Predazione degli organi
Morta perché colpita da un fulmine, o perché depredata dei suoi organi?

Lo scorso 3 agosto una donna di 42 anni è stata colpita da un fulmine sulla spiaggia di Alba Adriatica. Le cronache riferiscono che a seguito dell’incidente la malcapitata è andata in arresto cardiaco e che è stata tempestivamente soccorsa dagli operatori del 118, i quali sono riusciti nell’intento di rianimarla, dal momento che la donna è stata trasferita in elicottero all’ospedale di Teramo dove è stata ricoverata in terapia intensiva e tenuta sotto coma farmacologico.
In seguito, i media hanno riportato la notizia secondo cui la donna non ce l’avrebbe fatta: la signora infatti è stata dichiarata morta il 12 agosto e i suoi organi «donati».
Quando si dice che una persona non ce l’ha fatta si intende comunemente che le cure a cui era stata sottoposta non sono state sufficienti ad impedirne la morte, per il sopraggiungere di un arresto cardiaco o qualsiasi altra problematica di salute.
In questo caso, la sfortunata signora era stata stabilizzata attraverso l’induzione del coma farmacologico. È utile ricordare che tale forma di terapia, detta anche coma artificiale, è uno stato indotto attraverso l’uso di dosi controllate di farmaci che consente di salvare le vite dei pazienti che versano in gravi condizioni e che necessitano di cure intensive più o meno prolungate.
Ora, è del tutto evidente che nessun problema ulteriore di salute è stata la causa diretta della morte della donna, la quale è stata semplicemente dichiarata cerebralmente morta e a motivo di ciò trattata alla stregua di un cadavere, come la legge italiana prescrive. Anzi, è possibile immaginare che in questo tipo di casi i parametri vitali possano essere regolari (frequenza cardiaca e respiratoria, saturazione sanguigna, pressione arteriosa e temperatura); infatti, affinché gli organi espiantati non subiscano danni irreversibili il paziente deve essere in buone condizioni generali e i suoi organi vitali mantenuti ben ossigenati e irrorati.
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Cos’è dunque la cosiddetta morte cerebrale e cosa comporta? In estrema sintesi la morte cerebrale è una finzione medica secondo cui la cessazione irreversibile o presunta tale delle sole funzioni cerebrali comporterebbe la morte dell’individuo, anche se l’individuo stesso presenta tutti i segni della vita (battito cardiaco, normale frequenza respiratoria etc.) e di fatto nessun segno riconducibile alla morte fisica dell’organismo.
Il criterio della morte cerebrale è stato letteralmente inventato nel lontano 1968 da una commissione, composta da diverse figure professionali, istituita ad hoc dalla comunità scientifica internazionale proprio per rendere legale la pratica dei trapianti di organi. Prima di tale data infatti l’espianto degli organi vitali era illegale e i medici che lo praticavano rischiavano, giustamente, di venire incriminati per omicidio.
Non c’è alcuna evidenza scientifica che la perdita irreversibile della sole funzioni cerebrali equivalga alla morte del soggetto in coma:
- Primo, perché è pressoché impossibile determinare la perdita irreversibile di tali funzioni sulla base delle nostre attuali limitatissime conoscenze del cervello;
- Secondo, perché l’essenza vitale dell’uomo non è localizzabile in un singolo organo, come l’esperienza dimostra;
- Terzo, perché la presenza dei parametri vitali nei soggetti dichiarati cerebralmente morti, come ad esempio la capacità di respirare, o meglio di effettuare lo scambio gassoso nel corso del quale l’aria cede ossigeno al sangue e il sangue cede anidride carbonica all’aria, è un chiaro indizio del fatto che l’organismo è in grado di compiere funzioni complesse e ciò è evidentemente incompatibili con la supposta perdita totale delle capacità cerebrali (addirittura ci sono stati casi di donne dichiarate cerebralmente morte che hanno portato a termine la gravidanza);
- Quarto, perché le procedure per determinare la morte cerebrale sono così aleatorie che variano incredibilmente da Paese a Paese (ad esempio, per i parametri italiani riveste un ruolo di fondamentale importanza l’elettroencefalogramma (EEG) mentre in Inghilterra tale esame non viene nemmeno preso in considerazione);
- Quinto, perché l’operazione di prelievo degli organi comporta la somministrazione di sedativi e farmaci paralizzanti nel soggetto espiantato, a ulteriore dimostrazione del fatto che il soggetto che viene ucciso tramite squartamento non può essere considerato morto né trattato come tale nemmeno da coloro che lo hanno dichiarato deceduto al di là di ogni ragionevole dubbio…
Insomma, così come ci vogliono far credere che non esiste un modo solido per distinguere un uomo da una donna, come nel caso delle recentissime dichiarazione del presidente del Comitato Olimpico, allo stesso modo ci vogliono indurre a credere che questa donna è morta a causa del fulmine e non perché qualcuno ha deciso che dovesse essere dichiarata morta affinché potesse essere depredata dei suoi organi.
Alfredo De Matteo
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Predazione degli organi
Se la cardiologa parla della possibilità di un «obbligo» per la «donazione» degli organi

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Predazione degli organi
DCD, la nuova frontiera della predazione degli organi

L’introduzione del criterio della morte cerebrale non fu il risultato di una riflessione teorica o filosofica sulla morte, piuttosto della volontà di risolvere due ordini di esigenze pratiche: contenere il problema dei pazienti bisognosi di cure mediche adeguate (in concomitanza della scoperta delle moderne tecniche di rianimazione) e legittimare l’espianto degli organi vitali.
Ad affermarlo furono gli stessi membri del Comitato di Harvard i quali, ormai più di cinquant’anni fa, vennero chiamati ad elaborare il concetto di morte con criteri neurologici: «il peso è più grande per i pazienti che soffrono della perdita permanente dell’intelletto, per le loro famiglie, per gli ospedali, e per quanti hanno bisogno di posti letto già occupati da altri pazienti comatosi (…) Criteri obsoleti per la definizione di morte possono portare a controversie nell’ottenere organi per il trapianto».
Gli evidenti riferimenti erano al problema di togliere i supporti vitali ai malati e alla necessità di legalizzare la pratica dei trapianti. Per risolvere tali impedimenti in un colpo solo era sufficiente dichiarare morte le persone in stato di incoscienza: il nuovo criterio di accertamento della morte venne così ratificato e finì in breve tempo per rivoluzionare radicalmente la deontologia e la prassi medica.
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Pertanto, sembra evidente che il legame tra la predazione degli organi e la deriva eutanasica non è accidentale bensì strutturale. Ai giorni nostri, l’intima connessione tra queste due pratiche si manifesta in maniera particolarmente evidente nella nuova frontiera dei trapianti, la cosiddetta donazione a cuore fermo (Donation after Cardiac Death).
Schematicamente, esistono due tipi di donatori a cuore fermo: controllati e non controllati. La DCD non controllata concerne tutti i pazienti che hanno subito un improvviso arresto cardiaco e non hanno risposto (almeno in teoria) a tutti i tentativi di rianimazione cardiopolmonare.
In questi casi, per il prelievo degli organi vengono utilizzate procedure per ridurre la sofferenza ischemica dei tessuti, come i sistemi di perfusione continua meccanica e l’utilizzo di ossigenatori a membrana extracorporea. Tali sistemi vengono utilizzati già all’arrivo del paziente in ospedale per supportarne il cuore in vista di una sua possibile ripresa
Qualora il malcapitato non si riprenda si procede a verificare la volontà donativa dello stesso e in caso positivo al prelievo dei suoi organi. Trattandosi di un «donatore» non controllato il cuore non può essere prelevato, in quanto la sua funzionalità è compromessa da una patologia che ne ha causato l’arresto (in compenso possono essere prelevati tutti gli altri organi).
Diverso è il caso della DCD controllata in cui l’arresto cardiaco è atteso, ossia previsto. Essa, fa seguito alla sospensione dei trattamenti intensivi a motivo della loro mancanza di proporzionalità. In altre parole, il malato viene staccato dai supporti vitali, in particolare dal supporto ventilatorio, in una circostanza prevista e medicalmente controllata. In questo caso il cuore è sano e può essere prelevato dopo i venti minuti di assenza di battito e di circolo, come prescritto dalla legge italiana. Il muscolo cardiaco, già prima del prelievo e del trapianto, viene accuratamente valutato e spesso collegato ad un sistema di circolazione artificiale che permette di verificare la funzionalità dell’organo in vista del trapianto.
Possiamo chiederci se possa essere stata proprio questa la causa della morte di una persona ricoverata a fine dicembre presso l’ospedale piemontese, la quale è stata depredata di cuore, fegato e reni dopo accertamento di morte con criteri cardiologici. Immediatamente dopo la dichiarazione del decesso il cuore della «donatrice», ci informano le cronache, è stato rivitalizzato da una équipe rianimatoria che ha fatto ripartire il cuore prima del suo prelievo. Gli organi (cuore e fegato) sono stati poi trasportati in un altro ospedale mantenuti vitali al di fuori del corpo in una condizione molto simile a quella fisiologica.
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Naturalmente, la notizia è stata accolta dai media con grande entusiasmo e i membri dell’équipe medica descritti come degli eroi. E ovviamente nessun accenno ad alla possibilita per cui, secondo alcuni, vi potrebbe essere sottostante una pratica eutanasica.
Una cosa è certa: la nuova tecnica dei trapianti a cuore fermo da donatore controllato è la dimostrazione ulteriore che la dichiarazione di morte cerebrale rappresenta una mera convenzione volta unicamente ad eliminare i malati e foraggiare l’industria dei trapianti; con la DCD controllata, infatti, la morte del paziente non sopraggiunge a causa di una patologia cardiaca ma è conseguente alla decisione di sospensione dei trattamenti considerati inutili per il paziente stesso. Trattasi quindi di morte dopo sospensione delle cure.
Come uno tsunami la Necrocultura avanza e rompe tutti gli argini che incontra lungo il suo mostruoso cammino.
Alfredo De Matteo
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