Terrorismo
Netanyahu rivendica la responsabilità dell’attacco esplosivo al cercapersone

Il primo ministro Beniamino Netanyahu ha ammesso per la prima volta che i servizi speciali israeliani erano dietro l’operazione di sabotaggio in cui migliaia di cercapersone e radio portatili sono esplosi in tutto il Libano, uccidendo decine di persone e ferendone migliaia.
Il 17 settembre, migliaia di cercapersone, usati principalmente dai militanti di Hezbollah, sono esplosi simultaneamente in Libano e in alcune parti della Siria. Il giorno seguente, centinaia di walkie-talkie sono detonati in un’ondata di esplosioni simile. Gli attacchi hanno ucciso almeno 42 persone, tra cui 12 civili, e ne hanno ferite oltre 3.500, tra cui donne e bambini.
L’attacco è stato ampiamente attribuito all’agenzia di spionaggio israeliana Mossad e visto come un attacco preventivo, dopo il quale Israele ha intensificato i suoi attacchi contro il Libano, uccidendo infine il leader storico di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un attacco a Beirut del 27 settembre.
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«L’operazione cercapersone e l’eliminazione di Nasrallah sono state eseguite nonostante l’opposizione di alti funzionari dell’apparato di difesa e dei loro responsabili nella sfera politica», ha detto Netanyahu durante la riunione settimanale del gabinetto di domenica, secondo quanto riportato dai media israeliani.
Il suo portavoce, Omer Dostri, ha riconosciuto che il primo ministro ha effettivamente «confermato domenica di aver dato il via libera all’operazione cercapersone in Libano» quando contattato per un commento da AFP e CNN.
Non è chiaro chi si sia opposto alle operazioni, ma all’inizio di questa settimana Netanyahu ha licenziato il ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandolo di «violazione della fiducia» e citando «lacune significative» tra le rispettive posizioni sulla guerra contro Hamas e Hezbollah.
Israele ha lanciato la sua guerra contro Hamas, e in seguito contro Hezbollah, dopo che il gruppo militante palestinese ha attaccato il sud di Israele il 7 ottobre dell’anno scorso, uccidendo circa 1.100 persone e prendendone in ostaggio più di 200 a Gaza.
La massiccia rappresaglia militare di Israele ha causato circa 43.500 vittime nell’enclave, secondo il ministero della Salute di Gaza. In Libano, gli attacchi israeliani hanno ucciso più di 3.100 persone e ne hanno ferite altre 13.000, secondo i funzionari. Entrambe le operazioni militari sono in corso, nonostante la pressione internazionale su Israele affinché ponga fine allo spargimento di sangue e negozi una risoluzione della crisi.
Finora Israele si era astenuto dal rivendicare la responsabilità degli attacchi al cercapersone e i suoi alleati hanno negato di esserne a conoscenza. Il piano ha suscitato la condanna internazionale, con il Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite Volker Turk che lo ha etichettato come un atto «scioccante» e «inaccettabile» che viola le leggi sui diritti umani.
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre che «non può esserci alcuna giustificazione per gli atti di terrorismo» commessi contro gli israeliani il 7 ottobre dell’anno scorso, ma ha sottolineato che «chiunque abbia ancora un senso di compassione è indignato dal fatto che la tragedia di ottobre venga utilizzata per una punizione collettiva di massa».
«Un altro esempio lampante di metodi terroristici usati per raggiungere obiettivi politici è l’attacco disumano al Libano, che ha trasformato la tecnologia civile in un’arma letale», ha affermato Lavrov, chiedendo un’immediata indagine internazionale.
Come riportato da Renovatio 21, secondo voci uscite negli scorsi mesi i servizi dello Stato Ebraico avrebbero pianificato l’attacco per 15 anni.
Come scritto da Renovatio 21, rimangano ancora forti dubbi sulla tecnologia utilizzata per far detonare cercapersone e walkie-talkie: la teoria dell’esplosivo inserito nei dispositivi e lasciato lì per anni non regge; è probabile che si tratti invece di un hackeraggio del sistema di batteria al litio. Se ciò fosse confermato, tuttavia, la destabilizzazione dell’opinione pubblica mondiale – portata a pensare di portare in tasca delle bombe attivabili a distanza in qualunque momento – sarebbe immane.
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Immagine di Nizzan Cohen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Terrorismo
Capo ISIS ucciso dalle forze USA in Iraq

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«Oggi il leader fuggitivo dell’ISIS in Iraq è stato ucciso», ha scritto Trump venerdì. «È stato braccato senza sosta dai nostri intrepidi combattenti … in coordinamento con il governo iracheno e il governo regionale curdo». L’attacco è il terzo duro colpo inferto all’ISIS negli ultimi mesi, dopo gli attacchi guidati dagli Stati Uniti contro i principali leader e pianificatori degli attacchi dell’ISIS in Somalia a febbraio e in Siria a dicembre 2024. La leadership civile irachena è preoccupata per una possibile rinascita dello Stato Islamico in Medio Oriente, a causa delle incertezze sul nuovo governo siriano e sul ritiro delle forze statunitensi dalla regione. Lo scorso anno gli Stati Uniti e l’Iraq hanno annunciato un accordo per porre fine alla missione militare in Iraq della coalizione guidata dagli americani per combattere l’ISIS; le forze statunitensi dovrebbero iniziare a lasciare l’Iraq entro settembre di quest’anno, dopo oltre due decenni di operazioni nel Paese. All’epoca in cui venne stipulato l’accordo, la leadership irachena si dichiarò fiduciosa di poter sradicare le cellule rimanenti dell’ISIS senza l’assistenza degli Stati Uniti.“Today the fugitive leader of ISIS in Iraq was killed. He was relentlessly hunted down by our intrepid warfighters. His miserable life was terminated, along with another member of ISIS, in coordination with the Iraqi Government and the Kurdish Regional Government. PEACE THROUGH… pic.twitter.com/gB68jMpd64
— President Donald J. Trump (@POTUS) March 15, 2025
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Terrorismo
Assalto al treno in Pakistan: liberati oltre 150 ostaggi, ma la crisi resta aperta

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Le forze di sicurezza parlano di 155 persone messe in salvo, mentre l’Esercito per la liberazione del Belucistan dice di averne ancora oltre 200. I separatisti hanno chiesto uno scambio di prigionieri entro 48 ore. Nell’ultimo anno il gruppo armato ha imposto blocchi sulle principali autostrade e intensificato le azioni contro le infrastrutture, mentre Islamabad non riesce a proporre una soluzione politica.
Le forze di sicurezza del Pakistan hanno comunicato di aver liberato 155 ostaggi dal treno che ieri è stato preso d’assalto dai combattenti dell’Esercito di liberazione del Belucistan (Balochistan Liberation Army, BLA). L’operazione per liberare gli altri passeggeri è ancora in corso, ha comunicato il ministero dell’Interno pakistano, senza tuttavia specificare quante persone sono ancora trattenute dai terroristi.
Il BLA ha dichiarato di avere ancora 214 persone in ostaggio, ma la cifra non è stata confermata dalle autorità locali. Il principale quotidiano pakistano in lingua inglese, Dawn, ha scritto di non voler diffondere ulteriori dettagli finché la situazione non sarà completamente risolta.
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Le forze dell’ordine hanno riferito di aver ucciso 27 terroristi. Tuttavia, ha scritto la Reuters, le operazioni di soccorso sono complicate dal fatto che gli indipendentisti beluci si sono piazzati vicino ai passeggeri con indosso giubbotti esplosivi per gli attentati suicidi. Il BLA, al contrario, ha affermato di aver messo al sicuro i civili, ma di aver preso come «prigionieri di guerra» il personale delle forze armate.
L’Esercito di liberazione del Belucistan ieri ha fatto saltare in aria dei binari per bloccare il tragitto del Jaffar Express, che stava trasportando circa 450 persone da Quetta, capoluogo del Belucistan, a Peshawar, nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa, un tragitto che solitamente richiede 30 ore di viaggio. Tramite una serie di comunicati, gli indipendentisti hanno fissato un ultimatum di 48 ore per il rilascio di prigionieri beluci incarcerati dal governo in cambio degli ostaggi. In caso di rifiuto, hanno aggiunto, gli ostaggi verranno uccisi.
Da decenni gli indipendentisti beluci, un’etnia di origine iranica, combattono contro il governo pakistano accusandolo di comportarsi come una potenza coloniale che sfrutta le risorse naturali della regione a scapito della popolazione locale. Negli ultimi anni il BLA ha preso di mira anche i progetti infrastrutturali parte del China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), come il porto di Gwadar, spesso compiendo attentati contro siti strategici e contro i cittadini cinesi, ritenuti complici dello sfruttamento economico.
La settimana scorsa un insieme di gruppi armati, noti come Baluch Raji Ajohi Sangar (BRAS), di cui fa parte anche il BLA, ha rilasciato una dichiarazione in cui annuncia la creazione di un nuovo esercito con l’obiettivo di continuare la “guerra” contro la Cina e lo Stato pakistano e promettendo di «infliggere maggiori perdite al nemico».
Nell’ultimo anno il Pakistan ha registrato un aumento delle attività terroristiche in tutto il Paese, ma soprattutto nelle province del Khyber Pakhtunkhwa, a causa degli attentati dei talebani pakistani, e in Belucistan: secondo un rapporto del think tank locale Pak Institute for Peace Studies, nel 2024 la provincia ha assistito a un incremento dell’84% negli attentati rispetto all’anno precedente, con un aumento della violenza da parte del BLA e altri gruppi separatisti del 120%.
Anche se le principali vittime continuano a essere le forze di sicurezza del Pakistan, il BLA prende da tempo di mira anche le infrastrutture ferroviarie e autostradali. Solo nei primi due mesi del 2025, i gruppi che fanno parte del BRAS hanno bloccato tre importanti autostrade della provincia in quattro diverse occasioni, effettuando controlli dei passeggeri per ore, alla ricerca di funzionari delle forze di sicurezza pakistane.
Nella dichiarazione rilasciata il 2 marzo, il BRAS ha inoltre annunciato di voler «intensificare il blocco su tutte le autostrade importanti del Belucistan per interrompere gli interessi logistici, economici e militari dello Stato».
La strada che collega Quetta a Karachi, una delle più trafficate, si è guadagnata il nome di «killer highway» per il crescente numero di episodi violenti compiuti dai separatisti beluci. Si tratta di un’arteria fondamentale per la popolazione locale, che ha bisogno di spostarsi soprattutto per le cure mediche.
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Altri progetti infrastrutturali previsti dal governo del Pakistan sono rimasti incompiuti, limitando la mobilità degli abitanti, che si trovano sempre più frequentemente oggetto di episodi violenti: ad agosto, il BLA aveva preso di mira i passeggeri degli autobus provenienti dalla provincia centrale del Punjab, uccidendone decine, un episodio simile si era verificato anche ad aprile.
A novembre, un attentato suicida alla stazione ferroviaria di Quetta aveva colpito un treno poco prima della partenza, uccidendo almeno 32 persone. Il mese scorso, invece, il BLA ha preso il controllo di Zehri, una cittadina rurale nel Belucistan centrale, per diverse ore, anche in questo caso alla ricerca di personale della sicurezza. Dall’inizio dell’anno, le autostrade nazionali sono state chiuse 76 volte per diversi motivi.
Finora il governo del Pakistan ha risposto all’insurrezione dei beluci con una dura repressione, in molti casi ricorrendo a tattiche violente, come le sparizioni forzate dei giovani sospettati di far parte dei gruppi separatisti. E nonostante richieste provenienti da più parti, Islamabad si è sempre rifiutata di negoziare con i beluci.
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Immagine di Arslan Arshad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Terrorismo
Terroristi Shabaab assaltano un hotel

Al-Shabaab gunmen remain barricaded inside a hotel in #Somalia’s Baladweyne town after launching a deadly attack early Tuesday, as Somali security forces, supported by peacekeepers from #Djibouti and #Ethiopia, continue efforts to end the siege now stretching beyond 10 hours. pic.twitter.com/9zXwySqR3a
— Somali Guardian (@SomaliGuardian) March 11, 2025
Watu wenye silaha waliivamia hoteli moja katika mji wa Baladweyne katikati mwa Somalia Jumanne. Kundi la Al Shabaab limedai kuhusika na shambulio hilo.#somalia #hoteli #mauaji #alshabaab #somalia #baladweyne #voa #voaswahili pic.twitter.com/yDLmcCI4B5
— VOA Swahili (@VOASwahili) March 12, 2025
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Nell’agosto 2023, l’Africa Command statunitense aveva effettuato su richiesta del governo somalo un attacco aereo contro i terroristi Shabaab, provocando la morte di 13 militanti del gruppo. A inizio 2023 il Pentagono aveva dichiarato di aver ucciso un alto comandante dell’ISIS in Somalia, eliminando assieme al leader regionale Bilal al-Sudani almeno altri 10 combattenti Nel 2022 un gruppo di Shabaab ha preso il controllo dell’Hotel Hayat di Mogadiscio, dopo aver fatto detonare tre bombe nella capitale. Nel 2020 un altro attacco in un hotel provocò una strage con almeno 16 morti. Come noto, gli Shabaab furono recipienti di milioni dati dal governo italiano con il riscatto della cooperante italiana in Kenya nel 2020. Per il rapimento, la procura di Roma ha chiesto a febbraio l’archiviazione dell’indagine, adducendo la mancata collaborazione delle autorità di Nairobi.UPDATE: Al Shabaab Training Camp Video Exposes Somalia’s Security Collapse
Somalia’s national army has suffered heavy losses after being ambushed by Al Shabaab militants raising serious concerns about the government’s ability to combat terrorism. Critics argue that the Somali… https://t.co/eB5GeStVjP pic.twitter.com/6xJ6fUJtro — cirka news (@CirkaNews) March 10, 2025
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