Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Netanyahu: il tribunale dell’Aia non ci fermerà. Israele chiede che sia anzi l’ONU ad essere portata davanti alla Corte

Pubblicato

il

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso in una conferenza stampa che non permetterà che il caso di genocidio portato contro il suo Paese dalla Corte internazionale di giustizia (CPI) ostacoli la continuazione della guerra del suo paese contro Hamas a Gaza.

 

«Nessuno ci fermerà, né l’Aia, né l’Asse del Male, e nessun altro. È possibile e necessario continuare fino alla vittoria e lo faremo», ha detto.

 

Il termine «Asse del Male» fu usato per la prima volta in un discorso dell’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush per riferirsi a Iraq, Iran e Corea del Nord – all’epoca ritenuti i principali nemici di Washington dotati di «armi di distruzione di massa». L’isteria americana portò alla sanguinosa invasione dell’Iraq, dove incredibilmente non si trovò traccia di tali armamenti.

 

Non è chiaro quindi se Netanyahu ce l’abbia con il nuovo Iraq post-Saddam creato dagli USA o con Pyonngyan, che in effetti poco dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha sostenuto tramite un editoriale comparso sui media statali nordcoreani che Israele aveva attirato su di sé il raid di Hamas con i suoi «costanti atti criminali contro il popolo palestinese».

Sostieni Renovatio 21

In altre parti del discorso, il leader israeliano ha usato il termine per riferirsi all’Iran, agli Houthi dello Yemen, a Hezbollah e allo stesso Hamas – una coalizione a base sciita che altrove è stata descritta come «Asse della Resistenza» per la sua opposizione al potere statunitense e israeliano nella regione.

 

Le udienze sul presunto genocidio contro Israele sono iniziate all’inizio di questa settimana presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, nei Paesi Bassi, con il Sudafrica che ha sostenuto che Israele si è impegnato in azioni «intese a provocare la distruzione di una parte sostanziale del patrimonio nazionale, razziale e culturale del gruppo etnico palestinese».

 

Lo Stato Israele ha ribattuto che in realtà è Hamas a nutrire intenti genocidari contro gli israeliani e ha sostenuto che è giustificato tentare di «eliminare» il gruppo militante che incolpa della morte di 1.200 israeliani il 7 ottobre, indipendentemente dal danno che ne deriva per la popolazione civile.

 

Da allora le truppe delle forze di difesa israeliane hanno ammesso che gli era stato ordinato di sparare sugli israeliani per esempio nel famigerato rave nel deserto durante il raid di Hamas, sollevando dubbi su quante delle vittime siano state effettivamente uccise dai palestinesi rispetto al fuoco dei carri armati delle forze israeliane e agli attacchi aerei.

 

Nel frattempo, l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha affermato che le stesse Nazioni Unite dovrebbero essere processate all’Aia per aver agito «al servizio di organizzazioni terroristiche».

 

Venerdì, Israele ha chiesto alla Corte Penale Internazionale delle Nazioni Unite di respingere un caso intentato dal Sud Africa a fine dicembre che accusava lo Stato di aver commesso un genocidio nel bombardamento in corso di Gaza.

 

Israele ha severamente negato le accuse di genocidio, insistendo sul fatto che la sua offensiva terrestre e aerea contro l’enclave palestinese assediata rientra nei confini del diritto internazionale e che ha il diritto fondamentale all’autodifesa.

 

Venerdì Israele ha formalmente risposto all’accusa di genocidio davanti al tribunale dell’Aia, accusando il Sud Africa di «sfacciata sfrontatezza» e affermando che l’accusa di genocidio costituisce una difesa «falsa e infondata» di Hamas.

Aiuta Renovatio 21

Separatamente, Erdan, che ha spesso litigato con funzionari delle Nazioni Unite nei mesi successivi all’attacco transfrontaliero di Hamas in Israele il 7 ottobre, venerdì ha accusato le Nazioni Unite di complicità con Hamas per aver preso in considerazione le accuse del Sud Africa.

 

«I procedimenti dell’Aia dimostrano come le Nazioni Unite e le sue istituzioni siano diventate armi al servizio delle organizzazioni terroristiche», ha scritto Erdan su Twitter.

 

«L’uso della Convenzione per la prevenzione del genocidio contro lo Stato Ebraico e al servizio dei nazisti del nostro tempo, [i leader di Hamas] Yahya Sinwar e Ismail Haniyeh, dimostra che non esiste alcun livello morale al quale le Nazioni Unite non siano scese», ha aggiunto l’Erdan.

 

La Convenzione sul genocidio, e di fatto l’ONU, fu istituita nel 1945 come risposta internazionale alla Seconda Guerra Mondiale e ai crimini commessi contro gli ebrei europei dalla Germania nazista. Definisce il genocidio come «un crimine commesso con l’intento di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in tutto o in parte».

 

Almeno 23.708 persone sono state uccise finora a Gaza, dicono i funzionari sanitari.

 

«L’ONU è quella che dovrebbe essere processata all’Aia per aver chiuso un occhio, e quindi essere stata complice, nello scavo di tunnel terroristici a Gaza, nell’uso degli aiuti internazionali per la produzione di missili e razzi, e nell’educazione all’odio e all’omicidio» ha dichiarato venerdì l’ambasciatore dello Stato Ebraico.

 

Alla fine di ottobre, Erdan ha chiesto le dimissioni del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per i commenti fatti davanti all’organismo internazionale in cui affermava che l’attacco di Hamas all’inizio di quel mese «non è avvenuto nel vuoto».

 

Storicamente, l’ONU ha adottato numerose risoluzioni che condannano l’occupazione israeliana dei territori palestinesi – aree inizialmente definite dalle Nazioni Unite – nonché l’espansione degli insediamenti israeliani.

 

L’ex segretario generale Ban Ki-Moon in precedenza si era attirato il disprezzo dei rappresentanti israeliani per aver affermato delle sue relazioni con i territori palestinesi che «le persone resisteranno sempre all’occupazione».

 

L’ambasciatore ONU Erdan aveva accusato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres di «giustificazione del terrorismo e degli omicidi», chiedendone le dimissioni. La reazione rabbiosa era stata provocata da Guterres che ha affermato che gli attacchi di Hamas «non sono avvenuti nel vuoto» ma dopo che i palestinesi erano stati «sottoposti a 56 anni di soffocante occupazione» da parte di Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso l’Erdano aveva affermato che Israele presumibilmente sta facendo di più per Gaza rispetto alla stessa OMS o a qualsiasi altro organismo delle Nazioni Unite, del resto. Il diplomatico dello Stato Ebraico in passato aveva anche attaccato le ONG di George Soros per il loro supporto a «gruppi pro-Hamas».

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Geopolitica

Truppe israeliane subiscono perdite in un’incursione in Siria

Pubblicato

il

Da

Venerdì Israele ha sferrato un ulteriore assalto ingiustificato e su vasta scala contro il territorio siriano, mietendo almeno 13 vittime – tra cui bambini – e causando il ferimento di una ventina di persone.   L’incursione ha riguardato il centro abitato di Beit Jinn, nel meridione siriano, e ha rappresentato un’insolita operazione di penetrazione via terra da parte delle truppe israeliane, verosimilmente coadiuvata da copertura aerea e colpi di cannone.   «L’esercito israeliano ha reso noto che sei suoi militari hanno subito lesioni, tre delle quali di entità grave, a seguito di sparatorie con miliziani durante l’operazione nel borgo di Beit Jinn», ha riferito Reuters citando fonti ufficiali. Non è dato sapere se l’IDF abbia registrato caduti, ma in caso affermativo è plausibile che Tel Aviv mantenga il silenzio.

Sostieni Renovatio 21

L’irruzione e i bombardamenti israeliani all’alba hanno indotto decine di nuclei familiari a evacuare il sito in direzione di aree meno esposte. La diplomazia siriana ha immediatamente stigmatizzato «l’attacco criminale compiuto da una pattuglia dell’esercito di occupazione israeliano a Beit Jinn».   Nel comunicato si legge: «Il fatto che le forze di occupazione abbiano preso di mira la città di Beit Jinn con bombardamenti brutali e deliberati, in seguito al fallimento della loro incursione, costituisce un vero e proprio crimine di guerra».   Diverse fonti indicano che l’offensiva israeliana ha compreso pure tiri di obici, elemento che potrebbe spiegare l’elevato numero di perdite civili.   Stando alla Syrian Arab News Agency (SANA), i cadaveri di almeno cinque siriani, inclusi due minori, sono stati trasferiti all’ospedale nazionale del Golan nella località di al-Salam a Quneitra.   Anche droni israeliani hanno operato nella regione. Nella Siria post-Assad, le IDF hanno progressivamente intensificato le intrusioni nel suolo siriano, dilatando in misura cospicua l’occupazione delle alture del Golan.   Le forze armate israeliane hanno motivato l’operazione ad alto rischio con l’intento di catturare sospetti legati a Jama’a Islamiya, formazione islamista sunnita libanese accusata di aver lanciato missili contro Israele dal Libano nel corso della guerra di Gaza, e di aver ordito «comploti terroristici».   Tale episodio configura un caso eccezionale in cui le IDF hanno patito perdite così consistenti nelle loro missioni siriane, secondo Reuters.   In un avviso su X, l’esercito israeliano ha precisato che sei suoi effettivi sono rimasti colpiti, tre in modo serio, in uno scontro a fuoco.  

Aiuta Renovatio 21

L’esercito ha proseguito affermando che, pur essendosi l’operazione «conclusa» con l’arresto o l’eliminazione di tutti i ricercati, le sue unità permangono sul terreno «e proseguiranno contro qualsivoglia pericolo» per Israele.   Non sfugge l’ironia nell’improvviso zelo israeliano per debellare gli islamisti sunniti al proprio confine, dal momento che, per anni durante il conflitto per il rovesciamento di Assad, Israele ha tollerato – e in taluni frangenti persino favorito – alcuni di questi medesimi jihadisti.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da Twitter
Continua a leggere

Geopolitica

Trump «molto soddisfatto» della nuova leadership siriana

Pubblicato

il

Da

Il presidente statunitense Donald Trump ha espresso «grande compiacimento» per l’operato del nuovo esecutivo siriano insediatosi al potere.

 

Una coalizione capitanata dal fronte jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), affiliato regionale di Al-Qaeda, ha espugnato Damasco e spodestato il trentennale capo di Stato Bashar al-Assad alla fine dello scorso anno.

 

«Gli Stati Uniti sono estremamente soddisfatti dei progressi conseguiti» dopo l’ascesa al governo, ha proclamato Trump lunedì su Truth Social.

 

 

Sostieni Renovatio 21

Il neopresidente siriano Ahmed al-Sharaa, ex comandante dell’HTS conosciuto come al-Jolani, «si prodiga con impegno affinché si verifichino sviluppi positivi e che Siria e Israele instaurino un legame duraturo e fruttuoso», ha precisato.

 

È essenziale che Gerusalemme «non ostacoli la metamorfosi della Siria in una nazione fiorente», ha aggiunto Trump.

 

Qualche giorno prima, testate israeliane avevano reso noto che le Forze di difesa (IDF) avevano subito perdite in uno scontro con miliziani armati nel meridione siriano, dove l’anno scorso Israele ha annesso una fascia territoriale adiacente alle alture del Golan sotto occupazione.

 

Di recente, l’area ha ospitato pure azioni coordinate tra Stati Uniti e Siria. Le truppe americane e il dicastero dell’Interno siriano hanno smantellato oltre 15 magazzini di armamenti e narcotici riconducibili all’ISIS nel sud della nazione la settimana scorsa, come comunicato domenica dal Centcom.

 

Al-Sharaa ha ribadito il proprio impegno contro lo Stato Islamico nel corso della sua visita a Washington all’inizio del mese.

 

Dall’insediamento dei jihadisti nella stanza dei bottoni damascena ondate di violenza interconfessionale si sono ripetute, con migliaia di persone delle minoranze druse, alawite e cristiane uccise senza pietà.

 

Jolani, ex comandante jihadista legato ad Al-Qaeda e in passato nella lista nera del governo statunitense che aveva posto su di lui una taglia da 10 milioni di dollari, ha destituito il leader storico siriano Bashar Assad nel dicembre 2024. Da allora si è impegnato a ricostruire il Paese devastato dalla guerra e a tutelare le minoranze etniche e religiose.

 

Nonostante le promesse di al-Jolani di costruire una società «inclusiva», il suo governo «luminoso e sostenibile» è stato segnato da ondate di violenza settaria contro le comunità druse e cristiane, suscitando la condanna degli Stati Uniti.

Iscriviti al canale Telegram

Pochi giorni prima della visita di Jolani alla Casa Bianca, Stati Uniti, Gran Bretagna e Nazioni Unite hanno rimosso al-Sharaa/ Jolani dalle rispettive liste di terroristi. Lunedì, Washington ha prorogato per altri 180 giorni la sospensione delle sanzioni, mentre la Siria cerca di normalizzare i rapporti bilaterali e ampliare la cooperazione in materia di sicurezza. Trump aveva ordinato una revisione della de-designazione come «terrorista» del Jolani ancora quattro mesi fa, all’altezza del loro primo incontro a Riadh.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa, proprio a ridosso dell’anniversario della megastrage delle Due Torri, al-Jolani visitò Nuova York per la plenaria ONU, venendo ricevuto in pompa magna dal segretario di Stato USA Marco Rubio e dall’ex generale americano, già direttore CIA, David Petraeus.

 

Come riportato da Renovatio 21al-Jolani sta incontrando alti funzionari israeliani in un «silenzioso» sforzo di normalizzazione dei rapporti tra Damasco e lo Stato degli ebrei in stile accordi di Abramo.

Intanto, i massacri sono vittime dei massacri takfiri della «nuova Siria».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Geopolitica

Papa Leone dice che l’unica soluzione è uno Stato palestinese

Pubblicato

il

Da

Il Pontefice Leone XIV ha ribadito che l’unica via per assicurare equità a israeliani e palestinesi resta la soluzione dei due Stati.   Le parole sono state pronunciate domenica a bordo dell’aereo papale, durante il volo dalla Turchia al Libano, seconda tappa del suo primo periplo estero da Sommo Pontefice.   La Santa Sede ha sancito il riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese nel 2015 e ha più volte caldeggiato l’ipotesi di due entità sovrane.   Tuttavia, le sue osservazioni in volo rappresentano l’esortazione più decisa a un pieno avallo internazionale, nel bel mezzo del conflitto nella Striscia di Gaza.   «Santa Sede, già da diversi anni, appoggia pubblicamente la proposta di una soluzione di due Stati. Sappiamo tutti che in questo momento Israele non accetta ancora quella soluzione, ma la vediamo come l’unica strada che potrebbe offrire una soluzione al conflitto che continuamente vivono, ha dichiarato Leone XIV ai cronisti». «Noi siamo anche amici di Israele, e cerchiamo di essere con le due parti una voce, diciamo, mediatrice che possa aiutare ad avvicinarci ad una soluzione con giustizia per tutti».  

Aiuta Renovatio 21

Rispondendo a domande sui colloqui riservati con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ad Ankara – in cui si è discusso dei teatri di guerra a Gaza e in Ucraina –, il papa ha confermato l’argomento, sottolineando il «ruolo cruciale» che Ankara può svolgere per dirimere entrambe le crisi. Sul fronte dei negoziati russo-ucraini, ha elogiato Erdogan per aver «fatto tanto per convocare le parti», pur lamentando l’assenza di una soluzione concreta.   «Oggi, però, circolano iniziative tangibili per la pace, e confidiamo che il presidente Erdogan, grazie ai suoi legami con i leader di Ucraina, Russia e Stati Uniti, possa favorire un dialogo, un armistizio e una via d’uscita da questa guerra in Ucraina».   Su Gaza, Leone XIV ha riaffermato il sostegno ventennale della Santa Sede alla formula dei due Stati. La nascita di una Palestina sovrana è da lustri indicata dalla comunità internazionale come l’unica strada per chiudere il contenzioso decennale.   All’inizio di questo mese, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che l’avversione di Gerusalemme a uno Stato palestinese «non ha subito variazioni minime» e non è scalfita da sollecitazioni interne o esterne. «Non ho bisogno di proclami, cinguettii o sermoni da chicchessia», ha chiosato.   La tregua del 10 ottobre, orchestrata dagli Stati Uniti, contemplava il disimpegno israeliano dalla Striscia in cambio del rilascio di 20 ostaggi ebraici a fronte di circa 2.000 detenuti palestinesi. Nondimeno, le offensive di Tel Aviv persistono, gli aiuti umanitari ristagnano e le condizioni restano catastrofiche, come denunciano agenzie ONU e mediatori regionali.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da YouTube
Continua a leggere

Più popolari