abortire oltre il limite delle 24 settimane di gravidanza, prima esistente, senza aggiungerne un altro, magari differente e più avanzato. Quindi l’aborto può essere praticato in qualunque momento, anche il giorno prima del parto. Inoltre, i presupposti per abortire sono decisamente inconsistenti e, nella pratica, facilmente affermabili, cosicché si può ritenere che al momento a New York sia sempre possibile abortire a semplice richiesta della donna.
La legge dello Stato di New York appena varata stabilisce che «ogni individuo che rimane incinta ha il diritto fondamentale di scegliere di portare a termine la gravidanza, per dare alla luce un bambino, o di avere un aborto, ai sensi del presente articolo.
Poi aggiunge che «un operatore sanitario con licenza, certificato, o autorizzazione ai sensi del titolo otto della legge dell’educazione, che agisce nel suo ambito di applicazione legale, può eseguire un aborto quando, secondo il giudizio professionale ragionevole e in buona fede del professionista basato sui fatti del caso del paziente: il paziente è entro ventiquattro settimane dall’inizio della gravidanza , oppure c’è una assenza di vitalità fetale, oppure l’aborto è necessario per proteggere la vita oppure la salute della paziente».
In parole povere, prima delle 24 settimane di gravidanza l’aborto è un diritto esercitabile senza giustificazione alcuna e senza presupposti necessari ad autorizzarlo.
In alternativa a ciò, (come indica la disgiuntiva «or” corrispondente a “oppure“), dopo la 24° settimana di gravidanza (e fino al suo termine naturale in assenza di limiti previsti esplicitamente) è possibile abortire in tre casi distinti: 1) l’essere il feto non vitale, 2) l’aborto è necessario per proteggere la vita della paziente, 3) l’aborto è necessario per proteggere la salute della paziente.
Apparentemente dovrebbero dunque essere necessari dei presupposti ben precisi, utili a limitare l’accesso alla procedura abortiva a casi estremi, ma in realtà non è affatto così.
Vi sono, infatti, alcune circostanze che vanno considerate insieme alla lettera della legge.
Il primo è rappresentato dalla definizione di salute, che si può leggere sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla quale ormai fanno riferimento tutti coloro che tentano di modificare in senso ideologico la pratica medica, soprattutto negli Stati Uniti: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità. Il godimento del più alto livello di salute raggiungibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizione economica o sociale».
Secondo tale definizione, la salute della paziente può essere compromessa anche in assenza di malattie o infermità, dalla semplice mancanza di benessere fisico, mentale e sociale: il che significa che è sufficiente che la paziente affermi di voler abortire perché la gravidanza e la nascita del figlio la privano del suo benessere fisico, mentale e sociale.
Questa definizione è stata sostanzialmente ripresa dalla Suprema Corte statunitense nella sentenza Doe v. Bolton del 22 gennaio 1973, emessa insieme alla capostipite prochoice Roe v. Wade. In essa si legge che la definizione di salute include «il giudizio medico può essere esercitato alla luce di tutti i fattori – fisici, emotivi, psicologici, familiari e dell’età della donna – rilevanti per il benessere del paziente. Tutti questi fattori possono riguardare la salute». E appare evidente come sia andata ben al di là della medicina vera e propria allargando la definizione di salute ricomprendendovi aspetti non medici ed estremamente soggettivi.
Il secondo, ancora più grave è che con questa stessa legge lo Stato di New York ha abrogato l’articolo 4164 della legge sulla salute pubblica. In questo articolo si prescriveva quanto segue: “1.Quando un aborto deve essere eseguito dopo la dodicesima settimana di gravidanza, deve essere eseguito solo in ospedale e solo in regime di ricovero. Quando un aborto deve essere eseguito dopo la ventesima settimana di gravidanza, deve essere presente un medico diverso dal medico che esegue l’aborto per assumere il controllo e fornire cure mediche immediate per qualsiasi parto vivo che sia il risultato dell’aborto. Il commissario per la salute è autorizzato a promulgare norme e regolamenti per assicurare la salute e la sicurezza della madre e del bambino vitale, in tali casi. 2. A tali bambini sarà riconosciuta la protezione legale immediata ai sensi delle leggi dello stato di New York, incluse, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, le disposizioni applicabili della legge sui servizi sociali, l’articolo 5 della legge sui diritti civili e la legge penale. 3. Le cartelle cliniche di tutti gli sforzi di sostentamento alla vita fatti per un parto abortito vivo, il loro fallimento o successo, devono essere conservati dal medico curante. Tutti gli altri requisiti delle statistiche vitali nella legge sulla salute pubblica devono essere rispettati in relazione a tale bambino abortito. 4. In caso di morte successiva del figlio abortito, lo smaltimento del cadavere deve essere conforme ai requisiti del presente capitolo“.
Questa norma sostanzialmente poneva un punto fermo nella valutazione della vitalità fetale: dopo la 20° settimana di gestazione era per legge considerato tale, per garantirgli le più alte possibilità di sopravvivenza.
In pratica è stata abrogata l’obbligatorietà, dopo la ventesima settimana, di fornire assistenza e cura al feto vitale per assicurarne la sopravvivenza
In pratica è stata abrogata l’obbligatorietà, dopo la ventesima settimana, di fornire assistenza e cura al feto vitale per assicurarne la sopravvivenza (come invece prevede l’art. 7 della L. 194/78 italiana), impedendogli di passare dallo stato di «feto vitale» a quello di «nato vivo» e dunque di «persona», anche ai sensi dell’applicazione della legge sull’omicidio.
Questo significa che a New York il feto vitale può essere lasciato morire, senza assisterlo, poiché non vi è più alcun obbligo di cura nei suoi confronti, per i medici che praticano l’aborto. Anche perché la definizione di persona in relazione al reato di omicidio, contenuta nel codice penale dello stato di New York esclude dal novero il feto solo vitale, in quanto carente della duplice caratteristica di «nato» e «vivo», vanificando di fatto il Born-Alive Infants Protection Act del2001.
Infine, la stessa legge di cui parliamo, ha anche abrogato completamente ogni ipotesi di reato di aborto dal codice penale, lasciando del tutto privi di tutela sia la madre sia il figlio, addirittura anche, ad esempio, in caso di aborto conseguente all’aggressione ad una donna incinta, che perda il bimbo a causa delle percosse.
La stessa legge di cui parliamo, ha anche abrogato completamente ogni ipotesi di reato di aborto dal codice penale, lasciando del tutto privi di tutela sia la madre sia il figlio, addirittura anche, ad esempio, in caso di aborto conseguente all’aggressione ad una donna incinta, che perda il bimbo a causa delle percosse.
In tal modo, inoltre, anche quando l’aborto fosse eseguito dopo la 24° settimana di gravidanza e al di fuori dei presupposti di legge sopra elencati, nessuno sarebbe punibile per aver procurato un aborto illegale, dato che nessuna condotta che comporti l’aborto con morte del feto (sia essa colposa, volontaria o preterintenzionale) è più punibile penalmente.
L’aborto è dunque divenuto un diritto esercitabile ad nutum, a semplice richiesta, in ogni momento della gravidanza e il bambino nel grembo materno è stato privato di ogni tutela, ridotto ad un nulla.
Peraltro qualunque ostetrico potrebbe spiegare che l’aborto difficilmente è praticabile per salvare la vita e/o la salute della madre nei casi di emergenza. Infatti quando il pericolo è imminente si pratica un parto cesareo (che richiede una procedura della durata di una ventina di minuti), non un aborto che invece richiede una procedura della durata di circa 3 giorni.
Ci sta dicendo che un bambino può essere ucciso anche mentre sta per nascere?
È esattamente così. Se la gestante lo domanda adducendo problemi di salute, anche il giorno della scadenza del termine, ha «diritto» che sia praticato l’aborto. E dopo l’abrogazione dell’obbligo di cure per il feto vitale, la parola aborto ha un solo significato: uccisione del bambino.
Dopo l’abrogazione dell’obbligo di cure per il feto vitale, la parola aborto ha un solo significato: uccisione del bambino.
Qualcuno sostiene che questo era già permesso in tanti altri Paesi, e che dunque a New York non si compie nulla di nuovo. Le cose stanno veramente così?
Negli USA era già possibile abortire oltre le 20 settimane di gravidanza, e senza limiti, in New Mexico, Colorado, Ohio, California e Maryland. L’aborto fino al nono mese è consentito anche in Canada e in Cina.
Nella maggior parte degli Stati del mondo, l’accesso all’aborto è limitato ai casi di tutela della salute della gestante, o ai casi di malformazione del feto, o alle gravidanze derivate da stupro.
Ma, anche dove è consentito l’aborto a semplice richiesta, è previsto un limite temporale, che varia dalle 12 alle 28 settimane di gestazione, per la sua esecuzione. Inoltre, in molti casi, come in Italia, è previsto l’obbligo di cura per la sopravvivenza del feto abortito vitale.
Parliamo dell’Italia. La L. 194/78, all’articolo 6, dice testualmente:
«L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»
Ci sono delle similitudini, dettate dall’ambiguità, con la legge newyorkese?
In primo luogo, va precisata la differenza semantica tra «aborto» e «interruzione di gravidanza»: la parola aborto non compare mai nella legge 194/78.
Nonostante l’uso di queste parole sia, in generale, una forma di ipocrisia morale, tale differenza nel significato si fa fondamentale allo scadere del termine a partire dal quale il feto è considerato vitale, cioè ha possibilità di sopravvivenza, anche minime.
L’aborto consiste nell’uccisione del bimbo nella pancia della mamma (e ciò avviene sempre nel primo trimestre), mentre l’interruzione di gravidanza può anche non sfociare in un vero e proprio aborto, ma consistere in un parto molto anticipato, al punto da consentire al bimbo di sopravvivere se curato tempestivamente.
La legislazione italiana prevede (art. 7 L. 194/78) che «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto», imponendo dunque di salvaguardare la sopravvivenza del bimbo abortito. Ciò trasforma la procedura in un parto molto anticipato, con grave rischio per la vita del piccolo, ma senza la certezza della sua morte.
Nella nuova legislazione newyorkese, come abbiamo già visto, questa tutela è stata del tutto eliminata, cosicché l’aborto si conclude sempre con la morte del bambino, anche se sano, vivo e perfettamente in grado di sopravvivere ad un parto prematuro.
Le similitudini tra la situazione di New York e quella italiana sono soprattutto derivate dalla prassi, invalsa, di considerare l’aborto come un diritto, cosicché anche in Italia molto raramente viene davvero data una piena attuazione alla legge 194/78 che prevede tutta una serie di accorgimenti al fine di scongiurare il ricorso all’aborto.
Ci spieghi le differenze in termini di legge…
Oltre a quanto già detto sopra in relazione all’esito mortale anche in caso di feto vitale, una delle differenze formali tra l’una e l’altra legislazione consiste nella previsione, da parte di quella italiana delle potenziali malformazioni del feto (che però provochi rischi per la salute della madre) come presupposto per autorizzare l’aborto nel secondo trimestre.
La normativa statunitense non ne parla, limitandosi a considerare rilevante la mancanza di vitalità, cioè l’apparente o probabile morte in utero del bimbo. Però, nella pratica, la differenza è solo formale e non sostanziale, perché la gestante in USA può sicuramente chiedere un aborto tardivo, in caso di malformazioni del feto, sostenendo che la situazione le crea problemi di salute (nel senso lato che abbiamo già descritto) per ottenere l’aborto.
Un’altra differenza fondamentale (ulteriormente ampliata con l’abrogazione dell’art. 4164 della legge sulla salute pubblica), consiste nel fatto che in Italia a certificare i presupposti per l’accesso alla IVG è sempre un medico, mentre a New York può essere un qualunque operatore sanitario autorizzato ad eseguire l’aborto, quindi anche un non medico.
Quanto alla protezione della vita della paziente, che viene in considerazione solo in casi particolari, vere e proprie emergenze, l’aborto tardivo non è assolutamente la procedura adatta a scongiurare un decesso.
La protezione della vita della paziente, che viene in considerazione solo in casi particolari, vere e proprie emergenze, l’aborto tardivo non è assolutamente la procedura adatta a scongiurare un decesso.
Infatti, i tempi per un aborto tardivo (sia con la procedura di induzione del decesso del feto e successiva espulsione del cadaverino, sia con la procedura detta «a nascita parziale», in cui viene indotto il parto ed ucciso il bimbo quando ancora non è stato completamente espulso) sono molto lunghi. Si parla di giorni, due o tre come minimo per ottenere l’effetto desiderato.
Mentre invece con un parto cesareo si ottiene la nascita del bimbo, e la conseguenze cessazione della gravidanza, di solito entro 20 minuti mezz’ora al massimo. Per non dire che se il pericolo consiste nel parto, l’aborto tardivo è decisamente sconsigliabile, dato che comunque consiste in un parto indotto (quindi anche più violento, perché gli ormoni somministrati per far partire il travaglio amplificano le doglie), con tutto ciò che ne consegue.
Si parla di «salute psichica» sia nella 194 che nella legge appena firmata a New York. Questo vuol forse dire che basta il rischio che la donna si deprima per uccidere il bambino poco prima della nascita?
In realtà, nella legge appena varata a New York, si parla solamente di «health», senza alcuna specificazione. E, come già detto, si può ritenere che il concetto in tale ambito venga interpretato secondo la definizione che ne ha fornito l’OMS e che la sentenza sentenza Doe v. Bolton ha reso giuridicamente rilevante in relazione all’aborto. Ciò significa che la protezione della salute non è limitata allo scongiurare l’insorgenza di vere e proprie patologie o infermità, o a farle cessare se presenti, ma si amplia notevolmente giungendo ad abbracciare, addirittura, anche il benessere sociale, cioè la possibilità, che ne so, di continuare ad uscire con gli amici senza doversi preoccupare di un neonato che va allattato…
In Italia, invece, il concetto di salute è formalmente definito dalla legge stessa nei suoi confini e limitato ai gravi rischi per la salute fisica o psichica della gestante.
Indubbiamente, in che cosa consistano tali gravi rischi per la salute psichica è valutazione di fondamentale importanza. Di fatto, però, nella prassi e nel pensiero comune, tale concetto è talmente sfumato, che, ad esempio, la giurisprudenza difficilmente lo prende in considerazione, quando deve valutare se risarcire una donna che non abbia potuto abortire per omessa diagnosi di malformazioni fetali. Per spiegarmi meglio: sono praticamente inesistenti sentenze che neghino il risarcimento per il mancato aborto sul presupposto che, all’epoca dei fatti, non vi era un rischio dimostrato per la salute psichica della donna.
E ciò accade anche se, nella maggior parte di questi casi, quando domandano il risarcimento, le donne non hanno problemi psichici rilevanti, addirittura spesso amano i loro figli malati, ed è dunque possibile dire a posteriori che difficilmente avrebbero potuto presentare un vero e proprio «grave rischio per la salute psichica» derivante dalla malformazione conosciuta nel bambino.
Anzi, al contrario, la letteratura medica sta scoperchiando il vaso di Pandora delle conseguenze devastanti per la psiche delle donne, derivate dall’aborto. Rischio di suicidio gravemente aumentato, depressione diffusa a livelli altissimi, modificazioni dell’umore, che colpiscono anche i familiari ecc.
Ci troviamo davanti ad un nuovo passo verso quella cultura della morte che sembra non volersi arrestare?
Sicuramente è così. Non vi è altra spiegazione possibile, per citare solo uno dei segnali più evidenti, per la totale abrogazione dell’articolo 4164 della legge sulla salute pubblica newyorkese, che prevedeva l’assistenza e la cura del feto vitale abortito. Con questo colpo di accetta si è preclusa la possibilità di salvezza di tutti quei bambini giunti oltre la ventiduesima settimana di gravidanza, che avrebbero potuto vivere, magari per essere adottati da qualcun altro, in caso di rifiuto da parte della madre, addirittura perfettamente sani.
Ma non bisogna disperare. Proprio quando tutto sembra apparentemente perduto, la Provvidenza interviene per salvarci… e, per rimanere in argomento, negli USA in questo momento il vertice di governo è decisamente pro-life, la Corte Suprema è sbilanciata in modo positivo verso la tutela della vita, cosicché non è escluso che una legislazione a livello federale possa cambiare la situazione, salvando tante vite.
Cristiano Lugli
Bioetica
Il Quebecco si muove per riconoscere il «diritto» all’aborto nella proposta di costituzione
Il Quebecco ha proposto una legge per sancire un apparente «diritto» all’aborto nella bozza di costituzione della provincia canadese.
Il 9 ottobre, l’Assemblea nazionale del Quebecco ha presentato il disegno di legge n. 1, Legge costituzionale del 2025 sul Quebec, che mira a stabilire una costituzione per il Quebec che dia priorità ai valori della provincia, tra cui la cosiddetta «libertà» di aborto.
«Ora dobbiamo andare oltre», ha dichiarato il primo ministro François Legault all’Assemblea Nazionale. «Il Quebecco ha scelto di restare in Canada, ma ha anche scelto di affermare il suo carattere nazionale e distintivo».
«È giunto il momento di affermare, in modo chiaro, l’esistenza costituzionale della nazione del Quebecco», ha proseguito. «La Costituzione riunirà tutte le nostre regole, tutti i nostri valori fondamentali in un’unica legge. Diventerà la legge di tutte le leggi».
La proposta di legge costituzionale comprende diversi emendamenti contrari alla vita, tra cui l’inserimento delle leggi sull’aborto e sull’eutanasia nella costituzione provinciale. La legge è stata approvata con 71 voti favorevoli e 30 contrari. «Lo Stato protegge la libertà delle donne di abortire», promette l’articolo numero 29.
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Il Quebecco ha recentemente confermato il suo sostegno all’aborto quando la Corte superiore provinciale ha stabilito che le “zone bolla” delle strutture per l’aborto sono incostituzionali, ma «giustificate».
Attualmente, la legge del Quebec impedisce l’attività di advocacy pro-life entro un raggio di 50 metri da qualsiasi struttura o sede di un’attività che offre di eseguire il feticidio. Tra le attività vietate rientrano anche scoraggiare una donna dall’aborto od offrire risorse alternative per aiutare la madre a tenere il bambino.
Inoltre, la legge promette di prendere di mira i malati e gli anziani attraverso l’eutanasia. La legge si impegna a garantire che «qualsiasi persona le cui condizioni lo richiedano abbia il diritto di ricevere cure di fine vita», un termine che include il ricorso all’eutanasia. Da notare come l’anno scorso era emerso uno studio sul Quebecco che rivelava che più di uno su dieci bambini abortiti nel secondo trimestre nasce vivo, ma solo il 10% sopravvive più di tre ore.
Allo stesso tempo, il Quebecco, una provincia notoriamente liberale, ha il tasso più alto di suicidio assistito in Canada.
La provincia ha registrato un aumento del 17% dei decessi per eutanasia nel 2023 rispetto al 2022, con il programma che ha causato la morte di 5.686 persone. Questa cifra elevata rappresenta un impressionante 7,3% di tutti i decessi nella provincia, collocando il Québec in cima alla lista a livello mondiale. Di conseguenza, si è avuto anche il rivoltante record per la predazione degli organi, con la triplicazione dei trapianti da vittime di eutanasia.
Come riportato da Renovatio 21, ad agosto l’Ordine dei medici del Quebecco ha dichiarato che l’eutanasia è un «trattamento appropriato» per i bambini nati con gravi problemi di salute. L’eutanasia per i neonati era stata sostenuta dai medici quebecchesi ancora tre anni fa, mentre è discussa apertamente l’eliminazione eutanatica dei malati di demenza.
Gli sforzi quebecchesi si iscrivono in un contesto globale in cui, come per un silenzioso ordine dipanato in tutta la Terra, vari Paesi a trazione progressista sta cercando di costituzionalizzare l’aborto, sulla scorta di quanto fatto da Emanuele Macron in Francia due anni fa.
Come riportato da Renovatio 21, anche il governo spagnuolo sta lavorando per sancire il diritto al feticidio nella Costituzione.
Un anno fa a Brusselle è stato approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta Europea. L’anno precedente gli eurodeputati avevano chiesto che il feticidio divenisse «diritto fondamentale».
Altri Paesi non marciano nella stessa direzione, Cinque giorni fa il Parlamento Olandese ha respinto una risoluzione che dichiarava l’aborto come «diritto umano», idea alla base di tanti progetti di enti transnazionali
Due mesi fa la Repubblica Domenicana ha riconfermato il divieto totale di aborto.
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Ambiente
Studi sui metodi per testare le sostanze chimiche della pillola abortiva nelle riserve idriche
I funzionari governativi USA stanno valutando se sia possibile sviluppare metodi per rilevare le sostanze chimiche contenute nella pillola abortiva nelle riserve idriche degli Stati Uniti, in seguito all’iniziativa del gruppo Students for Life. Lo riporta LifeSite.
Quest’estate, i funzionari dell’Agenzia per la Protezione Ambientale americana (EPA) hanno incaricato gli scienziati di determinare se fosse possibile sviluppare metodi per rilevare tracce di pillole abortive nelle acque reflue. Sebbene al momento non esistano metodi approvati dall’EPA, è possibile svilupparne di nuovi, hanno recentemente dichiarato al New York Times due fonti anonime.
La divulgazione fa seguito alla richiesta di 25 membri repubblicani del Congresso USA che hanno chiesto all’EPA di indagare sulla questione.
«Esistono metodi approvati dall’EPA per rilevare il mifepristone e i suoi metaboliti attivi nelle riserve idriche?», chiedevano i deputati in una lettera del 18 giugno. «In caso contrario, quali risorse sono necessarie per sviluppare questi metodi di analisi?»
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I legislatori hanno osservato che il mifepristone è un «potente bloccante del progesterone» che altera l’equilibrio ormonale e potrebbe «potenzialmente interferire con la fertilità di una persona, indipendentemente dal sesso».
Dopo l’annullamento della sentenza Roe v. Wade, Students for Life aveva rilanciato una campagna per indagare sulle tracce di pillole abortive e sui resti fetali nelle acque reflue. Il gruppo ha affermato che il mifepristone e i resti fetali potrebbero potenzialmente danneggiare gli esseri umani, gli animali e l’ambiente.
Nel novembre 2022, i dipendenti di Students for Life si sono lamentati del fatto che le agenzie governative non controllassero le acque reflue per individuare eventuali sostanze chimiche contenute nelle pillole abortive e hanno deciso di assumere i propri «studenti investigatori» per analizzare l’acqua.
La campagna era fallita sotto l’amministrazione Biden. Nella primavera del 2024, undici membri del Congresso, tra cui il senatore Marco Rubio della Florida, attuale Segretario di Stato, scrissero all’EPA chiedendo in che modo il crescente uso di pillole abortive potesse influire sull’approvvigionamento idrico.
Secondo due funzionari, l’EPA ha scoperto di non aver condotto alcuna ricerca precedente sull’argomento, ma non ha avviato alcuna nuova indagine correlata.
Kristan Hawkins, presidente di Students for Life, ha annunciato venerdì: «tre presidenti democratici hanno promosso in modo sconsiderato l’uso della pillola abortiva chimica. Ora l’EPA sta finalmente indagando sull’inquinamento causato dalla pillola abortiva».
«Ogni anno oltre 50 tonnellate di sangue e tessuti contaminati chimicamente finiscono nei nostri corsi d’acqua», ha continuato su X. «Spetta al presidente Trump e al suo team ripulire questo disastro».
A giugno un rapporto pubblicato da Liberty Counsel Action indicava che più di 40 tonnellate di resti di feti abortiti e sottoprodotti della pillola abortiva sono infiltrati nelle riserve idriche americane.
«Come altri farmaci noti per causare effetti avversi sul nostro ecosistema, il mifepristone forma metaboliti attivi», spiega il rapporto di 86 pagine. «Questi metaboliti possono mantenere gli effetti terapeutici del mifepristone anche dopo essere stati escreti dagli esseri umani e contaminati dagli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTP), la maggior parte dei quali non è progettata per rimuoverli».
Non si tratta della prima volta che vengono lanciati gli allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte della pillola abortiva RU486, detta anche «pesticida umano».
Come riportato da Renovatio 21, le acque di tutto il mondo sono inquinate da fortemente dalla pillola anticoncenzionale, un potente steroide usato dalle donne per rendersi sterili, che viene escreto con l’orina con effetto devastante sui fiumi e sulla fauna ittica. In particolare, vi è l’idea che la pillola starebbe facendo diventare i pesci transessuali.
Danni non dissimili sono stati rilevati per gli psicofarmaci, con studi sui pesci di fiume resi «codardi e nervosi».
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Nonostante i ripetuti allarmi sul danno ambientale dalla pillola, le amministrazioni di tutto il mondo – votate, in teoria, all’ecologia e alla Dea Gaia – continuano con programmi devastatori, come quello approvato lo scorso anno a Nuova York di distribuire ai topi della metropoli sostanze anticoncezionali. A ben guardare, non si trova un solo ambientalista a parlare di questa sconvolgente forma di inquinamento, ben più tremenda di quello delle auto a combustibile fossile.
Ad ogni modo, come Renovatio 21 ripeterà sempre, l’inquinamento più spiritualmente e materialmente distruttore è quello dei feti che con l’aborto chimico vengono espulsi nel water e spediti via sciacquone direttamente nelle fogne, dove verranno divorati da topi, pesci, insetti, anfibi e altri animali del sottosuolo.
Su questo non solo non si trovano ambientalisti a protestare: mancano, completamente, anche i cattolici.
Come riportato da Renovatio 21, l’OMS poche settimane fa ha aggiunto la pillola figlicida alla lista dei «medicinali essenziali». Il segretario della Salute USA Robert Kennedy jr. aveva promesso una «revisione completa» del farmaco di morte (gli sarebbe stato chiesto dallo stesso Trump) ma negli scorsi giorni esso è stato approvato dall’ente regolatore FDA.
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